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IL PROVINO
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IL PROVINO

Il provino è il vero banco di prova per un attore: di solito si svolge davanti a registi o produttori che l’attore deve convincere, attraverso la recitazione di un brano teatrale o di sceneggiatura cinematografica, di essere adatto ad una determinata parte. Nei film cosiddetti « meta-cinematografici » si assiste spesso a delle scene di provini: una delle più belle l’abbiamo in « Mulholland Drive » di David Lynch con la protagonista Betty, interpretata da Naomi Watts, che recita una lunga ed elaborata scena d’amore per convincere i produttori del film ad assegnarle un’importante parte. Fra gli altri film, ricordo la scena del provino di Nicoletta Romanoff in « Ricordati di me » di Muccino, dove va ad un provino televisivo per diventare una velina e deve dimostrare di saper essere sexy, oppure l’episodio del film « I tre volti » diretto da Michelangelo Antonioni in cui assistiamo al primo provino cinematografico della principessa iraniana Soraya, alle prese col produttore Dino De Laurentiis.
In questa playlist vorrei proporre alla vostra attenzione un testo letterario da me scritto che parla proprio di un provino teatrale. Non è un vero proprio racconto perchè in realtà fa parte di un romanzo, rimasto inedito e che non so se mai mi deciderò a proporre per una pubblicazione (al momento, credo di no). Spero che questa iniziativa non crei problemi a nessun utente del sito: tengo a fare presente che si tratta della PRIMA E UNICA volta in cui proporrò un mio testo letterario, che questo brano è assolutamente inedito, che non intendo assolutamente appropriarmi in maniera indebita dello spazio playlist, poichè ricordo che già qualche altro utente pubblicò in passato alcuni suoi racconti, fra cui quello bellissimo di GIANNISV66 di carattere fantascientifico. Fra l’altro, nel mio testo si parla soprattutto di teatro, ma vi sono anche diversi riferimenti cinematografici. Se qualche utente vorrà leggerlo e lasciare un eventuale commento gliene sarò personalmente grato; nel frattempo, ringrazio in anticipo l’utente Spopola (Valerio), che mi ha già dato in privato dei commenti e dei suggerimenti per la mia attività letteraria.
Nel brano letterario che vorrei proporre alla vostra attenzione abbiamo il provino di Stella, una ragazza bolognese dei nostri giorni che aspira a diventare attrice e che si reca ad un’audizione per ottenere una parte ne « Lo zoo di vetro » di Tennessee Williams. Stella è una ragazza che frequenta l’università, ma che si trova a vivere una situazione familiare piuttosto difficile in una famiglia disfunzionale, dove la madre si è separata dal marito anni prima e si è risposata con un uomo che non è stato accettato pienamente da lei e dal fratello Michele. Proprio il fratello, in un colloquio precedente, ha mostrato pericolosi segni di squilibrio e confusione mentale. Stella si reca al provino per uno spettacolo amatoriale, conosce il regista Fabio che le chiede di recitare una determinata scena che lei non aveva preparato insieme a Nino, un giovane che non aveva mai visto, ma per cui sembra provare uno strano colpo di fulmine e, durante lo svolgimento della scena, l’attrazione reciproca sembra consolidarsi senza che i due giovani abbiano modo di conoscersi minimamente.
Alcuni brani tratti da « Lo zoo di vetro » sono inseriti nel testo, e la situazione personale di Stella sembra in qualche modo interagire con la vicenda del dramma teatrale.



La mattina seguente, come da copione, Stella si recò presso la sede del D.A.M.S. accompagnata dall’amica Ivana, che aveva accettato di tenerle compagnia per aiutarla a mantenere la calma. Lei non aveva molte amicizie al D.A.M.S. perché era sempre stata succube del pregiudizio secondo cui gli studenti di quella facoltà sarebbero gente un po’ sballata, ma, da quando si era messa a frequentare i corsi di recitazione, aveva avuto modo di conoscere della gente che bazzicava in quell’ambiente e che, più di una volta, aveva cercato di ottenere l’appoggio dell’Università per realizzare progetti anche piuttosto ambiziosi.
 
