I film di fantascienza (i migliori) ci mostrano come siamo legati alle nostre certezze, ma come queste siano insufficienti per "conoscere" in maniera completa e assoluta. Nonostante l'ignoto che circonda la Terra, noi ci facciamo bastare noi stessi, talvolta la nostra Terra, non perché oggettivamente sia una consolazione efficace, ma perché non abbiamo altro. Nei film horror l'ignoto non è tanto lontano, sta dietro l'angolo (anche di casa), ma se non la Terra, rimaniamo noi (se non parliamo di certi horror particolari). Nel J-horror l'operazione è ancora più profonda, non ha solo distrutto la certezza di noi stessi (in maniera ben più profonda degli americani The Sixth Sense o The Others, per esempio), ma ha distrutto le nostre prercezioni: tradizioni, spazio, tempo, esistenza, vita e morte. C'è una dimensione metafisica palpabile nei classici J-Horror, compresi in quelli meno riusciti (da Into the mirror a The Red Shoes, dal bello Dark Water al mediocre ma inquietante Audition, dai primi due film della trilogia di The Eye al coreano Two Sisters), perché i giapponesi ce l'hanno nell'anima, il contrasto fra spiritualismo e freddezza metropolitana (anche se non c'era bisogno dell'horror per capirlo), e lo ricordano a noi occidentali, che rielaboriamo i loro horror nel disperato tentativo di fare paura, senza capire che nei J-horror c'è ben altro, c'è un masochismo non fine a sé stesso, ma assai eversivo e apocalittico, che noi possiamo solo intuire. Per il resto, c'è l'angoscia (d'esistere).
Con Michiyo Aratama, Misako Watanabe, Rentaro Mikuni, Tatsuya Nakadai, Keiko Kishi
Kwaidan è una storia mitica di fantasmi, di spiriti, di vita e di morte, una sinfonia crudele e visivamente appagante dei misteri atavici dell'esistenza, sontuosamente sconvolgente. E' un po' l'antenato dei J-horror moderni, e ha aperto la strada a moltissimo cinema più recente: peccato che in pochi lo conoscono. Kobayashi è infatti più conosciuto per Harakiri, l'altro suo capolavoro che non è certo horror, ma ha la sua alta dose di inquietudine.
Con Koji Takusho, Anna Nakagawa, Tsuyoshi Ujiki, Masato Hagiwara
Kyoshi Kurosawa, cinema ipnotico, crolliamo noi, crollano le nostre certezze, crolla tutto a livelli incredibili. E l'irrazionale che ci sostituisce è un abisso inimmaginabile di terrore. Ipnotico.
Con Nanako Matsushima, Hiroyuki Sanada, Miki Nakatani, Hitomi Sato
Ringu, non confondiamolo con il verbinskiano The Ring, lì è tutto metallizzato e volto allo spavento più banale. Nel film di Hideo Nakata c'è invece una consapevolezza più distruttiva, ci costruiamo da soli le nostre paure e le nostre certezze artificiali. I capelli neri, però, non se li è inventati Nakata: guardate a Kwaidan al primo posto, per quelli.
Con Shin'Ichi Tsutsumi, Kou Shibasaki, Kazue Fukiishi, Atsushi Ida, Anna Nagata
La qualità cinematografica di questo film di Miike è dubbia, ma, sulla scia di Ringu è tra le imitazioni più riuscite. Disturbante, fastidioso, di un'oscurità insidiosa e barocca. Dannatamente silenzioso.
Con Haruhiko Katô, Kumiko Aso, Koyuki, Kurume Arisaka, Masatoshi Matsuo
Come non metterlo? Una delle più belle Apocalissi silenziose del nostro cinema (per certi versi associabile a Il cavallo di Torino). Ci stiamo disperdendo e astraendo nel Web, le nostre ombre cercano disperate risposte. E tutto diventa più buio e ignoto.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook, ma c'è un nick con lo stesso indirizzo email: abbiamo mandato un memo con i dati per fare login. Puoi collegare il tuo nick FilmTv.it col profilo Facebook dalla tua home page personale.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook? Vuoi registrarti ora? Ci vorranno pochi istanti. Ok
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta