Dulcis in fundo. Fino al penultimo giorno, la mia impressione sul Festival era abbastanza fredda. Pochi i film che, fino a quel momento, mi avevano davvero colpito. Niente di drammatico, sia chiaro, ma non i capolavori che ci si aspetta partecipando alla seconda più prestigiosa Mostra internazionale di cinema. Essendo arrivato qualche giorno dopo l’inizio del Festival, sapevo di aver perso alcuni dei film più interessanti, come Night Moves di Kelly Reichardt e The Canyons di Paul Schrader. Ma, a risollevare sorti (e il morale!), ci sono stati l’ultimo capitolo di Heimat, La Jelousie, di Philippe Garrel, e, come un fulmine a ciel sereno, Stray Dogs, del taiwanese Tsai Ming-liang. Una visione devastante, definitiva: perfetta per chiudere in bellezza questa rassegna, e tornare a casa con il cuore in pace. Ai film che non ho inserito in questa playlist – che comprende i miei sette favoriti – voglio aggiungere un paio di “menzioni speciali”: Moebius, di Kim Ki-duk, una visione strana, capace di momenti sublimi così come di (volute– lo sguardo finale è programmatico) ricadute; e Kaze Tachinu di Hayao Miyazaki, un’opera pressoché perfetta nella sua elegante veste formale, ma che non mi ha emozionato come altri film del maestro dell’anime (complice, sicuramente, un’ambientazione più realistica). Voglio, infine, ringraziare e salutare tutti gli utenti che ho conosciuto e che ho re-incontrato: è stato davvero un piacere, e spero in altre visioni tutti assieme!
Con Lee Kang-sheng, Lee Yi-Cheng, Lee Yi-Chieh, Chen Shiang-chyi, Lu Yi-Ching, Chen Chao-rong
Fine. L’ultimo, disperato film di Tsai Ming-liang; una visione a tratti insostenibile. Una tensione scopica che fa contrarre lo stomaco. Il pianto che si trasforma in pioggia, la pioggia che annerisce le case, le case che imprigionano gli uomini. Non c’è via di scampo (dall’inquadratura).
Titolo originale Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht
Regia di Edgar Reitz
Con Maximilian Scheidt, Jan Schneider, Marita Breuer, Werner Herzog, Rüdiger Kriese
Rinunce. L’ultimo capitolo della saga famigliare tedesca è un salto indietro nel tempo. Un conflitto fraterno, in una Germania da cui si vorrebbe fuggire. Ma le radici sono dure da estirpare.
Bagliori. Il film che è una scoperta. Tra tante visioni di cinematografie minori, forse un po’ troppo rincuoranti o svolte con eccessivo perfezionismo (come La recostruction), Ruin è un’operazione scardinante, che fluttua attraverso vibranti inquadrature. Tra Claire Denis e Philippe Grandrieux.
Ibridi. Il film più fischiato del Festival. Eppure, un’operazione a mio parere davvero interessante (ma so che @Spaggy e @AlanSmithee non saranno proprio d’accordo!), che fa convergere, in maniera originale, un’estetica da videoclip (il regista viene da lì), tempi contemplativi e il genere fantascientifico. Stravolgendolo, ovviamente.
Sostituzioni. Il primo film del giovanissimo Xavier Dolan che mi ha convinto. Un film ossessivo, inquietante, impossibile da inquadrare. Forse un poco irrisolto - ha solo 24 anni! -, ma a tratti potente.
Titolo originale The Unknown Known: The Life and Times of Donald Rumsfeld
Regia di Errol Morris
Con Errol Morris, Donald Rumsfeld, Kenn Medeiros
Significati. Non (solo) un documentario su Donald Rumsfeld, ma sulla comunicazione, sul linguaggio. Sicuramente, non un film perfetto (c’è un’eccessiva enfasi, oltreché una costruzione un po’ confusionaria), ma ambiguo il giusto per renderlo interessante.
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