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“The Cany©ns” : un'opinione.
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“The Cany©ns” : un'opinione.


Il Delirio della Distrazione :  
Io è un Altro 
(dall'influenza alla confluenza).

" Chi da me riceve un'idea riceve istruzione senza che la mia ne sia diminuita; così come chi accende la sua torcia con la mia riceve luce senza toglierne a me. "

Thomas Jefferson ( frase, in altra traduzione, già citata da me, per pura coincidenza, in tutt'altro contesto, in un commento alla mia opinione su "Cosmonauta", e ritrovata rievocata da J.Lethem, che a sua volta...).

-- I --
Cinema al Cinema, cinema su smartphone e tablet, cinema on demand e in streaming, cinema crowd funding e Life in a Day, cinema home movies [ basta una Legria e un programma ''open source'' ( definizione inappropriata...ma dato il contesto...) di montaggio free ] e in file sharing.
 
Considerate lo stato della critica cinematografica fino a ieri più accessibile ai più, quella specializzata e reperibile in edicola :
 
Duellanti : ex-Duel [ maggio '93 – Novembre '03 ( da un'idea di Max Stèfani ( ora ex-Mucchio Selvaggio ) e Gianni Canova ) ], nasce nel Dicembre '03 : dopo 10 (20) anni è ancora attiva, e nel 2013 è uscita con soli (ad oggi) 4 (sic) numeri ( “ rubati alla crisi, estorti alla solitudine, salvati dall'irragionevolezza “ ) a cadenza irregolare : l'80, a Febbraio ( cadute ), l'81, Giugno-Luglio ( bilanci ), l'82, Settembre ( trasformismi ) e l'83, Ottobre ( insabbiamenti ).
FilmCritica, SegnoCinema, la Rivista del Cinematografo, Bianco & Nero, Cineforum, lo Straniero, Nocturno, (il) Mucchio (Selvaggio), Pulp : alcune si occupano di cinema solo collateralmente, poche si trovano in edicola, la maggior parte sono in vendita solo su abbonamento o reperibili in qualche libreria.
FilmTv – l'unico settimanale (...mensile ? Periodico ? ) di cinema.
Eccetera.
 
Quotidiani : a parte alcune pagine de “il Manifesto” e poche, poche, pochissime altre ( per esempio una recensione al mese su "l'Indice dei Libri del Mese" ), meglio tacere.
 
Considerate adesso la nuova accessibilità critica ( più facile ? Quanto più dispersiva e facilmente accantonabile, leggibile col metodo della distrazione ? ), quella del www, delle riviste online [ un lavoro spesso - anzi di uno spesso che rasenta il sempre - ''remunerato'' tanto quanto il cartaceo ( e però, va sottolineato, altrettanto spesso altrettanto specializzato ) : rimborso spese, accesso ai festival, pacche sulle spalle ] :
 
Sentieri Selvaggi ( con gloriosa parentesi cartacea nella seconda metà degli anni '90 ), Gli Spietati, FilmTv-CineRepublic, Indie-Eye, etc..., e blog, blog, blog su blog ( spesso sorprendentemente meravigliosi, altre volte, semplicemente, no ).
 
"...e non ha mai criticato un film senza prima, prima vederlo. "
Rino Gaetano - Mio Fratello E' Figlio Unico

-- II --
Considerate ora questa mia opinione su '' the Canyons “ :
 
