L'incontro delle arti, specie di quelle figurative, è sempre stato fonte di stimolanti conclusioni visive a livello cinematografico. Basti pensare ai grandiosi titoli di testa di Cosmopolis, con la carrellata su una pittura alla Jackson Pollock in corso di elaborazione, ai baconiani titoli di testa di Ultimo tango a Parigi, oppure alle suggestioni alla Hyeronimous Bosch evidenti nel vontrieriano Antichrist. Spesso il cinema si rifà alle suggestioni pittoriche di grandi artisti della storia, e in generale all'arte stessa di fare pittura, rivelando (come il primo Griffith o Bruno Dumont) una grande attenzione nei confronti della costruzione scenica, ribadendo numerose conclusioni sulla prospettiva e sul punto di vista che non risultano assolutamente nuove se si dà un'occhiata a un Turner, o a un paesaggista come Lorrain (o ancora Corot), e giungendo spesso a quella mistione onirica di sogno e realtà che è l'inestricabile mondo dell'immagine (l'immobilità dell'Ultima cena nel bunueliano Viridiana, per non parlare dell'influsso visivo che può aver dato Salvador Dalì a Un Chien andalou). Le conseguenze di queste elaborazioni filmiche sono curiose riflessioni sull'utilizzo della luce e del colore (che avvicina il pittore alla figura essenziale del direttore della fotografia), sull'importanza della contemplazione, sulla armonia (o disarmonia) delle immagini. E nei film più riusciti e curati dal punto di vista formale, il risultato è stato ottimale. Anche perché simili accostamenti possono essere resi coerenti con ciò che riguarda l'idea stessa di fare cinema, bloccare un attimo o idealizzarlo, osservare l'astrattezza o sollecitare tutti i sensi, fino a immersioni visive e sensoriali che mettono di fronte agli occhi l'Arte e le sue eterne miracolose ambiguità, nelle curiose ambivalenze semantiche che può avere, per esempio, negli espressionistici noir, un semplice ritratto (La donna del ritratto, Vertigine). Musica per gli occhi.
Sull'incontro fra cinema e pittura, lo zenit nella storia del cinema. Tra libere associazioni e lente carrellate ipnotiche, le immagini di Sokurov sono figure dipinte, pastelli di colore che si stendono, si rivelano e deformano soavemente una natura inavvicinabile ed austera. Quando il teatro incontra la pittura, ed è il cinema che racconta questo incontro, allora l'immagine vera si perde contemplativa nei dipinti, nelle linee, nei contorni, nei colori, e si è creata la vera ipnosi catartica dell'Arte. Un po' come avviene anche in Madre e figlio e Arca russa.
Il riferimento è esplicito e implicito allo stesso tempo. La scelta profondamente kubrickiana di scegliere il XVIII secolo è sintomo sia della volontà di raccontare caratteri dell'essere umano sempre esistiti sia della voglia di costruire veri e propri quadri, in cui le scene di massa e le intime scene di interni, sempre illuminate da luci naturali, possano rappresentare dipinti di elegante umana decadenza. Come in tutti i film di Kubrick, teniamo gli occhi spalancati e sbarrati allo stesso tempo: sottilmente allucinatorio.
Con Jean Rougeul, Gabriel Gascon, Carlos Asorey, Alfred Baillou
Entriamo nel quadro, ne scopriamo i segreti, ne cogliamo l'essenza. Perché l'autore ha messo quell'oggetto in quella data posizione? Cosa ha spinto il pittore a scegliere simile illuminazione? Qual è il messaggio che un'opera frammentaria ha voluto tramandare e che il destino ha censurato? Il mistero rimane irrisolto: nel film di Raul Ruiz scopriamo come l'immagine sappia raccontare, alludere, evocare, esplicitare, nascondere...
Dipinti che sono più veri del vero: chiarire una realtà grottesca, ridonarle forma, espletarne i contenuti. L'attenzione ai dettagli è un aspetto fondamentale, perché in essi si cela la natura rivoluzionaria dell'espressione artistica. Greenaway gioca con il nostro sguardo per guardare geometricamente il Potere e le modalità con cui la vista può far conoscere.
Con Anatolij Solonicyn, Ivan Lapikov, Nikolaj Grinko, Nikolay Sergeev, Irina Tarkovskaya
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Il film ha il suo punto di forza nella sequenza dei dipinti di Rubliov: la ieraticità dell'immagine sacra, l'incontro più fecondo e importante di immagine, suono, colore e purificazione dei sensi. Stalker raggiunge vette anche superiori, ma gli ultimi dieci minuti di Andrej Rubliov sono immersione nella pura catarsi visiva.
Con Henryk Baranowski, Wojciech Klata, Maja Komorowska, Artur Barcis, Agnieszka Brustman
Tutto Kieslowski è profondamente attento alle tonalità cromatiche, alle immagini, a cosa può evocare a livello prettamente istintivo una data gamma di colori (vedi la trilogia Trecolori). La caduta della cera sul volto dell'icona, alla fine di Decalogo, 1, che poi è uno degli apologhi più profondi e strazianti sulla presunzione umana insieme al Faust sokuroviano, è un incontro simbolico e esteticamente appagante sull'insondabilità del reale e sull'ambiguità delle nostre potenzialità. Forza dell'immagine contro la debolezza dell'uomo: l'inutilità della tracotanza.
Con Minosuke Bandô, Kinuyo Tanaka, Kôtarô Bandô, Hiroko Kawasaki
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Utamaro dipinge i volti delle (sue) donne, le ritrae e poi vende le sue opere, accompagnando l'atto stesso della pittura con le profondi passioni in cui è invischiato. Allo stesso modo Mizoguchi dipinge con tocco da pittore, per le profondità di campo, per le luci degli interni, per un bianco e nero che sprigiona così tanto sentimento e passionalità da colorirsi ai nostri occhi. Il cinema puro, elegante ed essenziale al contempo. Semplicemente Mizoguchi.
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