Mai un horror ha detto così tanto, mai ha raggiunto l'inconscio più in profondità, mai ha inquietato di più, mai ha osato più di questo mettere in dubbio le nostre certezze e i nostri affetti più stretti. Però metà del lavoro è di Krysztof Penderecki.
Cantet ha sviscerato con il suo sguardo un'istituzione molto più di un qualunque capolavoro di Frederick Wiseman, facendo leggeri compromessi col romanzesco ma parlando sinceramente all'intera umanità in tutte le sue differenze.
Il vero metacinema, che però potesse fare a meno delle sperimentazioni di Vertov, l'ha inventato Billy Wilder, e non si può non vedere nella discesa di Norma giù per le scale la discesa verso il vortice di follia generato dal compromesso fra cinema e fama, cultura e divismo.
Preminger sa percorrere con rara maestria il confine fra il noir e la riflessione profonda e ardita sull'identità e sul labile confine fra sogno e realtà, più di qualunque trovata visiva di Fritz Lang o del miglior Siodmak.
Se ne esce allo stesso tempo storditi e allo stesso tempo con un genuino senso di terrore: la vita è diventata il gioco di un voyeur (possibilmente hollywoodiano) che prende in giro noi e tutte le nostre possibili e alternative esistenze.
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