Fuori concorso a Venezia 70, The Canyons di Paul Schrader [sceneggiatura di Bret Easton Ellis] è uno di quei film che fanno saltare i formati: rimettono in discussione l’industria cinematografica mainstream, riflettono sullo “stato delle cose”.
Un cinema diroccato, seguito da un altro e da un altro ancora, si affaccia su una strada desolata e post-apocalittica del mondo hollywoodiano del terzo millennio. 'Il mondo è uno sputo', non soltanto perché è tutto piccolo piccolo, assottigliato e privato delle sue immense diversità dalla globalizzazione tecnocratica dell'avvento di iPhone e cybernetici dispositivi elettronici sempre più invadenti, ma anche perché è appiccicoso e disgustoso, sudato per un'inarrestabile corsa al futuro ma umanamente immobile.
Quando un film nella sua struttura sintattica espone il senso del film stesso, allora siamo di fronte ad un buon film. L’operazione intellettuale di riassumere un tema, come quello della morte del cinema inteso come luogo di fruizione dello spettacolo cinematografico nonché nella sua produzione ormai slegata da qualsiasi elemento artistico e romantico, è operazione che a Paul Schrader riesce con lucidità e consapevolezza.
La mano pesante di Bret Easton Ellis ( sempre uguale a se stessa, algida e spietata, glaciale e cinica…e ormai noiosetta ) pialla oltremodo lo scorrere di una pellicola che resta solo in superficie fino a renderla piatta e monocorde ( capitolo a parte Lindsay Lohan, protagonista di sé stessa, di una tragicità tristissima, perché vera e di vita vissuta ).
The Canyons è un film di superfici sintetiche, dunque un film sul cinema, sulla finzione insopportabile dei gesti, sui tic e le posture del cinema hollywoodiano.
Dov'è finita, in questo piccolo mondo prossimo all'implosione (il versamento di sangue finale), l'immagine pura che era utile per la nostra vita? Quando ha cominciato ad essere sostituita dall'ossessione e dalla mania?
 
Un (corto)circuito (meta)filmico abitato da (s)folgoranti manichini in carne plastica e sogni (bruciati), immobili(zzati) in moto catatonico perpetuo dal - e dentro il - nulla glitterato rivestito di celluloide: Paul Schrader e Bret Easton Ellis cantano la putrefazione del pianeta-cinema, sondandone le pieghe spaziotemporali e le piaghe purulente, affondando i metallici strumenti del coscienzioso studioso-analista nelle voragini create dall’illusione che fu. Un’autopsia sul corpo morente: la certificazione dello stato - stagnante, terminale - delle cose è una rappresentazione lunare, glaciale ed essenziale, sospesa nel limbo amniotico di una cavità gravida di tòpoi fertili e usurati, corrosi e corrotti. Il dramma che insegue il thriller che sodomizza l’amore che inscena il noir che si tinge di erotismo e si insozza nella soap, per concludersi amaramente nel vuoto enigmatico e cupo di un’ossessiva ricerca di risposte, di ca(r)pire l’inafferrabile senso di fine. I generi (ri)visitati nel totale - e voluto, inseguito, ricercato - disinteresse per gli stessi e per le regole che li governano sono solo tasselli di un insieme orgiastico costituito per fini indagatori e divulgativi, per aprire e fotografare squarci lerci di verità infette malcelate ma evitate (ed evirate sul nascere). Il livido incipit - una vivida successione di mortifere immagini simboliche di sale abbandonate all’inesorabile decadimento e all’oblio - è, più che faccenda inquietante, una seduta psicologica in cui si rivivono traumi (ognuno ha i propri) e si è costretti a indossare la maschera del caso; e le raffigurazioni sui titoli di coda, aventi ad oggetto una serie di elementi appartenenti all’immaginario collettivo del vivere-cinema, sembrano attestare una beffarda, funerea resa.
Per questo The Canyons non può non essere un film [sul] ridicolo...
 
Nel bel mezzo di un gelido inferno nelle lande dorate di Hollywood, personaggi grottescamente fasulli eppur “veri” nella loro fallace intensità (in)espressiva, e immersi - non a caso - nei poco dorati sottoboschi della città-giungla dei sogni, sono manovrati con gli invisibili fili dell’era digitale da mani operose e menti proiettate oltre. Oltre le barriere della banale riflessione sui mezzi sui tempi sul tutto, oltre le critiche di sistema, oltre la letteratura del contesto e l’arrampicata filologica: la storia non c’è; e quella che appare tale esiste solo sulla marcescente superficie esposta alla macchina da presa. Persino nelle sue componenti più volubili, come nella svolta da thrillerino pomeridiano (l’omicidio). Parrebbe un cedimento, una forzatura, un contentino alle convenzioni (che così trionferebbero), invece è parte del disegno concettuale, dello sguardo - non privo di una certa carica perversa - che restituisce angoscia all’angoscia dell’abisso.
The Canyons infatti intrattiene lo spettatore anche più sprovvisto con un ritmo sincopato e sconvolto, che si tiene a distanza, non per un odio calcolato nei confronti dei suoi personaggi (frequenti i primi piani), ma per la consapevolezza della loro immobilità (molti i campi lunghi), e ancora, non perché essi siano del tutto disumanizzati, ma perché si abbandonano a un nuovo ordine di vita, quello della geometria matematica della loro casa, quello del sesso consumato spesso e talvolta ripreso per tedio di vita, quello di una morbosità che ha perso la sua raison d'etre, e che anzi è diventato ratio essendi assolutadell'esistenza, e si dilunga inutilmente nel procedere prevedibile e insensato della bellezza estetica, della pulizia visiva, del caustico e asettico mondo dell'immagine amatoriale. Nessuno vive più nella privacy, la vita è affacciata sul mondo (volontariamente), e la si guarda attraverso lo schermo di un cellulare, di un computer, di una televisione che può essere anche chat, oppure attraverso i vetri che circondano l'intera casa di Tara e Christian, che sorge su un promontorio ed è suscettibile dei saccheggiamenti che i ragazzi appiattiti di Bling Ring operavano lì nei dintorni.
Centro nevralgico di questa nuova percezione della realtà nel nuovo millennio, quello della online-generation, è il desiderio sessuale, la sua esibizione, la sua fruizione. Questa sua centralità nell’intrico dei rapporti umani è resa dal regista con la centralità del turbamento sessuale nel sistema dei personaggi. Personaggi che, non a caso, sono nella loro fisicità i significanti perturbanti di tale desiderio.
 