L’idea di realizzare un nuovo adattamento dello “Zoo di vetro” da allestire nella prestigiosa Aula Absidale di via Castiglione era venuta a Fabio Mengoli, un giovane regista laureatosi proprio al D.A.M.S. Questi era riuscito ad ottenere il tanto agognato patrocinio della Facoltà, e per non sforare sul budget previsto, aveva dovuto scegliere attori semi-debuttanti senza paga. Così, delle quattro parti previste nella commedia, tre erano state già assegnate, mentre restava ancora scoperta quella di Laura Wingfield, la giovane collezionatrice di animaletti di vetro del profondo Sud degli Stati Uniti.
 
Per quanto giovane e inesperto, Mengoli era molto rigoroso in quello che faceva, tanto che aveva preteso che la parte di Amanda, la madre dei due protagonisti, fosse recitata da un’autentica signora di mezza età e non da una ragazza truccata da cinquantenne, come gli avevano suggerito alcuni dei suoi collaboratori. Lui non voleva che la povertà dei mezzi di cui disponeva facesse scadere il suo progetto al livello di una recita parrocchiale, e, fortunatamente, era riuscito a contattare per la parte un’insegnante d’Inglese di sua conoscenza che aveva sempre avuto il pallino del teatro, e che si era fatta contagiare dall’entusiasmo del giovane regista.
 
Mentre aspettava il suo turno e scambiava sporadicamente qualche chiacchiera con Ivana, Stella pensava sempre più alla commedia e all’eventualità di essere scelta. Nella sua mente si prefigurava già l’immagine gioiosa delle luci della ribalta puntate su di lei, lo spazio scenico che si trasfigurava e dilatava per effetto dei chiaroscuri interiori del suo personaggio, e poi gli interventi del pubblico, i suoi applausi, i suoi silenzi, la processione di ammiratori che si sarebbe diretta verso il suo camerino per chiederle l’autografo… Lei sentiva che finalmente era giunto il momento di verificare se il Sacro Fuoco dell’Arte che le aveva ispirato quella bruciante passione per il mestiere d’attrice corrispondesse o meno ad un effettivo talento drammatico, e di capire se quella gloriosa professione l’avrebbe ammessa nell’albo dei suoi praticanti o l’avrebbe rifiutata senza mezzi termini. Del resto, quale migliore occasione di una performance in uno spettacolo di un certo livello per sciogliere questi angosciosi dilemmi? In un certo senso, lei si rendeva conto anche del fatto che non avrebbe provato molta gioia ad esordire proprio con una pièce di Tennessee Williams, drammaturgo di grande talento, ma anche cantore di un’umanità degradata e infelice, di outsider spesso sull’orlo della malattia mentale o del crollo psichico, narrati e rappresentati con un’esasperazione piuttosto morbosa di temi e atmosfere. Lei aveva visto almeno tre o quattro film tratti dalle opere dello scrittore, e ricordava perfettamente che in uno di essi si narrava la storia di una ragazza che avrebbe dovuto subire un’operazione al cervello per mettere a tacere un triste segreto di famiglia di cui era stata l’unica testimone… Ma perché ora le tornava in mente quella storia della lobotomia?
 
Stella dovette fare un notevole sforzo per ricordare che aveva pronunciato quella parola durante il colloquio avuto il giorno prima col fratello, ma volle lo stesso scacciare nel modo più risoluto quell’idea nefasta e tornare a concentrarsi unicamente sullo “Zoo di vetro”, che, se non altro, era una delle opere meno scabrose e provocatorie di Williams; anzi, forse era la sua commedia più tenera e dolce, pur nell’infinita malinconia del finale…
 
A distogliere Stella dal suo flusso di pensieri non fu tanto Ivana, che di quando in quando le faceva piccole confidenze che appena scalfivano la sua mente assorta, quanto un giovane sulla trentina, dall’aspetto molto curato e vestito piuttosto elegantemente, che la invitò ad entrare nell’aula dove si facevano i provini. Lui parlava con un accento indefinibile, sicuramente non bolognese, e, notando un certo impaccio nell’aspirante attrice, cercò di metterla a proprio agio durante il breve colloquio preliminare all’audizione.
 
