“Nella nostra piccola città, allora ancora più piccola di oggi ma tanto più gradevole e umana, al tempo in cui cominciavo a viverci per un numero imprecisabile ma ormai stragrande di anni.......” Piero Chiara, Le Corna del Diavolo, 1977
Storie di provincia, storie di gente comune e di quotidianità fatta di attesa, di speranza, di delusioni, di promesse disattese, di riscatti, di amori sbagliati, di rancori mai sopiti. La provincia è da sempre lo scenario ideale per raccontare storie di ordinaria umanità, lo sfondo più indovinato per descrivere le correnti dell'anima nelle sue sfaccettature. Tale è, come ben sappiamo, in letteratura e gli esempi si sprecano: io voglio ricordare in questa sede, uno per tutti, Piero Chiara e la sua straordinaria abilità di narratore arguto e ironico, che davvero come pochi ha saputo raccontare la provincia italiana (lui che provinciale lo era nella sua essenza, nato a Luino su quel lago che sarà lo sfondo per le sue storie). E dalla letteratura al cinema il passo è breve.
Il fatto è che che la gente che vive nei borghi o nelle piccole città riesce a mantenere un livello di rapporti umani che ben raramente si riscontra nei grandi centri abitati. I ritmi del quotidiano sono più lenti, si ha più tempo per parlare, per raccontarsi, e ovviamente si finisce per conoscere tutto di tutti (o almeno lo si crede). E' inevitabile la creazione di una fitta rete di intrecci che se da un lato portano a rafforzare i legami fra le persone, dall'altro possono produrre la sensazione di subire un continuo controllo da parte degli altri. Se da una parte il rapporto tra le persone ha un connotato più intimo e quindi può essere più cordiale, non si può nascondere che relazioni sociale così particolari possano portare alla nascita di un conformismo che porta al rifiuto di chi non si allinea ai comportamenti considerati adeguati nell'ambito di una comunità che inevitabilmente appare chiusa. Il senso di soffocamento che spesso si genera ha come più diretta conseguenza, ovviamente nelle persone di giovane età, la nascita di un desiderio di fuga e ricerca di nuove prospettive (magari proprio nella grande città), sentimenti che spesso sono stati alla base di creazioni letterarie ma anche cinematografiche. La metropoli, che già nella sua definizione è esattamente l'opposto della provincia, diventa così il simbolo del riscatto da parte di chi, nella provincia si sente un incompreso o un emarginato. Anche se spesso poi chi dalla provincia fugge alla fine a quella fa ritorno.
Il dualismo provincia-grande città ha comunque radici lontane. Il termine ci deriva dal latino, le provinciae erano le unità amministrative entro le quali venivano organizzati i territori assoggettati al dominio di Roma. Nell'Impero Romano erano i territori lontani dall'urbe (la penisola italiana non era divisa in provinciae ma in regiones, ed in quanto ager romanus, cioè territorio di Roma, i suoi abitanti erano considerati cittadini romani), la capitale e la città di gran lunga più grande della sua epoca, l'unica vera metropoli cui gli abitanti delle provincie guardavano con ammirazione e timore.
C'è poi il rovescio della medaglia, ovvero chi abitando in un grande centro vede la provincia come il luogo ideale dove recuperare una dimensione esistenziale più consona a un vivere sereno. Ma questo in fondo si può fare rientrare in una riflessione più generale sul fatto che non si è mai contenti della propria condizione. Torniamo peròalla nostra provincia, se da una parte è il luogo che vede nascere aspirazioni e voglie di riscatto (e anche nella Roma antica sopra citata, numerosi furono gli imperatori che vantavano origini da luoghi ai confini dell'Impero), dall'altra può essere anche luogo di misteri, passioni incontrollabili, turpi commerci, loschi intrighi. La facciata tranquilla e pacata può nascondere nefandezze terribili. Anche da questo punto di vista i piccoli centri sono stati spesso lo sfondo ideale per storie di mistero e di terrore. Una cosa che, nell'ambito di questa breve disamina, possiamo rilevare è il fatto che questa dicotomia provincia-metropoli e questo vedere da parte di scrittori e cineasti il piccolo borgo come ambientazione ideale di storie di vario genere (dal drammatico al sentimentale fino al giallo) è comune largamente alla nostra cultura occidentale. Pensiamo a molta cinematografia francese, a molta letteratura americana (Nathaniel Hawthorne, giusto per citare un padre della letteratura d'oltre-oceano, ma anche, volendo fare un nome dei giorni nostri, Cormac McCarthy) e a tanto altro che non citiamo per motivi di spazio.