Abbiamo bisogno che un vecchio acclamato autore ci venga a rifilare il peggio che si possa vedere in tv e in rete (intervallandolo a delle immagini statiche di cinema abbandonati) per dimostrarci che il cinema è morto?
Forse varrebbe la pena vedere una critica simile nella bellissima e spietata serie inglese Black Mirror.
In The Canyons i protagonisti vengono svuotati di qualsiasi profondità, sono ridotti a figurine monodimensionali che attraversano uno spazio filmico già esplorato, già visto. Anche la violenza sanguinaria che conclude il film è ripetizione meccanica di uno stereotipo, di un cinema che è già stato.
Un film di giochi dove il fine è passare da una noia all’altra, dal sesso singolo a quello in compagnia dove conta solo (ed esclusivamente) l’evidenza, il corpo in quanto tale ( ecco la scelta dell’attore-porno James Deen da parte del regista ) e ciò che è esteriorità. La fotografia rende benissimo questo mondo aggrumato, rabbuiato, ingrigito, privo sostanzialmente di veri colori ( e di luce ) naturale : tutto artefatto, finto e costruito.
 
Quello che ne viene fuori - The Canyons - è un ritratto feroce e audace, uno studio crudo e chirurgico, il cui senso risiede al di là del soggetto (peraltro semplicissimo da “leggere” e commentare), illuminato da luci artificiali e artificiose (la notte che imita il giorno e viceversa), e accompagnato da temi sonori sintetici morbosi.
Quel che resta di ognuno in bella evidenza, quel che resta di altri in mostra, quello che vuoi che non appaia, quello che s’addice al connubio di corpi, quello che di bere resta, quello che il silenzio abnorme (nel fuori il circondario delle trasgressioni, che sono anche fuori a quel che non vediamo mai) rende nei trascorsi di questi ragazzi ‘in mostra’ (un reality in tono massacrante) è di una forza distruttiva, una cancrena sociale, dispersiva e auto implosiva dove il sangue pare un epilogo ovvio e scontato E’ di una evidenza fin troppo triste e mai di pulizia morale. Un film dove la morale non è mai posta e anche mal posta da subito.

