Caso forse più unico che raro per un periodico che prova a suo modo a raccontare il cinema (almeno per quel che posso ricordare io), l’ultimo numero di Duellanti da pochi giorni in edicola, è interamente dedicato a Bella addormentata di Bellocchio, ma con un’appendice che prova a ricomporre anche molti tasselli della filmografia più recente e non solo del regista. Uno sguardo complessivo dunque che ha il valore di un saggio compilato a più mani e con una molteplicità di voci che sorprende, davvero da non perdere, da leggere e da meditare con attenzione, al di là del giudizio che ciascuno può esprimere a visione avvenuta rispetto all’ultima fatica del regista che avrebbe in ogni caso meritato una maggiore attenzione da un pubblico distratto e un po’ annoiato come il nostro che sembra ormai diventato refrattario a recepire in sala un cinema di qualità (e non è che poi la critica si sia comportata molto meglio), da approfondire e discutere, di quelli insomma che pongono problemi e che invitano ad una seria riflessione, magari discutibile, ma che proprio in virtù di quel suo essere problematico non dovrebbe passare inosservato. Un cinema insomma che prova a lasciare il segno, soffermandosi a riflettere su ciò che siamo diventati proprio noi, cittadini distratti e sonnolenti di un’Italia altrettanto addormentata. Mario Toscano, nel suo editoriale di presentazione, prova a motivare così questa scelta abbastanza radicale: “Quello che tenete fra le mani è un duellanti molto speciale. Oserei dire unico. Non era mai accaduto nella storia di questo giornale che un numero fosse dedicato interamente a una pellicola o a un autore. Lo facciamo oggi, con Marco Bellocchio e il suo Bella addormentata. Un’opera scontrosa, snobbata dai palmares della Mostra del Cinema di Venezia, non adeguatamente sostenuta dal pubblico delle sale, tirata in causa più dallo sterile chiacchiericcio mediatico che prevedibilmente ha tentato di virare in polemica i temi sollevati che in virtù di un’attenzione al testo filmico e alle sue relazioni (estetiche, linguistiche) con la materia trattata. Alla luce di ciò quella che potrebbe apparire come una decisione rischiosa, diventa perfettamente consequenziale, addirittura l’unica possibile. Non certo per tributare a Bellocchio e al suo lavoro un ‘risarcimento’ di cui non ha bisogno, quanto per riprendere a ragionare su qualcosa che ci ha emozionato. Fatto discutere. A mente fredda, senza l’assillo dell’aggancio all’attualità che spesso determina le scelte di una rivista. Uno dei vantaggi di realizzare duellanti consiste infatti nell’assenza di qualunque condizionamento editoriale o commerciale, nella totale libertà di sperimentare (e di sbagliare…), sforzandosi di non accontentarsi della frettolosa recensione in vista già della prossima anteprima, ma sapendo ogni tanto di potersi fermare, tornare indietro, riscrivere. Il seminario residenziale di critica che da tre anni organizziamo a Bobbio, nell’ambito del festival diretto proprio da Bellocchio, non c’entra: Bella addormentata supera di slancio le squallide questioni di cortile per spalancare gli occhi su altri orizzonti: sul cinema, sull’Italia, su di noi. E’ qualcosa che ci riguarda. La formula che come un mantra abbiamo sentito associare alla pellicola, bilanciamento di una critica o rafforzativo di un apprezzamento, la definisce come “necessaria”. Soprattutto ora, in questo Paese. D’accordo, a patto che si comprenda come la necessità a cui si dà risposta sia innanzitutto una richiesta non più procrastinabile di dignità e bellezza. Quella che ci meritiamo come spettatori, cittadini, esseri umani. Stabilito il “perché”, vediamo ora il “come”. Dopo i commenti dei lettori al film, questo numero – arricchito di ben 24 pagine rispetto alla normale filiazione, si divide in due grandi sezioni. La prima è interamente occupata dall’analisi di Bella addormentata. Un approfondimento che – come di consueto – si compone di contributi dalla prospettiva differente, espressione dell’ambito privilegiato