Il temine "stile da videoclip" o "stile da MTV" è generalmente usato come una delle più pesanti critiche nei confronti di un regista, accusandolo di avere uno stile tanto patinato e frenetico quanto vuoto e incapace di tenere la complessità di un lungometraggio. Alcuni registi si sono effettivamente fatti le ossa coi video musicali. Chi sono e quanto rispecchiano questo pregiudizio nei loro lavori?
Da fotografo, Corbjin ha la mia eterna gratitudine in quanto credo che abbia immortalato tutti i miei musicisti preferiti. Per diversi di loro ha fatto anche video entrati nella storia, soprattutto per i Depeche Mode. Ci sono film che si sognano il bianco e nero di Never Let Me Down o i colori di Enjoy The Silence. Il suo esordio in lungometraggio, Control, è una prosecuzione logica del discorso, in quanto è la biografia del cantante dei Joy Divison -band per cui Corbijn aveva curato l’immagine - e riscuote grandi consensi di critica. Le cose si incrinano con The American, in cui Corbjin tenta il thriller esistenziale con un attore completamente inadatto al suo stile, George Clooney. Vedere Clooney imbronciato ripreso con toni seppia mi ha fatto lo stesso effetto di quelle foto “alimentari” in cui Corbijn ritrae figure mainstream come i Rolling Stones o Zucchero con uno stile che è stato creato per musicisti della scena dark/new wave e non si amalgama con musicisti più convenzionali
Più che a una certa scena musicale, Fincher si lega subito a toni e tematiche cupi e controversi, come l’incesto per Janie’s Got a Gun degli Aerosmith o le atmosfere totalitarie per Express Yourself di Madonna. Se questi elementi sono presenti da subito anche nella produzione cinematografica, in opere come Seven e Fight Club acquistano una profondità che era difficilmente intuibile nei videoclip. Fincher riesce in seguito persino a smarcarsi da se stesso, sfido chiunque a dire che Zodiac ha “uno stile da videoclip”.
Se molti dei video firmati da Pope oggi risultano talmente datati da far tenerezza, è anche vero che sono suoi alcuni dei video più famosi e audaci di tutti i tempi, come quel “Close to me” in cui i Cure finiscono in un armadio e giù dalle scogliere di Dover senza nemmeno una concessione al lieto fine e “It’s my Life” dei Talk Talk, dove, grazie ad un impressionante lavoro di montaggio, gli animali dai documentari sembrano muoversi al ritmo della musica. Pope invece non riesce a decollare al cinema, dove si ritrova a fare nel sequel de “Il Corvo” proprio una stanca riproduzione dello stile che aveva inventato lui per I Cure. Perde la grande occasione ritirandosi da “L’Ultimo Re di Scozia” dopo aver assicurato al film Forest Whitaker.
Australiano, è il regista di videoclip ad alto budget per nomi come Queen e Duran Duran, anche se è notevole il suo lavoro con band più indipendenti come The Stranglers, per cui firma videoclip irriverenti al limite del grottesco, ben diversi dalle sue solite produzioni faraoniche e patinate. Mulcahy riesce anche in queste a mantenere un certo tono visionario, per cui è solo relativamente sorprendente il terrificante Razorback, che segna il suo debutto come regista cinematografico. Dopo il successo di Highlander, fortemente legato alla collaborazione coi Queen, se ne perdono presto le tracce in prodotti anonimi. Riscute di nuovo consensi con la produzione TV anti-omofobia Prayers for Bobby con Sigourney Weaver.
Anche lui australiano, Proyas gira in patria il bellissimo videoclip per “Don’t Dream It’s Over” dei Crowded House, dove degli oggetti si schiantano in perpendicolare sulle immagini come se queste fossero una superficie. Al cinema, si specializza in pellicole più o meno riuscite dai toni cupi tra la fantascienza e il noir, anche se The Crow deve molto di più ai trascorsi di Tim Pope e Anton Corbijn che a quelli di Proyas, che continua anche a collaborare con musicisti su un versante più sperimentale, come il progetto Parallel Lives col gigante dell’elettronica John Foxx.
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