Parole chiave del cinema schraderiano, come in particolare di The Canyons, sono dominio e possesso, o meglio l’ossessione di dominio e l’ossessione di possesso, naturali figlie di un’epoca dove il facile accesso a qualsiasi cosa ha azzerato il giudizio critico e liberato l’istintualità primitiva ribaltandone però di segno la pulsione alimentare del corpo altrui, sterilizzando così l’esperienza affettiva e sessuale in cambio di un’esibizione delle stesse per le quali, per poter affermare la loro portata evenemenziale, basta solo una proiezione virtuale, una condivisione internauta, un post, un video, un’orgia sì vera e carnale, ma fatta per soddisfare solo un piacere voyeuristico, come fare una foto di gruppo.
Oggetti di questo desiderio sono i corpi dei protagonisti, più che la loro anima e i loro turbamenti. I loro corpi mettono in scena la loro patologia meglio dell’introspezione attoriale. Il corpo mediocre e borioso di James Deen; quello sfatto della Lohan; quello perfetto di Nolan Funk. E qui andrebbe notato come tutti gli attori maschili, comprese le comparse di nudo e semplici generici – a parte gli attempati produttori e datori di lavoro per ovvie ragioni di interesse puer/senex – sono tutti belli, fisicamente perfetti e sessualmente dotati, mentre le attrici, pur belle e invitanti, sono imperfette. La Lohan su tutte, anche se è ugualmente capace di caricare eroticamente il suo corpo in ogni scena, mentre i personaggi di Cynthia, Tiziana Avarista, e Gina, Valentina Mari, normalizzano il corpo femminile senza sussulti se non quelli elementari.
Corpi intercambiabili svuotati di autenticità e personalità, mimano nel privato – non più privato – il divismo superficiale dell’immagine, slegata da qualsiasi capacità artistica.
Sono loro il materiale di scarto, quel folto sottobosco di stelle nascenti e subito tramontate. Sono la sostanziosa parte che il cinema, per sopravvivere, ha sacrificato.

Manca il castigo in questa storia di delitto, la redenzione è patrimonio di un cinema classico che aveva nell’ottimismo la chiave del proprio successo. Finisce che sembra non finire, come se gli avvenimenti fossero uno stanco riverbero di un realtà demente, consolidata e bloccata nei propri schematismi. Schrader cerca il fastidio dell’estetica, la piattezza della storia, la reiterazione seriale dei comportamenti, le inquadrature sempre a misura di tablet. Manca la profondità di campo. Le immagini scorrono “in superficie”,  scivolano come unte su architetture da soap opera : l’opera di negazione si compie con la mancanza totale della morale
Pertanto il senso di un film come The Canyons andrà cercato non nello script, segnato da dialoghi volutamente da soap, non nelle performance attoriali ( brava Lindsay Lohan ), quanto piuttosto in uno schiaffo della luce (magnifica la scena di sesso a quattro), in una postura divistica dei corpi, in una nota del soundtrack.
Il film è un compromesso con il fastidio della vita di oggi, che è uno schermo e in cui un regista di vecchia scuola si è riuscito perfettamente a immergere, spietato ma non esplicitamente tale, nella ricerca disperata dell'affezione umana in una pellicola che forse va accettata come assioma, nella banalità da soap-opera della sua trama, perché ha capito che della realtà non c'è più niente da capire.
The Canyons è [solo] questo: un’esibizione, vuota e svuotante, di patina cinematografica.
  

Playlist film

The Canyons

  • Thriller
  • USA
  • durata 89'

Titolo originale The Canyons

Regia di Paul Schrader

Con James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Gus Van Sant, Amanda Brooks

The Canyons

In streaming su Serially

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------ Attenzione !!! Spoiler !!! -----
 
Questa 'chiave' per l'opinione che precede elenca le fonti ( utenti di FilmTv.it ) di tutti i passi che ho rubato, ricomposto e leggermente modificato [ quasi tutte le frasi che ho impiegato non sono state rivedute tranne che in minima parte, giusto per farle collimare 'bene' tra loro, per creare un tono coerente : non è che mi andava di sbattermi più di tanto, oramai mi pare chiaro ( ho appena riposto le forbici e ho ancora le dita appiccicose di colla stick della Pritt ) ] mentre...'''scrivevo'''.

Da “Fuori concorso” fino a “stato delle cose” : @Lorebalda.
Da “Un cinema diroccato” fino a “umanamente immobile” : @EightAndHalf.
Da “Quando un film nella sua struttura” fino a “con lucidità e consapevolezza” : @Rototom.
Da “La mano pesante” fino a “vita vissuta” : @Giorgiobarbarotta.
Da “The Canyons è un film di superfici sintetiche” fino a “le posture del cinema hollywoodiano” : @Lorebalda.
Da “Dov'è finita” fino a “dalla mania?” : @EightAndHalf.

Da “Un (corto)circuito” fino a “funerea resa” : @M Valdemar.
Da “Per questo The Canyons” fino a “un film [sul] ridicolo...” : @Lorebalda.

Da “Nel bel mezzo di un gelido inferno” fino a “angoscia dell'abisso” : @M Valdemar.
Da “The Canyons infatti intrattiene” fino a “operavano lì nei dintorni” : @EightAndHalf.
Da “Centro nevralgico” fino a “tale desiderio” : @Scapigliato.