nel quale si muovono i vari autori. La seconda si fa invece antologia degli articoli su Bellocchio pubblicati su Duel e poi su duellanti (si comincia con Il sogno della farfalla, 1994), rivisitati con una nuova revisione dei testi e impaginazione. Non si tratta dunque di una semplice raccolta. Un pezzo su una rivista non esaurisce infatti il suo portato di senso nel testo, ma lo perfeziona attraverso l’immagine: adattarlo a una diversa veste grafica significa perciò in qualche modo ripensarlo, ‘riscirverlo’. Ci piaceva l’idea di dare nuova vita a questi interventi, mostrando al contempo la stringente attualità di certe letture. Completano questo numero alcuni contributi inediti su Bellocchio, un portfolio, una filmografia integrale e una biografia ragionata. C’è ancora spazio per l’ultima pagina, in cui Pier Giorgio Bellocchio ripercorre la lavorazione di Bella addormentata, interrogandosi sul ruolo dell’attore e rievocando il rapporto col padre. Uno dei temi bellocchiani per eccellenza. La fine non può che ricondurre al punto di partenza: è tempo di svegliarsi”. Si comincia dunque (e non poteva essere altrimenti) con una lunga intervista proprio a Bellocchio (impossibile riportarla per intero ma credo necessario riprendere almeno alcuni dei pensieri esposti che rendono più chiaro le intenzioni, il percorso e il risultato raggiunto proprio rispetto al film in questione:
“Sono stato coinvolto per caso da ciò che accadeva in quei giorni del febbraio 2009. Prima mi sono venute in mente alcune immagini, poi le storie. Niente di voluto, nulla che rappresenti una tesi. Anche se naturalmente il film svela il mio punto di vista, che non è ecumenico: non tutti hanno ragione, sebbene ciascun personaggio sia trattato con rispetto. (…) Non mi sono convertito. La mia è una posizione calmamente laica, l’immagine non può castrare. A tale proposito, il personaggio più complesso da definire è stato quello della Divina Madre, del quale non abbiamo mai indagato il rapporto con il trascendente, con la religione. Analogamente, nel caso di Maria non entro nel merito delle sue convinzioni, ma mi interessa il fatto che cambi opinione nel momento in cui si innamora. Io non ho fede, però guardo con curiosità chi ce l’ha. Per me sarebbe innaturale usare quest’opera come una bandiera, perché credo sempre nella libertà dell’artista. Certamente mi ha molto colpito anche la fine del Cardinal Martini, il quale oltre all’opporsi all’accanimento terapeutico ha chiesto la sedazione. (…) I nomi sono beffardi, sono degli scherzi. In una sintesi cinematografica quello che normalmente richiederebbe tempi più lunghi lo si ottiene in pochi secondi. (…) Quello di Rossa e Pallido è il primo episodio a cui ho pensato. Lo stato di dormiveglia non riguarda solo la tossicodipendente, la vera bella addormentata è l’Italia. (…) La riscrittura che ho fatto della storia reale di quei giorni, tiene volutamente lontani i personaggi di quel dramma, presenti però attraverso i media. Uno dei fatti che di recente ha colpito la mia immaginazione, ad esempio, è la strage in Norvegia del 22 luglio 2011. Poi c’è il cinico che pensa di farne subito una serie televisiva e quello che intravede invece nella tragedia lo spunto per una riflessione che dal terrorismo risale al Nazismo e a Dostoevskij. (…) E’ un procedimento complesso, ma un po’ di distacco è indispensabile. Certamente la strada della cronaca implica dei rischi. Quando ho abbandonato il progetto Italia mia, un ritratto tragico-grottesco del Paese odierno che non ha trovato finanziatori, mi sono accorto che c’erano troppi dettagli inerenti a quello che si poteva leggere sui giornali. Alcuni elementi di quel film non fatto sono poi confluiti in Bella addormentata, per il quale ho deliberatamente evitato questo eccesso cronachistico. Ho seguito insomma il suggerimento che mi diede Melania Mazzucco: “pensa a Il maestro e Margherita , un discorso su Stalin completamente trasfigurato” e così ho provato a fare. Lettere d’amore a Bella addormentata:
