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La disperazione della vita (Il pessimismo al cinema)
di steno79 ultimo aggiornamento
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La disperazione della vita (Il pessimismo al cinema)

Pessimismo:  Tendenza a cogliere e a sottolineare gli aspetti negativi e sfavorevoli della vita e della realtà; in filosofia è una corrente di pensiero che tende a credere alla prevalenza del male sul bene; più specificamente, una dottrina secondo cui la vita umana è dominata dal dolore e dal male e il mondo non è che la manifestazione di una forza irrazionale e incomprensibile. (definizione tratta dal dizionario Sabatini Coletti).
 
Per “par condicio”, dopo la play sull’ottimismo, ecco i sette film pessimisti. Anche qui, chi vorrà lasciare un commento farà opera gradita, io mi limito ad elencare i film spiegando perché li ho scelti. Avviso fin da subito che ci sono degli spoiler, quindi chi non vuole sapere dettagli delle trame o finali, non legga…

Playlist film

Salò o le 120 giornate di Sodoma

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 137'

Regia di Pier Paolo Pasolini

Con Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti

Salò o le 120 giornate di Sodoma

Qui più che di un film pessimista, si può parlare di un film apocalittico, e il fatto che rimanga l’ultimo realizzato da Pasolini lo rende un testamento ancor più devastante. Il critico Giovanni Grazzini scrisse addirittura che “Forse Pasolini ha sperato che, avviato al suicidio universale, il nostro mondo traesse dal suo film il coraggio di buttarsi. Per rinascere come?” Pasolini si ispira ad un famigerato romanzo del marchese De Sade, ma in realtà guarda altrove, la sua vuole essere soprattutto una spietata denuncia del potere neo-capitalistico che spinge all’omologazione e violenta gli individui più deboli e indifesi attraverso una degenerazione fatta di brutalità e crudele sopraffazione sessuale (si tratta di una sorta di profezia espressa a livello metaforico, ma che per certi versi aveva colto alcune delle caratteristiche della società contemporanea). Nell’inquietante finale, i quattro signorotti si abbandonano a turno alle più orribili torture sui corpi dei ragazzi sequestrati, incluso lo scuoiamento e il cavamento degli occhi di alcuni malcapitati. La pianista che aveva accompagnato con la sua musica i racconti delle meretrici non regge più l’orrore e si getta dalla finestra, mentre una ragazza costretta a giacere nel mastello della merda urla disperatamente: “Dio, perché ci hai abbandonato?”, naturalmente senza ottenere risposta. Nell’ultima immagine due giovani soldati ballano un valzer, uno dei due dice che la sua ragazza si chiama Margherita, ma questo non basta ad alleggerire l’orrore e la desolazione che ha dominato per tutta l’opera.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Viridiana

  • Drammatico
  • Spagna
  • durata 91'

Titolo originale Viridiana

Regia di Luis Buñuel

Con Silvia Pinal, Francisco Rabal, Fernando Rey

Viridiana

Forse il film più “arrabbiato” e sconsolato del grande Luis Bunuel. Viridiana è una giovane donna che ha deciso di prendere i voti e va a trovare un vecchio zio rimasto vedovo. Lo zio le chiede di sposarlo e, al suo rifiuto, la droga e, l’indomani mattina, le fa credere di averla violentata; Viridiana reagisce con sdegno e abbandona la sua casa per tornare in convento, quando viene raggiunta dalla notizia del suo suicidio. La ragazza viene a sapere di essere l’erede di tutte le proprietà dello zio e, per espiare la disgrazia, decide di rinunciare ai voti e di darsi ad opere di bene accogliendo nella fattoria mendicanti ed emarginati per convertirli ad una vita virtuosa. Purtroppo, la sua ingenuità si ritorce contro di lei, perché un giorno in cui la ragazza risulta assente, i poveri invadono la villa e si abbandonano alle peggiori dissolutezze, in maniera profanatoria e sacrilega, e quando Viridiana rientra, uno dei mendicanti tenta di violentarla. A salvarla è il cugino Jorge, con cui nel finale la ragazza stabilirà un ambiguo “menage a trois” che includerà anche la cameriera… L’illusione di fare del bene si rivela totalmente assurda e controproducente e il mondo rivela il suo volto crudele e il suo caos ad esso strettamente correlato. Percorso da un gelido umorismo nero, è un film che riflette in modo inquietante sulla presenza del male nel mondo.
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Ciao maschio

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 109'

Regia di Marco Ferreri

Con Marcello Mastroianni, Gérard Depardieu, Gail Lawrence, James Coco, Geraldine Fitzgerald