Da “Abbiamo bisogno che” fino a “il cinema è morto?” : @Momasu.
Da “Forse varrebe la pena” fino a “Black Mirror” : @Barone Cefalù.
Da “In The Canyons i protagonisti vengono svuotati” fino a “di un cinema che è già stato” : @Lorebalda.
Da “Un film di giochi” fino a “finto e costruito” : @Lorenzodg.

Da “Quello che ne viene fuori” fino a “temi sonori sintetici morbosi” : @M Valdemar.
Da “Quel che resta di ognuno” fino a “mal posta da subito” : @Lorenzodg.

Da “Parola chiave del cinema” fino a “se non quelli elementari” : @Scapigliato.
Da “Corpi intercambiabili” fino a “capacità artistica” : @Rototom.
Da “Sono loro il materiale di scarto” fino a “per sopravvivere, ha sacrificato” : @Amandagriss.
 
Da “Manca il castigo” fino a “mancanza totale della morale” : @Rototom.
Da “Pertanto il senso di un film” fino a “una nota del soundtrack” : @Lorebalda.
Da “Il film è un compromesso” fino a “non c'è più niente da capire” : @EightAndHalf.
Da “ The Canyons è [solo] questo” fino a “patina cinematografica” : @Lorebalda.

Ovviamente...anche questa 'chiave', come del resto l'idea dell'opinione-collage, l'ho rubata, per la precisione a Jonathan Lethem dal suo saggio del 2007, ''l'Estasi dell'Influenza”, pubblicato originariamente su Harper's e poi inserito nella sua...''specie di autobiografia'' del 2011 [ Bompiani, 2013 ], a cui conferisce il / che porta lo stesso titolo ( a sua volta tratto da...etc...), ''the Extasi of Influence'', che consiglio fortemente a tutti.
 
E ovviamente il film non l'ho ancora visto...
… e altrettanto ovviamente anche l'idea di ''recensire'' un film che non si è visto non è mia, ma frutto di un'appropriazione indebita verso una consuetudine @Kubritch-iana...
...che a sua volta è pratica e prassi comune vecchia come il proverbiale cucco...
...ma conto di riuscire a vederlo nei prossimi 10 giorni.
Intanto...un'opinione me la sono fatta. A visione avvenuta, quanto ne sarò (stato) influenzato ?
  

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Frankenstein

  • Horror
  • USA
  • durata 71'

Titolo originale Frankenstein

Regia di James Whale

Con Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, John Boles, Edward Van Sloan, Frederick Kerr

Frankenstein

In streaming su Amazon Video

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" Bisogna umilmente ammettere che l'invenzione consiste nel creare qualcosa non a partire dal nulla, bensì dal caos. "

Mary Shelley ( dall'introduzione a " Frankenstein, o il Prometeo moderno " ).
  

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Auto Focus

  • Drammatico
  • USA
  • durata 105'

Titolo originale Auto Focus

Regia di Paul Schrader

Con Greg Kinnear, Willem Dafoe, Rita Wilson, Maria Bello, Bruce Solomon

Auto Focus

In streaming su Amazon Video

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Morale.
 
Il risultato di questo 'esperimento' ?
Altra ovvietà, col senno di poi e il dissenno iniziale :
la critica non è morta, e non si è nemmeno trasferita in massa nei megastore - ou(tin)let - supermarket del pulviscolare mondo semi-virtuale
( anche se per fortuna non è come per qualsiasi circuito the Space o UCI in cui l'offerta è si varia ma appiattita verso il basso, qui, anche su FTV, resistono le MonoSale, dov'è ancora possibile beccarsi un Reygadas o un the Act of Killing, dove le opinioni variano dal mini-saggio sostanzioso al breve elzeviro, dalle misere opinioni-trama con aggiunta finale di ''mi piace'' alla 'classica' critica canonica ),
si è solo...incanalata in percorsi vasti e profondi, altri : gli stessi ''I©'' di sempre, diversi...
  