“L’indegno spettacolo mediatico della vicenda Englaro. Ci sono tutti. I cittadini: le comparse, in corteo, in preghiera. I politici: i caratteristi, pronti a salire sul palco per appropriarsi della scena madre, il corpo di Eluana. La Chiesa: il coro in sottofondo, vuoto, sordo, distante. Nessuno vede o sfiora Eluana, ma tutti vogliono quel corpo per sé. L’umanità sta nel gesto spontaneo: l’abbraccio che stringe una bella addormentata, così forte e amorevole che quasi soffoca”. (Daniele Badella)
“Bella addormentata è soprattutto un’opera sulla libertà e sui suoi compromessi. Per parlarne Bellocchio sceglie di porre un interrogativo allo spettatore, anzi due: è giusto staccare la spina a chi chiede di morire? Ma nello stesso tempo, è giusto impedire a una persona di suicidarsi? Il regista non risponde direttamente, ma sceglie di raccontare tante storie diverse che inquadrano da differenti punti di vista il costante conflitto tra libertà di scelta e doveri morali”. (Davide Fantini)
“Bella addormentata si muove spesso in una dimensione atemporale, da sogno o da incubo. I protagonisti si aggirano come fantasmi nel buio della notte (e della mente), o avvolti nel biancore della nebbia e nel magma dei ricordi che liquidi si ricompongono. Meno radicale de I pungi in tasca, ma più contemporaneo, dubbioso, disilluso. Marco Bellocchio simbolizza ma non pontifica, accumula dettagli, procede ondivago e coraggioso. Corpifica flussi di coscienze. Un film importante!” (Mario Tudisco)
Le parole dei critici che rileggono (e interpretano) il film sulla rivista:
“Grazie alla perfetta combinazione di forma e contenuto, in Bella addormentata Bellocchio esplora l’ambiguità del reale riproponendo alcuni dei temi e delle suggestioni ricorrenti del suo cinema: dagli elementi autobiografici al ruolo della messainscena, dal lavoro sulle immagini alla riflessione sul potere”. (Franco Prono)
“In un moto vicino all’estasi le figure di Bella addormentata (e in generale quelle che popolano il cinema di Bellocchio) sono definite dal tentativo di oltrepassare la loro condizione reale, costantemente sospese sul limite che separa la vita dalla morte, l’agire dalle forme di inattività”. (Massimo Causo)
“Utilizzando la cronaca come punto di partenza per elaborare un discorso più ampio e senza rinunciare al grottesco, con Bella addormentata Marco Bellocchio rappresenta uno stato in bilico tra l’incoscienza e il ritorno alla vita, in un mondo dominato dall’oscuramento del pensiero e dalla persistenza delle immagini. (…) La questione non riguarda più solo chi non può risvegliarsi. Il vero sonno della bella addormentata è l’incapacità di attraversare quel fuoricampo che fa da sfondo al racconto di ciascun personaggio, la mancanza di consapevolezza rispetto al mondo”. (Ivan Moliterni)
“Il risultato della collisione violenta tra la profondità della fiaba e l’epidermica realtà della comunicazione mediatica è l’improvviso destarsi della bella addormentata, metaforica rappresentazione della coscienza vile, appisolata o prevaricatrice. Ed è proprio operando tra la realtà della comunicazione e l’universalità della fiaba, che Bellocchio realizza una pellicola in grado di generare interpretazioni differenti e di sprigionare una notevole forza evocativa”. (Anna Antonini)
“Bella addormentata è come un racconto nel quale confluiscono soluzioni narrative, modelli archetipici ed elementi iconografici dell’universo fiabesco”. (Maria Buratti)
“Nel suo film Bellocchio adopera una modalità narrativa labirintica, che gli consente di descrivere la solitudine dei personaggi e la condizione dell’uomo di fronte alla morte”. (Carlo Chatrian)
“Nell’ultimo decennio l’opera di Bellocchio ha sviluppato un modo alternativo di interpretare il racconto cinematografico, intervenendo direttamente sull’immaginario collettivo per riflettere sul ruolo del corpo pubblico e privato nell’Italia contemporanea (…) segnata dal berlusconismo e dal difforme equilibrio esistente proprio tra corpo pubblico e privato, entrambi mitizzati. (…) Bellocchio sembra essere molto interessato (e lo conferma ancora una volta) al tema della riappropriazione dell’immagine”. (Roy Menarini)
