« "O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". »
(Divina Commedia, Inferno – Canto XXVI)
La figura di Ulisse è una delle più affascinanti nella storia della letteratura. Eroe astuto nell’Iliade, assurge a figura di assoluta grandezza nel poema a lui dedicato, l’Odissea ovviamente, in cui diventa simbolo dell’amore per la propria famiglia e per la propria casa. Ulisse lotta contro mille difficoltà per tornare alla sua piccola isola e in uno straordinario finale abbatte gli strali della sua vendetta contro chi cercò di usurparne il ruolo. Ma l’Ulisse cha da sempre colpisce maggiormente la mia immaginazione è quello descritto da Dante nel Canto XXVI dell’Inferno “Lo maggior corno della fiamma antica”. Ulisse diventa qui il simbolo della sete di conoscenza che attanaglia l’uomo da sempre, quella voglia di gettare lo sguardo oltre le mura di una esistenza tranquilla per scoprire cosa si nasconde al di là dell’orizzonte più lontano. E Ulisse anche simbolo del viaggio, il viaggio di scoperta che può essere fisico o metafisico, scoperta di mondi sconosciuti o ricerca della propria essenza interiore. Al di là dei commenti della critica ufficiale, a cui rimando, in cui si analizzano i significati che l’autore della Divina Commedia volle attribuire al personaggio omerico (che il Sommo Poeta conosceva peraltro solo tramite la mediazione della cultura latina), personalmente trovo che sia una figura assolutamente moderna, e soprattutto il simbolo stesso del progresso umano. Sono stati gli Ulisse che non si sono accontentati di ciò che avevano già visto o di ciò che era stato scoperto da altri, a far progredire la civiltà. Ulisse è il simbolo dell’aspirazione più intima dell’umanità a una costante elevazione e, in senso lato e sicuramente osando andare oltre le intenzioni dantesche, Ulisse può essere la metafora della ricerca scientifica che non si ferma mai. La sua fine tragica, il “folle volo”, lo rende ancora più grandioso. Quante volte il cinema ha affrontato storie di uomini che non si sono voluti accontentare dell’orizzonte conosciuto e hanno voluto lanciare lo sguardo oltre? Molte, storie di avventurieri ai confini del mondo e storie di scienziati che hanno osato sondare terreni che altri non avevamo voluto calpestare. A pensarci bene spesso la settima arte si è occupata di storie e personaggi che avevano cercato di “andare oltre”, storie non tutte a lieto fine perché il “folle volo” è l’altra faccia della medaglia di chi pone in discussione tutto per affrontare l’ignoto. Non sempre c’è il successo alla fine, a volte solo una conclusione tragica, ma questa non deprime anzi esalta la grandezza di talune figure, reali o letterarie che siano. Ulisse dunque come metafora stessa dell’uomo in quello che è il suo lato migliore, l’uomo che non si accontenta della miopia di un’esistenza già tracciata ma sa mettere in discussione tutto. E viene da concludere che forse Ulisse esiste dentro ognuno di noi, ma a volte è difficile trovarlo, sepolto com’è in una coltre di conformismo e indifferenza.
Con Georges Méliès, Bleuette Bernon, Victor André, Farjaut, Kelm
L’inizio del viaggio, la settima arte ancora nella sua infanzia. Il mago che crea illusioni sul grande schermo si chiama George Melies, recentemente tornato alla giusta attenzione grazie all’Hugo Cabret di Martin Scorsese. La meraviglia degli spettatori di allora è la stessa che ci coglie oggi. L’astronave che cade nell’occhio della Luna è il simbolo dei nostri viaggi di fantasia, perfino il truce Rob Zombie rende omaggio nella sua ultima pellicola a quella inquadratura che fa parte del mito del Cinema.
Ulisse è il medico che contro tutti i protocolli cerca la strada nuova per restituire la vita e soprattutto la dignità ai suoi pazienti. Il dottor Malcom Sayer lotta contro l’encefalite e sembra poter avere partita vinta. E’ solo un’illusione ma la l’amicizia che nasce con un paziente tornato a vivere sia soltanto temporaneamente grazie alla cura lo ricompenserà almeno in parte. Splendide intepretazioni di Robert De Niro e Robin Williams per questa pellicola che ha diviso pubblico e critica.
Il dottor Frankenstein vuole sconfiggere la morte e ricreare la vita in laboratorio. Un progetto folle che lo porterà sul precipizio della perdizione. La sfida che lo scienziato lancia è già persa in partenza, osando dove nessuno vorrebbe e dovrebbe osare. Come Ulisse che viola i confini del mondo.
Il viaggio verso Giove alla ricerca del monolito è il viaggio alla ricerca del mistero dell’uomo e della sua origine. Del suo capolavoro, che trascende i generi (riduttivo davvero definirlo di fantascienza) Stanley Kubrick disse: «ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico del film, io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio».
La ricerca di una intelligenza che non sia di questa Terra culmina in un viaggio fantastico nello spazio e nel tempo. Resta il dubbio che tutto sia stato una proiezione dei desideri della viaggiatrice (Jodie Foster) ma il rischio è accettato perché la suggestione di un contatto con una cultura aliena è davvero irresistibile.
Un gruppo di studenti vuole capire cosa accade nel momento del distacco dalla vita e organizza un esperimento che li porterà a guardare in faccia la morte per accedere a un nuovo universo. Ma certe sfide, come quella del dottor Frankenstein, trascendono la misura che è propria dell’uomo e le conseguenze non sono prevedibili e possono essere devastanti.
Il viaggio lunghissimo verso il nulla, verso l’estrema frontiera, nasconde il viaggio interiore alla ricerca di sé stessi e della propria felicità. Il distacco dalle cose superflue è il viatico per arrivare a uno stato di natura. Un viaggio alle origini fino alle estreme conseguenze.
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