“Ciao Stella, io sono Fabio, il regista dello spettacolo”, si presentò allora lui con un sorriso. “Potrei sbagliarmi, ma ho l’impressione di vederti un po’ nervosa… quindi ti prego, fai pure tutto ciò che ritieni opportuno a farti sentire più rilassata…”
 
“Io non mi sento nervosa”, rispose Stella per ricambiare la gentilezza. “Comunque, se posso approfittarne, ti chiederei se hai una sigaretta da offrirmi…”
 
“Certo, eccotene una…”
 
Nell’aula c’erano almeno altre cinque o sei persone, tutte di sesso maschile, che evidentemente dovevano far parte delle maestranze addette allo spettacolo, e c’era perfino una cinepresa, che sarebbe servita a riprendere le scene dei provini.
 
“Hai già avuto altre esperienze di recitazione, Stella?”
 
“No, a dire il vero nessuna”, rispose lei con una punta d’imbarazzo, mentre spegneva il mozzicone di sigaretta sotto al tavolino su cui si era appoggiata assieme a Fabio. “Finora non ho mai recitato in una commedia, ma faccio parte di un gruppo teatrale da quasi un anno e mezzo, e, una volta, abbiamo messo in scena fra noi un atto del Giardino dei ciliegi di Cechov.”
 
“Conosci la commedia che stiamo per allestire?”
 
“Certo che la conosco… ho letto il testo integrale per prepararmi a questo provino, ma la conoscevo già in precedenza. Qualche anno fa ne avevo visto una rappresentazione al teatro Duse con Marina Malfatti nel ruolo della madre…”
 
“Anch’io vidi quello spettacolo, e devo ammettere che mi era piaciuto molto, così come mi era piaciuto il film con John Malkovich nel ruolo di Tom… ad ogni modo, questo non vuol dire che noi non potremo fare altrettanto bene… anche perché ho intenzione di arricchire la regia con l’uso di espedienti inediti, come quello di uno schermo sul quale una lanterna magica dovrebbe proiettare immagini o diciture, e che era stato proposto dallo stesso autore nel manoscritto originale come esperimento… Comunque, tornando a noi, qual’è la scena che avevi preparato per il provino?”
 
“Mah… io sapevo che bisognasse prepararsi sulla seconda scena del primo atto, in cui Laura discute con la madre dell’eventualità di prendere marito…”
 
“Sì, questo è vero… ma, vedi, io sono stanco di assistere a provini recitati tutti allo stesso modo, piatto e monocorde, per non dire di peggio… così, invece, vorrei chiederti di provare l’ultima scena, quella tra Laura e Jim, in cui, come dovresti sapere, si tocca l’apice emotivo del dramma…”
 
“Ma quella scena non l’ho preparata, Fabio… non conosco le battute a memoria, e in questo modo sarei costretta a improvvisare!”,rispose Stella con un pizzico di sgomento, quasi ad aggirare l’ostacolo che il regista sembrava proprio intenzionato a sottoporle.
 
“Non preoccuparti, io sono convinto che spesso è proprio attraverso l’improvvisazione che un attore riesce a dare il meglio di sé…Adesso ti lascerei alcuni minuti per rileggere la scena, mentre faccio il provino a un’altra tua collega; poi, quando sarà il tuo turno, non preoccuparti se avrai bisogno di leggere le battute sul foglio, perché quello che mi interessa è soprattutto il tuo gioco mimico, le inflessioni della tua voce e il modo in cui ti muovi mentre reciti…”
 
Nel quarto d’ora successivo Stella riuscì a stento a leggere un paio di volte il pezzo che avrebbe dovuto “improvvisare” davanti a Fabio. Si sentiva davvero in preda al panico e temeva di offrire un pietoso spettacolo di sé di fronte al regista e ai suoi collaboratori. La scena da provare era veramente molto difficile, e Stella si chiedeva perché Fabio avesse voluto destinarla proprio a lei che era una debuttante.
 