“Grazie alla scelta di lasciare sullo sfondo (ma al centro) la tragedia di Eluana Englaro, Marco Bellocchio riflette sui conflitti che ne hanno tracciato il contesto politico e culturale, evitando posizioni monolitiche e offrendo una pluralità di sguardi su quella che resta per l’Italia l’occasione perduta di diventare un Paese maturo”. (Franco Marineo)
“Stacca la spina, ma all’Italia intera nel sonno, viva”. (Filippo Mazzarella)
“Bella addormentata riassume il percorso di coscienza intrapreso di fronte all’esperienza della fine. Con particolare attenzione alla sfera emotiva, Bellocchio medita sul significato del feticcio e pone alla base delle relazioni umane il principio etico del prendersi cura dell’altro. (…) In questo film è infatti l’amore ad aprire al mondo, a scortare fuori dal campo minato dell’ideologia, a riportare all’essenziale. Maria può perdonare la morte della madre solo quando si innamora, comprendendo la complessità e sospendendo il giudizio”. (Lella Ravasi)
“Ponendo tutti i personaggi di fronte al dramma della morte, Bellocchio posa il suo sguardo sull’uomo colto nel compimento di un atto di fede. In questo modo accentua la forza mediativa del film e recupera il rapporto paradigmatico con una realtà attraversata dal dubbio. (…) Nel dibattito non c’è traccia delle riflessioni su “natura” e “vita”, ma solo un’ossessione nel far sopravvivere i malati, più come modalità per preservare uno status quo istituzionale che non come vero gesto d’affetto”. (Andrea Lavagnini)
“Bellocchio auspica l’inizio di un nuovo ordine fondato sulla responsabilità, e intrecciando realtà e finzione esalta il potere immaginifico dell’amore. (…)Bella addormentata non vuole fare giustizia, non deve ristabilire una verità. Non si pone il compito di ripristinare la realtà dei fatti, ma sostiene la necessità della loro interpretazione, della loro accettazione”. (Marco Toscano)
“Libertà, comprensione e indignazione in Bella addormentata di Marco Bellocchio (ovvero il torpore della ragione e il risveglio dei sentimenti). (…) Contro un Paese intorpidito e diventato quell’«Italia cinica e depressa» denunciata dal senatore nel suo discorso, contro le degenerazioni provocate dal lassismo, Bellocchio chiede di recuperare i sentimenti, i valori, la forza dell’agire”. (Andrea Rabbito)
“Il nostro è un Paese in crisi, sprofondato da tempo in un pericoloso abisso. Davanti a questa situazione deprimente è necessario un cambiamento esistenziale che coinvolga le vite dei singoli individui, senza dimenticare il senso civico della collettività”. (Simone Spoladori)
“Negli accostamenti impercettibili tra le vicende narrate in Bella addormentata (la rappresentazione mediatica del caso Englaro e i modi attraverso i quali ha agito sul tessuto sociale e sul dibattito) è riconoscibile la critica del potere e il requiem di un Paese alla deriva”. (Elisa Mandelli)
“L’utilizzo da parte di Bellocchio di alcune immagini estrapolate da La storia vera della “Signora delle Camelie” di Mauro Bolognini genera un cortocircuito di realtà e finzione. Rafforzata dalla presenza-cerniera di Isabelle Huppert, la citazione diventa così uno degli elementi fondamentali per comprendere Bella addormentata. (…) Un cinema insomma che a un certo punto mostra un ombelico che lo collega con l’ignoto, un punto di resistenza assoluta a ogni tentativo di interpretazione”. (Fabio Vittorini)
“La donna descritta da Bellocchio è figura capace di rovesciare le categorie del potere maschile e animare gli avvenimenti della Storia. In Bella addormentata i personaggi femminili sono all’origine di una mediazione sui legami umani e sulle ragioni di una scelta morale”. (Marzia Gandolfi)
“Bella addormentata mostra diversi punti di vista sulla delicata questione del fine vita e porta in primo piano i sentimenti, fino a destabilizzare i pregiudizi come nell’episodio che ha come protagonista la tossicodipendente Rossa”. (Luca Barnabé)
