Il ‘touch’ più famoso è certamente quello di Lubitsch, ma volendo possiamo riconoscere uno stile molto personale, facilmente riconoscibile, anche in tanti altri registi.
Quando nel 1930 Renè Clair (Renè Chomette, 1898 - 1981) geniale e bizzarro regista, scrittore, sceneggiatore ed attore (è stato diretto da Feuillade, uno dei padri-creatori del cinema) dirige il suo primo film sonoro, la favola 'Sotto i tetti di Parigi', è già famoso soprattutto per due lavori con i quali, affascinato dal dadaismo e dal surrealismo, ha stupito pubblico e critica: il cortometraggio sperimentale 'Entr’acte' (1924), occupante un posto nella storia del cinema per le provocanti immagini astratte che hanno attirato fiumi di critiche (ma anche fischi indignati) e il più tradizionale 'Il cappello di paglia di Firenze' (1927) tratto da una piece di Labiche e Michel che ha consentito a Clair di raccontare attraverso le immagini, con la sua poetica, con il suo utopismo, una storia inverosimile dal ritmo forsennato (merito anche del montaggio), caratteristiche che diverranno, insieme ad anarchici sberleffi, frenetiche girandole di equivoci e fatalità condite con ironia ed umorismo, il suo marchio di fabbrica ‘il Clair touch’.
Il regista non fu contento di lasciare il muto per il sonoro perciò in diversi film usò i dialoghi il minimo indispensabile dando invece molta importanza ai suoni ed ai rumori per 'Sotto i tetti di Parigi' (la sua città tanto amata, splendidamente ricostruita in studio) e alla musica ed alle canzoni per 'Il milione' (1931). Credo che tutti i suoi film possono definirsi commedie: alcuni sono musicali o vaudeville, altri pochade o operette; le giocose storie raccontate spaziano dall'amicizia all’altruismo per 'A me la libertà' (1931), all'amore protagonista del film 'Le grandi manovre' (1955). I suoi ingegnosi lavori sono molto curati, fino nei minimi particolari, soprattutto la scenografia che amava fare ricostruire in studio - ottenendo scene mirabili. I suoi personaggi sono popolani e piccoli borghesi, poveri ma schietti, ai quali capitano avvenimenti fuori dal comune... lo spettatore si identifica e sogna! Anche la scelta degli attori si rivela spesso vincente, ricordo Gèrard Philipe (che forse è stato il suo preferito), Michel Simon e Maurice Chevalier.
Nel 1936 - dopo tanti successi - per colpa di un fiasco (‘L’ultimo miliardario’, 1934), Clair lascia la Francia per l'Inghilterra dove dirige l’esile ‘Il fantasma galante’ (1936) e il decisamente non memorabile ‘Vogliamo la celebrità’ (1937) ... forse risente della poca libertà che il produttore Alexander Korda gli concede o forse non è portato per lo humor inglese?
Poi, a causa della guerra, si reca in America dove gira diversi successi commerciali - ma sempre lavori impeccabili e di gran classe - come i famosi 'Ho sposato una strega' (1942) con i bravi V. Lake, F. March e S. Hayward e 'Avvenne domani' (noto anche come Accadde domani, 1944) ... avere un quotidiano il giorno prima che esca, che trovata! Per 'Dieci piccoli indiani' (1945), tratto dal famoso libro di Agatha Christie più volte portato sullo schermo, Renè Clair non abbandona il suo solito umorismo ma lo trasporta nel giallo della trama e modifica il finale, rendendolo più ‘lieto’.
Tornato in Francia trasporta la sua nostalgia per Parigi e per il cinema muto ne 'Il silenzio è d'oro' (1947) sincero e divertente omaggio all' industria cinematografica "macchina per fabbricare sogni". Ma con 'La bellezza del diavolo' (1950) i suoi film iniziano ad essere meno spontanei, più ambiziosi, meno convincenti, e 'Le grandi manovre' (1955), storia di un giovane ufficiale di cavalleria che giocando con l'amore rimane scottato, pur essendo uno spettacolo di qualità, non incanta. Poi gira 'Il quartiere dei lillà' (1956) ancora un film decisamente 'clairiano' ma anche il suo ultimo lavoro riuscito. Dopo aver diretto una ventina di film - tra i quali alcune vere perle che rappresentano lo spirito della Francia - per le delusioni ricevute dalle critiche agli ultimi lavori, comprese quelle a due episodi inseriti in due film collettivi, smette di fare il regista e torna a scrivere.
Renè Clair fu talmente signore da non volere che la produzione di 'A me la libertà' chiedesse i danni a Charlie Chaplin per il film 'Tempi moderni' dove c’è la famosa scena della catena di montaggio di una fabbrica molto simile a quella del loro film - il presunto plagio lui lo ritenne un onore!
Con Jean Borlin, Man Ray, Francis Picabia, Marcel Duchamp, Eric Satie
Nato come breve intermezzo cinematografico per uno spettacolo di balletti, è una serie di anarchiche stranezze senza apparente logica, come una ballerina barbuta o dei cacciatori che si sparano tra loro.
Con Raymond Cordy, Henri Marchand, Paul Olivier, Rolla France
Meglio essere barboni vagabondi o lavorare in una fabbrica disumanizzante? Che bello sarebbe se gli operai fossero pagati per giocare a bocce. E che dire degli avidi ricchi che si litigano per prendere delle banconote che svolazzano?
Con Albert Préjean, Pola Illery, Gaston Modot, Edmond T. Gréville
Un cantante viene arrestato. La sua compagna, sapendolo innocente, chiede aiuto ad un suo amico... la trama è un pretesto, la vera protagonista è Parigi con le sue finte, poetiche, scenografie.
Con Gérard Philipe, Michel Simon, Nicole Besnard, Carlo Ninchi
Chi non darebbe l'anima al diavolo per poter tornare giovane e bello? Il fascino della possibilità di vivere due volte. Grande istrione Michel Simon in una doppia interpretazione.
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