Il suo personaggio, Laura, si trova finalmente sola con Jim O’Connor, un suo ex-compagno di liceo per cui aveva provato una certa attrazione e che adesso è stato invitato a cena da suo fratello Tom, sperando che possa rivelarsi un eventuale pretendente per lei. La sincerità di Jim riesce gradualmente a vincere la timidezza di Laura, e i due arrivano perfino ad accennare qualche passo di danza, ma, sfortunatamente, mentre le insegna a ballare Jim rompe accidentalmente l’esemplare preferito della collezione di vetro di Laura, un unicorno, simbolo della sua diversità. Jim pensa che lo strano comportamento di Laura sia legato ad un suo complesso d’inferiorità, e, provando pena per lei, la bacia, facendola emergere per un attimo dal suo mondo di sogni, ma poi le rivela che è già fidanzato e che presto si sposerà, lasciandola di nuovo alla sua solitudine.
 
In quel frangente, Stella fu presa da un totale sconforto sulle sue possibilità di riuscire ad interpretare decentemente la scena e, capendo che si sarebbe soltanto coperta di ridicolo, con un improvviso colpo di scena disse a Ivana che aveva deciso di andarsene immediatamente. Ma, proprio quando s’era già alzata in piedi e stava finendo di mettersi la borsa a tracolla, Fabio aprì la porta e la invitò gentilmente ad accomodarsi. Così, di fronte allo sguardo curioso e pieno di aspettative del regista, Stella non poté più proseguire nel suo tentativo di fuga, e, amorevolmente incoraggiata dall’amica, si decise infine ad entrare nell’arena per un match che le avrebbe richiesto molto coraggio.
 
“Allora, Stella, ti senti pronta?”
 
Lei annuì docilmente, pur sentendosi crollare le gambe ad ogni passo che faceva in direzione dello spazio vuoto che fungeva da palcoscenico.
 
“E Nino, dove diavolo si trova? Ah, eccoti qua, Nino, per fortuna che non sei uscito… Stella, ti presento il nostro Jim O’Connor…”
 
Stella si ritrovò davanti ad un giovanotto di circa ventisette o ventotto anni, di altezza non eccessiva ma di corporatura agile e slanciata, che la salutò stringendole garbatamente la mano. Il suo fisico non si sarebbe detto quello di un ragazzo “palestrato” quanto, piuttosto, quello di una persona che svolgeva lavori manuali, e quest’impressione era confermata proprio dal fatto che le sue dita presentavano calli che Stella non aveva mai scorto sulla pelle delicata dei suoi amici. La carnagione un po’ scura, i capelli folti e corvini e gli occhi grandi gli conferivano un contegno un po’ altero, quasi zingaresco. Possedeva un sorriso franco e contagioso, e il suo sguardo sembrava magnetico e incredibilmente rivelatore, come se fosse dotato della rara capacità di penetrare in pochi secondi nell’intimo di una persona e di svelarne i segreti più riposti. Il suo abbigliamento era molto semplice e non ricercato come quello di Fabio, che evidentemente doveva tener fede al suo ruolo di intellettuale del gruppo. Il suo portamento sembrava possedere una naturale eleganza, tanto che Stella quasi non si accorse del fatto che indossasse un modesto pullover e un normalissimo paio di jeans. Qualcosa di quel ragazzo l’aveva colpita fin da subito.
 
“Bene, Stella, se ti senti pronta possiamo iniziare… Ti ho già detto di non preoccuparti di leggere le battute e di cercare di essere il più possibile fluida… Nino conosce già la parte a memoria, quindi ti aiuterà a rendere la scena più scorrevole…”
 
Le indicazioni del regista risvegliarono nella giovane il terrore di qualche attimo prima, cosicché, non sapendo a chi altro rivolgersi, gettò uno sguardo disperato e supplichevole al suo collega, come se lui avesse potuto cavarla da quell’impiccio e aiutarla a compiere quella fuga che era rimasta in sospeso a causa dell’intervento di Fabio. Così, Stella si avvicinò a lui sussurrando discretamente al suo orecchio: “Ho paura di non riuscire a muovermi, di non riuscire ad articolare le battute!”
 