Ciao maschio

In Italia uno dei registi più tendenti al nichilismo e ad una visione pessimistico-apocalittica è stato senz’altro Marco Ferreri. Fra i suoi film, diversi potrebbero rientrare in questa play, in particolare “La grande abbuffata”, “L’ultima donna”, “Il seme dell’uomo” e “Ciao maschio”. E’ proprio “Ciao maschio” a sembrarmi personalmente uno dei più disperati, che sancisce la sconfitta del genere maschile con il suicidio di ben due personaggi principali (quelli di Mastroianni e Depardieu) e con un angoscioso rogo finale in un fatiscente museo delle cere pieno di reliquie che sintetizzano la Storia della Civiltà occidentale. Nonostante il tono apocalittico che impregna un po’ tutta l’opera, Ferreri salva nel finale il genere femminile, evidentemente più in grado, secondo lui, di conformarsi alla vera Natura dell’Uomo e non di rinnegarla, come invece fa quello maschile. A mio parere il contenuto dell’opera è rabbrividente, ma nonostante ciò, Morandini ne parla come di “un film catastrofico, non disperato, anzi quietamente ottimista (…) una favola angosciosa e ilare che s’avvale, come spazio drammatico, di una New York magica e allucinante, come vista dall’oblò di un’astronave”.
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'argent

  • Drammatico
  • Francia
  • durata 85'

Titolo originale L'argent

Regia di Robert Bresson

Con Christian Patey, Caroline Lang, Sylvie van den Elsen, Michel Briguet, Vincent Risterucci

L'argent

La visione esistenziale del grande regista francese è stata sempre impregnata di spiritualità, fin dagli esordi, ma se nelle prime opere l’intervento della Grazia Divina (influenzato dalla concezione Giansenista e Pascaliana) era ancora possibile, soprattutto in “Un condannato a morte e fuggito” e “Pickpocket”, nelle opere della maturità questa possibilità sembra svanire e la visione del regista diviene sempre più cupa e disperata. “Mouchette”, “Une femme douce” e “Il diavolo probabilmente” sono tutti segnati dal suicidio finale del protagonista, ma il pessimismo bressoniano tocca l’apice nell’ultimo film, L’Argent. Qui seguiamo il calvario di Yvon, un modesto addetto al trasporto del gasolio che, a causa di una banconota falsa, finisce in carcere innocente e, quando esce di prigione, compie delle stragi di persone innocenti perché ormai travolto da una sorta di valanga vertiginosa del Male. La ricognizione sui mali della società rappresentati dal Denaro è spietata, così come spietato risulta il senso di predestinazione che avvolge le azioni di Yvon. Nel finale, quando il protagonista va a costituirsi alla polizia confessando i suoi crimini, a mio parere c’è una debole luce di speranza, ma non tutti sono d’accordo, molti la vedono come una conclusione ugualmente agghiacciante. 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Luci d'inverno

  • Drammatico
  • Svezia
  • durata 81'

Titolo originale Nattvardsgästerna

Regia di Ingmar Bergman

Con Gunnar Björnstrand, Ingrid Thulin, Max von Sydow, Gunnel Lindblom

Luci d'inverno

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Uno dei film più spogli di Bergman, secondo capitolo di una personale trilogia di film da camera sul “silenzio di Dio”. Il protagonista Tomas Ericsson è un pastore protestante che ha perso la fede dopo la morte della moglie. Non riesce più a confortare i suoi fedeli, svolge le sue funzioni in maniera esteriore e meccanica, rifiuta l’offerta d’amore di una donna innamorata di lui, non riesce ad infondere fiducia in un parrocchiano ossessionato dal pericolo imminente della bomba atomica, che finirà per uccidersi. La scena-chiave del film mi è sembrata proprio il colloquio di Tomas con quest’uomo nevrotizzato dalla paura, interpretato da Max von Sydow. Il pastore si esprime in maniera estremamente angosciata, e sono convinto che molta di questa angoscia appartenesse in proprio a Bergman, che considerò sempre Luci d’inverno uno dei suoi film più belli. Sentiamo le parole di Tomas. “Le parlerò francamente… Lei sa che mia moglie morì quattro anni fa. La vita mi sembrò finita… Non avevo più motivo per continuare a vivere… ma devo vivere, devo andare avanti, non per me ma per gli altri… Sognavo grandi cose, ero molto ambizioso, non sapevo niente del male e del dolore… per caso divenni pastore… Poi accadde tutto in una volta, quando fui nominato cappellano militare a Lisbona. Non volli né vedere né capire, mi rifiutai di accettare la realtà. Io e il mio Dio vivevamo in un mondo appositamente fatto per noi… Non lo vede, io non valgo niente come pastore… Ho sempre creduto in un Dio quasi privato, buono e paterno, che amava gli uomini come dei figli, ma più di tutti me. Non capisce il mio terribile sbaglio? Può immaginare le mie preghiere ad un Dio che mi dà solo risposte benevole e benedizioni confortanti? Tutte le volte che ho messo Dio a confronto con la realtà l’ho visto diventare feroce, distante e crudele, un mostro quasi… Mi sono sforzato di preservarlo dalla vita e dalla luce, e l’ho cercato nel buio e nella solitudine. Solo mia moglie sapeva vedere il mio Dio, lei mi sosteneva, mi incoraggiava, riempiva il mio vuoto e i nostri sogni… Deve capire perché parlo tanto di me, deve vedere che povero rottame ha qui di fronte a lei… Dunque, cerchiamo di esaminare i fatti… mi spiace di apparirle così oscuro e incomprensibile, ma sono tanti i pensieri che mi affollano la mente. Se veramente Dio non esistesse, nulla avrebbe più importanza… la vita avrebbe una spiegazione, sarebbe un sollievo… la morte solo una frattura, la fine del corpo e dell’anima… la crudeltà della gente, la sua solitudine, tutto sarebbe chiaro come la luce del giorno… Le sofferenze non dovrebbero più essere spiegate… Non esisterebbe né un creatore né un tutore… niente pensieri… Dio, perché mi hai abbandonato?”