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Crimine silenzioso

  • Thriller
  • USA
  • durata 86'

Titolo originale The Lineup

Regia di Don Siegel

Con Eli Wallach, Robert Keith, Warner Anderson, William Leslie, Mary Laroche

Crimine silenzioso


" Quando vivi al di fuori della legge, devi eliminare la disonestà. "

the LineUp - Don Siegel - Stirling Silliphant - Eli Wallach - 1958

" But to live outside the law, you must be honest. "

Bob Dylan - Absolutely Sweet Marie - Blonde on Blonde - 1966
  

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Lolita

  • Drammatico
  • USA, Gran Bretagna
  • durata 152'

Titolo originale Lolita

Regia di Stanley Kubrick

Con James Mason, Peter Sellers, Sue Lyon, Shelley Winters, Gary Cockrell, Jerry Stovin

Lolita

In streaming su Now TV

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" Considerate questo racconto : un uomo colto di mezz'età ripensa alla storia di un amour fou, che ha inizio quando lui, in viaggio all'estero, prende una stanza in una pensione. Non appena vede la figlia della padrona, è perduto. La ragazza è preadolescente, e il suo fascino lo rende schiavo all'istante. Incurante dell'età, entra in confidenza con lei. Alla fine, lei muore, e il narratore - segnato per sempre - resta solo. Il nome della ragazza costituisce anche il titolo del racconto : Lolita.
L'autore del racconto che ho descritto, Heinz von Lichberg, pubblicò la sua storia di Lolita nel 1916, quarantanni prima del romanzo di Vladimir Nabokov. Lichberg, in seguito, negli anni del nazismo, divenne giornalista di spicco, e le sue opere giovanili caddero nell'oblio. Nabokov, che abitò a Berlino fino al 1937, si appropriò consapevolmente della storia di Lichberg ? O la versione precedente era, per Nabokov, mera memoria sepolta, e non riconosciuta ? Nella storia della letteratura non mancano esempi di questo fenomeno, chiamato criptomnesia. "

Jonathan Lethem - op.cit.

" Da ''Un uomo colto...'' fino a ''...memoria sepolta e non riconosciuta ?". Questo passo, con qualche aggiustamento nel tono, appartiene all'ANONIMO CURATORE o REDATTORE che ha scritto il risvolto di copertina di The Two Lolitas, di MICHAEL MAAR. Ovviamente, nella mia esperienza, la stesura dei risvolti di copertina è spesso frutto della collaborazione tra autore e editor. Può darsi che ciò valga anche nel caso di Maar. "

Jonathan Lethem - op.cit.

Una terza versione di Lolita è la sceneggiatura scritta ( e ri-scritta ) da Nabokov per Kubrick nel '61 che poi il regista decise di non utilizzare e Nabokov pubblicò anni dopo, nel '71, convinto della giustezza della decisione presa dal regista.
Il libro è stato pubblicato in Italia da Bombiani nel 1997 con prefazioni di enrico ghezzi e di Vladimir e Dmitri Nabokov e una..."postfazione di Stanley Kubrick" tratta da un'intervista apparsa sul numero dell'Inverno 1960-'61 di "Sight and Sound".
Un libro per me imprescindibile per quanto riguarda la questione dell'Adattamento.
 

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Psycho

  • Thriller
  • USA
  • durata 103'

Titolo originale Psycho

Regia di Gus Van Sant

Con Vince Vaughn, Anne Heche, Viggo Mortensen, William H. Macy

Psycho

In streaming su Amazon Video

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"Plagio"-copia conforme.

" Trovarmi, da ingenuo adolescente pieno di ambizioni qual ero, nella stessa classe di Bret Eston Ellis e di donna Tartt, emblematiche e prodighe maestà di uno scintillante attimo nella storia dell'editoria, fu davvero troppo, addirittura caricaturale. [...] Quando uscì il primo libro di Bret, io mi ero già ritirato a ovest, anche se preferivo sostenere di essere evaso ( si veda Soccombere a Wendover ). Quando uscì Dio d'Illusioni (the Secret History) di Donna Tartt io facevo il commesso e maneggiavo copie del suo libro. Vendetti tante copie di entrambi. "

Jonathan Lethem - "lo Zelig della Notorietà", in op.cit.
  

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Io non sono qui

  • Drammatico
  • USA
  • durata 135'

Titolo originale I'm Not There

Regia di Todd Haynes

Con Christian Bale, Cate Blanchett, Richard Gere, Heath Ledger

Io non sono qui

In streaming su Amazon Prime Video

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...and Theft.

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