Una lieve risata affiorò allora sulle sue labbra, ed egli, con quello sguardo incredibilmente deciso e autorevole che avrebbe convinto anche la persona più scettica al mondo, le rispose con molta sicurezza: “Non preoccuparti, devi soltanto seguire me… Vedrai che sarà un giochetto da ragazzi!”
 
Da quel preciso istante Stella si sentì libera dalla zavorra che la bloccava psicologicamente. In pochi secondi riacquistò tutta la sua scioltezza e la sua grinta e poté così trasformarsi gradualmente nella fragile Laura Wingfield, pronunciando le sue battute senza più alcun affanno, perché lo sguardo di Nino la sorreggeva e la guidava dicendole che si trattava di un giochetto facile facile.
 
Adesso Jim O’Connor le stava chiedendo cosa aveva fatto dopo il Liceo, e lei rispondeva che si era occupata principalmente dei suoi oggettini di vetro. Jim non sembrava molto convinto dell’utilità di tutto ciò, e le diceva che i suoi problemi nascevano da un complesso d’inferiorità che la portava a sottovalutarsi.
 
“Sissignora, questo è il suo problema. Lei manca di fiducia in sé come persona. Lei non ha fede in se stessa. Per esempio, la gamba che secondo lei al Liceo dava fastidio a tutti… Lei tremava alla sola idea di entrare in classe. Si rende conto? Mentre il suo è un difetto da nulla. Non si nota neanche! Lo ingigantisce con l’immaginazione! Vuol sapere cosa le consiglio io, ma sul serio? Pensi di essere superiore agli altri!”
 
Incredibilmente, quelle battute ricalcavano esattamente quanto Stella aveva detto a Michele il giorno prima, anche se adesso era lei a trovarsi dall’altra parte dello specchio, seppure per una mera finzione.
 
“E di lei che diciamo? Non c’è una cosa che l’appassioni più di tutte le altre?”
 
“Bè, sì, gliel’ho detto… la mia collezioncina di vetro.”
 
“Non capisco bene, ho paura. Che vetro è?”
 
“Oggettini, ornamenti più che altro. Quasi tutti animaletti di vetro, le bestioline più piccine che esistano. Mamma lo chiama lo zoo di vetro. Ora gliene faccio vedere uno, se vuole. Questo è uno dei vecchioni. Ha quasi tredici anni. Oh, attento… non fiati se no si rompe.”
 
“Meglio non toccarlo. Non ho le mani delicate.”
 
“Su, tenga, glielo affido! Che bravo, vede che lo sa tenere. Lo alzi alla luce, lui ama la luce. Vede alla luce come risplende tutto?”
 
Stella non aveva la forza di confessarselo, ma a lei sembrava che l’unica cosa che risplendesse in quel momento fosse il volto del suo collega, e in particolare i suoi occhi, che nascondevano in qualche angolo delle pupille una forza ipnotica e incantatoria che, oltre a permetterle di continuare a recitare, iniziava a farle provare anche un certo trasalimento che non sapeva da quale verso prendere.
 
Adesso Jim e Laura stavano parlando di unicorni, poi lui le proponeva di fare quattro salti e lei rifiutava, dicendo che non sapeva ballare, finché lui non la prendeva tra le proprie braccia e le diceva di non irrigidirsi, ma di rilassarsi… E Stella, miracolosamente, riusciva a simulare quell’impaccio e poi quell’abbandono in maniera perfetta, e non aveva neanche più bisogno di leggere le battute.
 
Mentre ballavano, Jim era sbattuto involontariamente contro il tavolino dove erano ammucchiati gli animaletti di vetro di Laura e aveva rotto proprio l’unicorno, il suo preferito… Adesso gliene chiedeva perdono mortificato, ma lei cercava di minimizzare, finché lui iniziava a parlarle in modo piuttosto insolito.
 
