Dziga Vertov auspicava ad un cinema che potenziasse la visione umana, un «cine-occhio» che dominasse percettivamente il mondo. Un desiderio positivistico che, in parte, si richiama alla teoria della prospettiva rinascimentale, per cui il dipinto veniva realizzato attraverso un’armonia e una spazialità dettate dal punto di vista dell’Uomo, misura di tutte le cose. Un desiderio di controllo, quello vertoviano, che è stato presto smentito nella storia del cinema attraverso opere che, piuttosto, hanno messo in evidenza la fallacia dello sguardo dell’uomo (e del cinema). Non solo Bunuel, che pionieristicamente nel Cane andaluso tagliava l’occhio della “donna che guarda”, mettendo dichiaratamente in evidenza i limiti della visione, e agendo quindi ad un livello manifesto. Nel corso della storia del cinema si sono susseguite opere che hanno affrontato la questione dello sguardo (e della sua imperfezione) in termini più sottili e meno espliciti. Interi generi, addirittura, ne hanno evidenziato la visione parziale, incompleta: su tutti, il cinema noir, attraverso le sue continue soggettive - che ci costringono a guardare attraverso lo sguardo, limitato, dei personaggi –; i suoi ambienti bui e densi di ombre; la sua narrazione ellittica, priva di soluzioni. La crisi dello sguardo: fil rouge che unisce tre autori, indissolubilmente legati tra loro, come Alfred Hitchcock, Dario Argento e Brian de Palma. Registi che hanno spinto fino al limite massimo la tensione finzionale dello sguardo, evidenziando la bugia e l’inganno che soggiaciono ad esso. Autori e teorici di un cinema voyeuristico e sadico – il "sadismo della visione" – dove l’inganno provoca inesorabilmente la scissione dei loro personaggi: un proliferare di doppi, di specchi, di immagini (differenziali) di sé. L’occhio che cerca e l’occhio che uccide. Antonioni, nel suo Blow-Up ha mostrato lo iato incolmabile tra la realtà e la riproduzione – l’occhio fotografico (e cinematografico) che si perde nelle «pieghe» dell’immagine, che tradisce e che inganna. Più tardi, ugualmente, Blade Runner, in cui l’occhio registra, sì, ma la menzogna: ricordi impiantati, immagini inesistenti. Così come Michael Powell, che nel suo Peeping Tom, mostra (e dimostra) il fallimento dello sguardo e del controllo panoptico nei confronti di un ragazzino, che diviene serial killer costringendo le sue vittime a guardare la propria morte. L’occhio e lo sguardo non solo hanno fallito la volontà di dominare il mondo percettivo: Powell suggerisce che ci hanno portato solo un po’ più vicino ad un baratro: la fine (totale) della visione, lo schermo nero, e la morte.
Scottie è essenzialmente un “uomo che guarda” – forse anche troppo. I suoi onirici pedinamenti lo porteranno a scambiare la donna che egli ama con un'altra.
De Palma, come nel recente capolavoro Passion, mette in scena la bugia che sostiene lo sguardo (dello spettatore), attraverso split screen, travestimenti, specchi e doppi, in questo barocco meta-thriller.
Con Dick Powell, Claire Trevor, Anne Shirley, Otto Kruger, Mike Mazurki
In streaming su Rai Play
Svenimenti, soggettive, oscurità: la classicità della Hollywood degli anni Trenta lascia spazio al cinema buio e tormentato del noir: nero come l’anima dei suoi protagonisti.
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