La presenza dell'uomo è assolutamente centrale nel cinema di Kenji Mizoguchi, per una poetica "umanista" scevra di ogni velleità meramente spettacolare, incline solo a tradurre in immagini la pura essenza di un dolore fisico e morale insieme che si fa storia in continuo divenire. Se c'è una costante che percorre per intero la lunga e luminosa carriera filmografia dell'autore giapponese, questa può essere sinteticamente rintracciata nel fatto che ogni azione posta in essere da uno qualsiasi dei protagonisti dei suoi film è regolamentata dal rispetto di un preciso codice comportamentale, ogni slancio emotivo è rimesso in riga dalla persistente elargizione di un ordine, ogni gesto votato all'autonomia di pensiero è soffocato sul nascere da una mentalità spiccatamente corporativa. E' come se ogni azione autenticamente "umanizzante" fosse un rischio che una società maschilista rigidamente gerarchizzata secondo un ordine mai messo in discussione non può permettersi di correre : perchè presupporebbe l'azzeramento di ogni distinzione sociale e una dialettica orizzontale in alcun modo ammissibile. Da qui mi sembra si possa far derivare la duplice direttrice che caratterizza ampiamente la poetica di Kenji Mizoguchi : l'una riferita all'interesse per la storia secolare del Giappole ; l'altra, alla centralità attribuita al ruolo sociale della donna (per il quale tema vi rimando allo scritto di Yume, "Le donne di Mizoguchi Kenji"). Per quanto riguarda il primo punto, va sottolineato, a mio avviso, che Mizoguchi si rapporta alla materia storica assumendo l'attegiamento di chi intende fornire un ragionevole e ragionato contributo di conoscenza, limitandosi ad aderire ad essa col fine precipuo di proiettare i tratti fondamentali di quel particolare e complesso contesto culturale che era (ed è, evidentemente) il Giappone, quelli, cioè, suscettibili di permeare così nel profondo il carattere di una nazione da far sentire i propri influssi ben oltre il periodo storico preso a riferimento. Innanzitutto, il suo è un cinema che non eccede mai in situazioni spettacolari e ne tantomeno sa retrocedere su accomodanti semplificazioni didascaliche, prova ne è che Mizuguchi, più che all'epica guerresca del samurai o alla regalità delle corti imperiali colte nella loro composita dimensione ideale, mostra di interessarsi di più all'uomo logorato lal rispetto pedissequo di quei molteplici vincoli di casta che regolano la sua esistenza, avvinto da un destino già tracciato da cui non può o non vuole sfuggire. Circa la centralità conferita al ruolo della donna, invece, va senz'altro ricordato subito che è proprio filtrandolo attraverso le vicende esistenziali di donne soggiocate da un destino crudele che Kenji Mizoguchi intende far emergere per contrasto la natura intimamente contraddittoria del genere umano : l'egoismo che ne forma i pensieri e la sete di potere che ne indirizza l'azione. Per l'autore nipponico la donna rappresenta l'elemento che tende ad equilibrare talune distorsioni sociali prodotte dall'uomo, lo sguardo sincero che si pone oltre la pavida accondiscendenza maschile a ruoli sociali sacralizzati dalla storia. Mizoguchi la ritrae tendenzialmente buona e forte di spirito, caratterizzata da una encomiabile tempra morale anche, non perchè in assoluto la donna non sia capace di pensare e di compiere azioni malvage, tutt'altro, ma perchè, con relativo e specifico riferimento ad una società retta sulla protervia maschile, prima di ogni altra cosa la donna è vittima designata. Si evince da quanto scritto che il cinema di Kenji Mizoguchi sembra condurre l'aridità dei sentimenti ad un punto di non ritorno, eppure, quanta dolcezza è possibile scorgervi, quanta serena accettazione del dolore, quanto amore per il semplice enunciarsi dei sentimenti. E quanta poesia lungo il deserto degli eventi. In effetti, il maestro giapponese sa equilibrare a dovere gli opposti (amore e odio, vita e morte, ragione e sentimento), mantenedo la giusta distanza (e mi ripeto) tra la pura adesione allo scorrere della vita che si fa storia del mondo che si intende rappresentare, e lo sguardo adottato dall'artista che fa da cornice elegiaca al tutto. Se ne ricava un linguaggio cinematografico che abbina lirismo delle immagini e rigore stilistico, che nella loro mirabile armonia sgorgono quella particolare forma di bellezza che sa farsi cinema.
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Nessuna azione di combattimento, l'etica del samurai è colta nella sua dimensione meditativa. Impera l'ellissi della morte. Affresco storico stupendo. Parte 1
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Con Kinuyo Tanaka, Toshiro Mifune, Masao Shimizu, Ichirô Sugai
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Mirabile parabola sulle miserie umane. O-Haru è il coraggio di assecondare i propri sentimenti più puri laddove l'uomo è la codardia che si nasconde dietro la sua posizione di potere. Non c'è retorica, solo del cinema che arriva a toccare le corde dello spirito.
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Due amanti non possono pensare di concedersi vicendevolmente senza dover convivere con la necessità di dover perire insieme. Così, l'amore e la morte, più che rappresentare due entità tra loro antitetiche, sono una la diretta promanazione dell'altra.
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Con Machiko Kyo, Ayako Wakai, Aiko Mimasu, Michiyo Kogure
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La storia di cinque prostitute nel Giappone del secondo dopoguerra, un paese che ha voglia di catapultarsi sazio nel nuovo che avanza e che sta cambiando in fretta e male le sue più antiche abitudini. Un paese che ha iniziato ad andare troppo in fretta per non lasciare senza fiato i suoi “sudditi” più deboli e sfortunati. Anche per quest'ultimo film, la donna rimane la pietra angolare della poetica di Kenji Mizoguchi.
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