Nel documentario si annulla il filtro cinematografico, non si vuole più illudere, o, meglio, l'illusione diventa sbagliata, ingiustificata, non corretta, nei confronti di una realtà (o di una interpretazione di essa) che a quel punto deve assicurare della propria veridicità. Per questo si è creato il genere falso documentario, "falso" perché non è un "documento", uno specchio del reale. Ma, allora, come evitare che un documentario sia una sterile e mera rappresentazione di un vero - seppur meraviglioso, in certi casi - e invece riesce effettivamente a destare stupore? Cos'è che permette a un documentario di diventare un capolavoro dell'intera arte cinematografica? La partola chiave è "interpretazione", la visione del regista non si deve annullare, ma deve chiedersi, deve scoprire, deve anche ironizzare o deve liricizzare attraverso musiche, sempre senza toni ipocriti, con pretese di realismo che superino però l'indifferenza (grandiosi film come Bowling a Columbine, Tie Xi Qu - Il distretto di Tiexi, He Fengming, Titicut Follies). Certo, dovrò tralasciarne alcuni, ma ecco i documentari che non mi hanno lasciato indifferente.
Kopple e il mondo del proletariato, la disperazione scioperante di volti che trovano in una cultura americana dell'entroterra e ancora sana, meno globalizzata, una consolazione dai tristi rapporti di produzione che regolano la loro vita lavorativa disperata, all'insegna di un'alienazione marxista che però non li scoraggia, ma li spinge alla lotta. Quando le rivolte avevano ragion d'essere.
Non so se considerarlo un documentario, è un'illustrazione su ciò che è rimasto della Shoah, di come il nulla dei campi di concentramento sia ancora colmo delle urla agghiaccianti delle vittime di un massacro. Una poesia di immagini, di cui rimangono riflessi, sensazioni, magia, tutto intinto in un tenebroso senso di morte.
Ivens e il mondo aristocratico e il mondo povero, il mondo nel suo complesso, sotto la pioggia. Nessuna pretesa autoriale, nessuna impressionante riflessione metafisica, ma solo la tempesta (bellissima) e la quiete ordinaria dopo la tempesta.
Come non metterlo? L'impresa documentaristica che ha fatto la storia, affetti caldi e umani nel gelo di una natura ostile ma compagna, al limite dunque fra due dimensioni. Certo, filtra attraverso lo sguardo di noi abitanti occidentali e non così "settentrionali".
Ore e ore di sguardi, di volti, di pianti, di lente carrellate, per scoprire il mistero di una catastrofe. Il lirismo si annacqua nella consapevolezza che nella Shoah non c'è niente di poetico, tutto è atrocità. Lanzmann non si ferma davanti a nulla, contempla, non giudica, e non giudicare, in un film sull'Olocausto, può essere considerato un fatto immorale: qui è un profondissimo atto di umiltà.
Wang Bing (Tie Xi Qu, He Fengming) realizza, tra questi tre, il suo miglior film, uno sguardo drammatico e lirico su un mondo in rovina, e l'innocenza infantile che tenta di riscattarsi. A volte ci riesce, a volte la realtà è più forte della loro ingenuità.
L'annullamento della finzione cinematografica, sguardo caleidoscopico su volti affranti e disperati. Una bolgia di confusione e di relitti umani, un po' la visione seria e documentaristica di Al di là della vita, con un'ultima immagine apparentemente inoffensiva, ma che mostra il circondario dell'ospedale come freddezza del mondo contemporaneo. Wiseman è un maestro, e si vede.
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