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La merlettaia

  • Drammatico
  • Svizzera
  • durata 100'

Titolo originale La dentellière

Regia di Claude Goretta

Con Isabelle Huppert, Yves Beneyton, Florence Giorgetti

La merlettaia

Il pessimismo non è soltanto quello del silenzio di Dio, quello del Potere Tirannico che stritola il più debole o quello di chi non riesce a convertire al bene la gente cresciuta in condizioni di precarietà ed indigenza… Il pessimismo può derivare anche da un amore che va male e che ti spezza la vita, oppure dalla consapevolezza che, per qualche motivo, questo sentimento che riempie la vita di molte persone a te sembra che sia negato (ne sa qualcosa il sottoscritto). Per questo motivo ho scelto di includere il bel film “La merlettaia” dello svizzero Claude Goretta. La protagonista è Beatrice detta Pomme, una ragazza di 18 anni che lavora come apprendista parrucchiera, di temperamento dolce e sensibile. Pomme esce di solito con un’amica più grande, Marylène, e con lei trascorre una vacanza al mare a Cabourg sulla costa normanna, dove conosce François, uno studente di lettere dai modi garbati. L’amicizia si trasforma rapidamente in amore e Pomme ha la sua prima esperienza sessuale col ragazzo, con cui va a convivere a Parigi. Tuttavia, le differenze culturali e di classe finiranno per incidere negativamente sulla coppia e François si sentirà presto a disagio accanto a Pomme, una donna troppo incolta e remissiva per poter figurare bene nel suo giro di amici. Quando il ragazzo le chiede di separarsi, Pomme accetta senza proteste, ma poco dopo, incapace di mangiare, Pomme deve essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. Qualche tempo dopo, François va a trovarla, senza rendersi conto del male che le ha fatto, ma Pomme non gli serba rancore, anche se il suo sguardo appare triste e rassegnato…

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Melancholia

  • Drammatico
  • Danimarca, Svezia, Francia, Germania, Italia
  • durata 136'

Titolo originale Melancholia

Regia di Lars von Trier

Con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling, John Hurt

Melancholia

In streaming su Amazon Prime Video

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Infine Lars von Trier, che sarà un regista discutibile quanto si vuole, ma che è uno dei pochi che riesce a rendere verosimile una storia su un assunto difficilmente digeribile dallo spettatore: quello di un'imminente Apocalisse per causa della collisione di un pianeta che viene a schiantarsi contro la Terra. Questa "atmosfera da fine del mondo" impregna soprattutto la seconda parte del film, in cui si ritrova perfino una suspense alquanto inedita per i canoni del danese, mentre la prima parte ci racconta il naufragio del matrimonio della bella Justine durante il ricevimento di nozze, probabilmente influenzato dall'approssimarsi dell'infausto evento, che ci viene suggerito fin dalle prime immagini non narrative, dei tableaux vivants commentati dalla musica di Wagner. La prima parte è quella che più si avvicina alla vecchia teoria del Dogma, poichè ricorda abbastanza da vicino un'altra pellicola girata secondo i dettami del famoso Manifesto del 95, Festen di Thomas Vinterberg, di cui ripropone la miscela di crudeltà e lo svelamento dell'ipocrisia borghese. Nella seconda parte lo sguardo del regista si incolla alle due sorelle, ne definisce in maniera più approfondita i rispettivi drammi di fronte all'evento catastrofico imminente, risulta meno dispersivo e, se si accetta il nichilismo di cui è impregnata la sua visione, costruisce sequenze di forte impatto anche dal punto di vista emotivo. Buona parte della riuscita è dovuta all'ottima interpretazione delle due protagoniste, soprattutto Kirsten Dunst che riesce a rendere in maniera attendibile il progressivo sprofondare della sua Justine negli abissi di una depressione che non viene mai spiegata completamente. Certo, c'è poco da stare allegri e il film tradisce una visione sempre più cupa della vita e dei rapporti umani, ma non si può negare al danese un'indubbia coerenza tematica e un gusto della provocazione che stavolta risulta decisamente meno gratuito e sterile che in altre occasioni.

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