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Quando l'Italia era Calibro 9
di GIANNISV66 ultimo aggiornamento
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Quando l'Italia era Calibro 9

Italia, anni'70. Un periodo della storia recente piuttosto travagliato, gli anni della contestazione giovanile, che dopo la rivoluzione del 1968 assumeva contorni più tragici, finendo per incrociare la propria strada con l'eversione politica sia “nera” che “rossa”, gli anni in cui il paese si risvegliava dalla bella favoletta del boom per ritrovarsi a fare i conti con una crisi economica devastante e una realtà sociale piuttosto lontana dalle belle speranze prosperate nel decennio precedente.
Gli scioperi erano all'ordine del giorno, la classe operaia si ricompattava per difendere i propri diritti ma l'aria diventava pesante, e a prevalere era un'atmosfera di scontro tra le parti sociali.


In un contesto così difficile si inseriva la criminalità, che approfittava della confusione generale e di uno Stato che troppo spesso mostrava di non essere pronto a fronteggiare una simile condizione di emergenza, per poter allungare i propri tentacoli. Sono gli anni in cui rapine ed eventi criminosi tempestano le pagine dei quotidiani, in cui le azioni dimostrative dei gruppi eversivi a matrice politica (comunista o fascista, ha poca importanza) si accavallano alle “prodezze” compiute dalla delinquenza comune.
Un simile contesto non poteva che generare ansie e paure nella maggior parte delle persone, soprattutto il ceto medio risentì di questo stato di pesante incertezza, ceto medio che da una parte anelava al proprio miglioramento sociale ed e economico, seguendo e pure, all'estremo, scimmiottando gli atteggiamento della cosiddetta alta borghesia, e dall'altra temeva per quel livello di benessere relativo raggiunto cavalcando il cosiddetto “boom” economico, ma di cui sentiva molto forte la precarietà di fronte a congiunture sovranazionali di cui allora (come del resto oggi) capiva assai poco.


Il cinema specchio della società non poteva certo esimersi dal riflettere queste paure e il prodotto più diretto fu la nascita del genere poliziottesco.
Come si intuisce già dalla parola, si tratta di una derivazione del genere poliziesco ma con una serie di particolarità tali da differenziarlo dal filone di origine per collocarlo in una nicchia a parte.
Nel poliziesco classico è l'indagine sull'evento delittuoso il pilone portante della narrazione, il protagonista è un membro delle forze dell'ordine che si scontra con la criminalità adottandone sovente i metodi per far trionfare la giustizia.
Più ancora del ruolo della polizia, è la presenza dell'azione e di una certa misura di violenza che si rivela fondamentale nel differenziarlo dal genere giallo, dove invece spesso i protagonisti sono investigatori che agiscono al di fuori di una istituzione, per non dire “casuali”, e dove comunque ciò che è rilevante è l'acume logico con cui vengono sbrogliate vicende ed eventi assolutamente intricate e apparentemente incomprensibili.
Nel poliziesco all'opposto il ragionamento viene sobbarcato (quando non viene sostituito del tutto) dalla “fisicità” dell'attività investigativa.
Ora nel poliziottesco il lato speculativo (definiamolo così) dell'indagine viene completamente azzerato. Ciò che conta è l'azione portata, rispetto al poliziesco classico, all'eccesso.
Non c'è ricerca di giustizia ma piuttosto di vendetta, i criminali protagonisti di questi film sono personaggi capaci di ogni efferatezza per giungere allo scopo e i poliziotti che li contrastano vivono la legalità non come un valore da difendere ed entro il quale ricondurre gli eventi ma piuttosto come una gabbia che impedisce loro di difendere il cittadino e garantirgli la sicurezza.
Talvolta capita che alle forze dell'ordine venga assegnato un ruolo da puro comprimario; accade quando l'accento è posto sugli scontri fra criminali (in tal caso il discrimine “buoni/cattivi” è fra chi comunque mantiene un senso dell'onore e chi si abbassa ad ogni bestialità per perseguire i propri interessi) oppure quando è il cittadino a ribellarsi alla delinquenza e a scoprire doti di giustiziere privato.

Fatte queste premesse è facile capire le conseguenze che si realizzano nelle immagini portate sul grande schermo: le scene di violenza abbondano e diventano anzi un elemento probante per l'inserimento di una pellicola nell'ambito del poliziottesco.
Distrutti in maniera quasi sistematica dalla critica di allora (che comunque era assai poco benevola verso il cinema cosiddetto “di genere”), i poliziotteschi sono stati negli anni rivalutati, in taluni casi con assoluta cognizione di causa (vedi la splendida Trilogia del Milieu di Fernando Di Leo) in altri casi sovente ben oltre i meriti effettivi delle pellicole coinvolte nella beatificazione.
Certamente un punto di svolta è stato dato dall'interesse manifestato da Quentin Tarantino, il quale ha dichiarato di essere un grande fan del poliziottesco che ha omaggiato in più di una occasione (basta fare un raffronto fra La Mala Ordina del sopra citato Di Leo e Pulp Fiction per rendersene conto in maniera inequivocabile).
Al di là di rivalutazione postume e interessi di registi oltreoceano, credo che il cinema poliziottesco rappresenti un patrimonio del cinema nostrano. E' vero che spesso si è ecceduto in violenza (a volte rasentando il ridicolo, diciamola tutta), ma è anche vero che in alcune di queste pellicole vi sono dei ritratti romantici di anti-eroi di grande impatto emotivo, uomini in lotta contro tutto e tutti per perseguire un ideale di giustizia che travalicava quella dettata dal Codice e dalle Leggi.
Figure di giustizieri individuali per i quali una certa critica ha parlato di “fascismo” e di “demagogia” o ancora di “qualunquismo”. Definizioni che talvolta paiono calzanti, nulla da dire, eppure che rischiano di ridurre la portata sociale che queste pellicole ebbero sul pubblico.
Un pubblico che era spaventato da una situazione di ordine pubblico talmente disperata da apparire come irrisolvibile e che anelava a una giustizia spietata come i criminali che doveva combattere.
Più che ricorrere a epiteti di stampo "politico", penso sia assai più corretto parlare di una certa dose di ingenuità sia da parte dello spettatore (cosa che i registi cavalcarono per portare gente nelle sale) sia anche da parte di chi quei film li faceva.
Rimangono un esempio di come si faceva cinema in altri tempi e di come era vissuta la realtà degli anni '70 (spesso mitizzati a sproposito) da chi li viveva quotidianamente.
E, comunque, nel mare di titoli che allora affollavano il panorama cinematografico, alcuni sono riusciti a ritagliarsi un posto (meritato) nella storia del nostro cinema.
 
Un'ultima notazione sulle colonne sonore che costuirono un elemento fondamentale per la riuscita di questi film. Furono coinvolti musiciti di grande fama quali Luis Enrique Bacalov, Ennio Morricone e Stelvio Cipriani. Tra gli altri nomi spicca quello dei fratelli De Angelis, autori di numerosi accompagnamenti musicali anche televisivi.
Citazione d'obbligo per la straordinaria colonna sonora di Milano Calibro 9 opera della band di progressive rock Osanna con la collaborazione di Bacalov.

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