Le recenti visioni di Southcliffe, ambientato nella provincia inglese, e di Nebraska, nel profondo west dell'America contemporanea, mi paiono due esempi decisamente calzanti. In questa sede mi limito però alla provincia che meglio conosco, anche perché pure io sono nel mio animo più profondo (e pure di natali) un provinciale, né una permanenza, sia pur ormai lontana, in una grande metropoli è riuscita a cambiarmi. La provincia italiana. Di titoli ce ne sono stati molti, ed illustri, da Signore e Signori di Pietro Germi a I Delfini di Francesco Maselli, da Il Commissario Pepe di Ettore Scola a La Califfa di Alberto Bevilacqua. Qui ne ho scelti sette fra quelli prodotti nell'ultimo quarto di secolo, più uno che ho voluto inserire (anche se cronologicamente ben anteriore agli altri) come omaggio allo scrittore che ho citato all'inizio.
Con Sergio Rubini, Roberto De Francesco, Dario Parisini, Francesca Neri
Opera d'esordio di Giuseppe Piccioni. Io credo che questo film abbia reso come davvero pochi altri l'essenza dei ragazzi della provincia, il contrasto tra la loro voglia di orizzonti nuovi e il desiderio di un alveo sicuro come solo il luogo natio può garantire. In una cittadina (Ascoli Piceno) il giovane Yuri affronta la sua crescita tra le aspirazioni di una società più giusta e l'amicizia con un disadattato (Sergio Rubini). Bella pellicola da riscoprire assolutamente. Personalmente rimasi folgorato dalla scena iniziale, in cui il protagonista ormai prossimo ad abbandonare il borgo natio sfoglia i suoi dischi (Jimi Hendrix e Frank Zappa fra gli altri) e i suoi libri (le belle edizioni economiche della Garzanti che per una certa generazione, e anche per la mia, erano l'emblema della cultura diffusa verso chi poteva spendere pochi soldi)
La voglia di evasione può portare un gruppo di amici a creare una radio per rimorchiare ragazze, per far passare la propria musica o più semplicemente per sfuggire a una cittadina che sembra troppo piccola per la proprie aspettative. “....Credo che la voglia di scappare da un paese di ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx....... “ E a volte la voglia di evasione può portare a paradisi artificiali che dietro l'angolo nascondono la morte.
““La mia città ….. fattura come l’intero Portogallo, ma se non hai soldi, non ha nessuna pietà’...” La provincia può anche essere crudele, con chi dalla vita ha ricevuto solo calci e non sembra avere la forze per rialzarsi. Spietata, come la Padovadi questo film dal bravissimo Carlo Mazzacurati. Uno che la provincia l'ha saputa raccontare come pochi
Leonardo Pieraccioni prima di incanalarsi in una carriera fatta di commedie in serie, realizzate con la filosofia di una fabbrica di formaggini (buone e cremose magari, ma il vero formaggio non si bene dove sia e se ci sia), ebbe un colpo di genio e realizzò questa divertente e assai riuscita commedia. La provincia toscana, solare e gioiosa, il borgo in cui tutti vorremmo abitare, magari anche con l'arrivo delle ballerine di flamenco. E qui faccio outing: non stravedevo né per la Forteza, né per la Estrada. La mia passione era tutta per Ines (Ana Valeria Dini). Bellissima, secondo me la più bella di tutte
Paolo Virzì ha spesso raccontato la provincia, con toni lievi della commedia (Ovosodo), oppure usandola come sfondo per mettere alla berlina i difetti dell'italiano medio (Ferie d'Agosto). Oppure ancora per raccontare con spietata lucidità il fallimento di una nazione a causa dell'avidità di pochi (lo straordinario Il Capitale Umano). Per questa piccola rassegna cito Caterina va in città, che pure si svolge a Roma, perché a mio avviso ha dipinto benissimo l'impatto devastante che la grande metropoli può riservare ai sogni di un provinciale. E il povero Giancarlo (Sergio Castellitto) che fugge dalla provincia, con famiglia annessa, per realizzare i suoi sogni di gloria nella capitale, sarà costretto a fare i conti con le sue delusioni.
Con Miriam Karlkvist, Vinicio Marchioni, Valentina Lodovini, Francesco Colella
Fabio Mollo delinea con il gelido rigore di un verista un sud che sembra non lasciare scampo ai suoi figli migliori, quelli che vorrebbero solo una vita onesta e un onesto guadagno, travolti da una criminalità imperante e una serie di leggi non scritte che si sostituiscono a quelle di uno Stato che è stato troppo spesso un grande assente. Un padre e una figlia non riescono a elaborare il lutto per la perdita del figlio e fratello, e intorno a loro una città (Reggio Calabria) che sembra considerarli due corpi estranei.
Chiudo con questo doveroso omaggio al grande Piero Chiara. Doveroso perché ho usato le sue parole per aprire questa mia piccola esposizione. Il film è un piccolo capolavoro, un ritratto dell'italiano e delle sue ipocrisie fatto senza alcun riguardo e con un'ironia graffiante. Sullo sfondo il Lago Maggiore e Luino, città natale dello scrittore, che compare in un piccolo cameo.
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