“I personaggi di Pipino e Federico in Bella addormentata sono l’incarnazione del desiderio di ribellione. Tra rifiuto delle convenzioni e lotta contro la passività delle coscienze, emerge ancora una volta uno dei temi più diffusi nel cinema di Bellocchio”. (Marco Chiani)
E torniamo adesso alle origini del cinema di Bellocchio, partendo proprio da ciò che ci propone questo numero monografico di duellanti, e quindi da Il sogno della farfalla. Poiché le posizioni previste dalla playlist sono solo sette, le due più vecchie pellicole di questa ministoria a ritroso, non ce la fanno ad entrarci e allora le ripropongo qui: alle altre lo spazio privilegiato della play:
Il sogno della farfalla “Un film che propone una tesi precisa, per certi versi perfino intollerante. Il protagonista, il ragazzo che decide di non parlare più, non dà spiegazioni, non offre messaggi. Vive in una dimensione che non è né sogno né realtà. (…) Attraverso di lui ho cercato di costruire come un percorso inconscio nella coscienza, differenziandomi da quella tradizione cinematografica che tende da sempre a distinguere sogno e realtà (…). (Marco Bellocchio)
Il principe di Homburg “(…) E’ la storia di un’ossessione (etimologicamente, un assedio) intorno alla parola, il logos, che dovrebbe chiarificare, illuminare, definire il reale e invece non fa che aumentare la percezione confusa. L’iniziale sogno di gloria di Homburg e la corona di alloro rappresentano anche il vagheggiamento di un’arte poetica che raggiunge tale risultato. Di questo sogno del poeta c’era traccia nel silenzio e nell’apprendistato teatrale del protagonista de Il sogno della farfalla,una traccia che non si ritrova invece nella trasposizione cinematografica che Bellocchio ha fatto del capolavoro kleistiano”. (Ezio Alberione)
Con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Maya Sansa, Pier Giorgio Bellocchio
“Con La balia lo sguardo di Marco Bellocchio si posa sul mistero del femminile per descrivere, attraverso i personaggi di Vittoria e Annetta, la dialettica della maternità”. (Lella Ravasi)
Con Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Gigio Alberti
“La pellicola di Bellocchio oggi appare sconsolatamente isolata e, forse per questo, ancor più necessaria. Fino a qualche decennio fa, avrebbe condiviso l’humus grottesco-apocalittico di Buñuel, Ferreri e Fellini”. (Ezio Alberione)… i tempi sono davvero cambiati… e purtroppo in peggio!!
“Chiara di Buongiorno, notte si fa dispositivo ottico, riuscendo a guardare al di là (delle proprie convinzioni, di una porta chiusa).” (Silvia Colombo) “Buongiorno notte è la declinazione politica del rapporto padri-figli caro a Bellocchio”. (Ezio Alberione) “Un’intuizione matura di grande cinema, il potere salvifico dell’immaginazione, la possibilità di sottrarre (sequestrare?) la Storia alla sua ineluttabilità tragica, di sfidare gli anni bui dell’ideologia con la luce della poesia”. (Matteo Columbo)
“Film-labirinto, enigma senza soluzioni, è un film che applica la struttura della fiaba alla ricerca estetico-linguistica del suo autore”. (Lella Ravasi)
“Da una parte l’insistenza con cui Ida Dalser afferma l’amore per Benito Mussolini e il proprio ruolo di madre, dall’altra l’immagine di un potere che nega l’incontro sentimentale: in Vincere è in gioco il riconoscimento di una verità profonda contro ogni forma di cancellazione dell’identità”.(Roberto De Gaetano) “Un viaggio sentimentale e indignato tra le maschere dell’eterno fascismo italiano”. (Gianni Canova)
“Sorelle Mai è una danza di fantasmi rimossi, affrontati o tuttora presenti, come nella scena in cui un gruppo di ombre spettrali affollano le pareti della stanza”. (Ivan Moliterni)
“L’ottica laica di Bellocchio si appella apertamente all’indipendenza e alla responsabilità etica del singolo, contesta con chiarezza l’assurda e immorale chiusura della Chiesa dinanzi a ogni rivendicazione”. (Franco Prono)
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