“Sa che lei… lei è… sì… molto diversa! Di gran lunga diversa da tutti quelli che conosco! Le dispiace che dica questo? Lo dico in senso buono. Mi fa sentire una certa… non so come spiegarmi. Di solito mi esprimo con facilità ma… questo non so proprio come dirlo. Le hanno detto mai che lei è carina? Lei è molto carina. In un modo tutto diverso dalle altre. È tanto più carina quanto più diversa… Come vorrei che lei fosse mia sorella! Le insegnerei ad aver fiducia in se stessa! Le persone diverse dagli altri non sono come gli altri, ma non hanno da vergognarsene. Poiché gli altri non sono così straordinari. Sono migliaia di migliaia. Lei è una. Loro si agitano su e giù per il mondo. Lei è qui dentro. Loro sono comuni… come erbacce… ma lei… lei è Rosa mia!”
 
Ascoltando le parole di Williams pronunciate con voce suadente e melodiosa da Nino, Stella desiderò per un attimo che il fratello si trovasse in quel posto e che potesse sentire anche lui quelle battute così intense e pregnanti, che forse avrebbero potuto illuminarlo più di qualsiasi discorso della madre o anche di uno psicologo, ma a prevalere su di lei era in ogni caso la magia di quel momento e l’impressione che Nino si stesse servendo della parola drammatica del commediografo americano per farle, volutamente o meno, una specie di dichiarazione d’amore.
 
“Una rosa pallida…”
 
“Una rosa bella.”
 
“In che senso bella?”
 
“In tutti i sensi… creda a me. I suoi occhi… i capelli…le sue mani sono belle. Lei crede che io mi riscaldi tanto perché sono stato invitato e devo mostrarmi gentile. Oh, potrei anche farlo. Potrei fare la commedia davanti a lei, Laura, e dirle un monte di cose senza crederci. Ma questa volta no. Le parlo a cuore sincero. Ho notato in lei un complesso d’inferiorità che le impedisce di stare in mezzo agli altri. Qualcuno dovrebbe ridarle fiducia, renderla fiera invece che schiva e piena di rossori… Qualcuno dovrebbe… Dovrebbe… baciarla… Laura!”
 
In quell’attimo Nino ebbe un’evidente esitazione, come se la maschera del personaggio che fino ad allora lo aveva protetto si fosse improvvisamente spezzata e lui non potesse più dissimulare la realtà di quell’incredibile colpo di fulmine che sembrava essere scoppiato fra loro senza che neanche si fossero parlati; in ogni caso, le sue mani scivolarono sulle braccia di Stella e lui si apprestò a baciarla davvero, com’era scritto nel copione, quando la voce di Fabio urlò che potevano fermarsi anche lì e che il provino era terminato.
 
“Perfetti, siete stati davvero perfetti, tutti e due! Stella, io avevo intuito che tu avessi delle doti fuori dal comune, e per questo ho voluto metterti alla prova con questa scena, che forse è la più difficile di tutta la commedia… ma ne è valsa la pena, perché il personaggio ti calza a pennello… e poi mi sembra che fra voi due ci sia un’alchimia incredibile, che è raro trovare in due attori che neanche si conoscono… La parte è tua, Stella, spero che questo ti renda felice almeno quanto lo sono io in questo momento!”, esclamò Fabio in maniera entusiastica, stringendola a sé e dandole delle piccole pacche sulle spalle per congratularsi con lei.
 
La neo-attrice tornò a sentirsi più frastornata di prima, come se fosse in caduta libera senza potersi più aggrappare al sostegno che l’aveva costretta a restare in equilibrio fino alla fine del provino. Inoltre, il fatto che fosse stata scelta per la parte risuonò come una pallida eco alle sue orecchie, poiché le sembrava un ben misero risultato di fronte al tumulto dei sentimenti che era stato svegliato così repentinamente in lei da un ragazzo mai visto in precedenza! Lei non aveva più l’ardire di guardarlo in faccia, poiché temeva che quegli occhi l’avrebbero di nuovo inchiodata a sé, ma non poteva nascondere alla sua coscienza che per un attimo aveva desiderato con tutte le sue forze che lui l’avesse baciata sul serio. Adesso, però, quella specie d’incantesimo si era spezzato, Nino non era più il burattinaio che la dirigeva come un automa, e lei, pur contenta per il risultato ottenuto, aveva soltanto una gran voglia di fuggire da quel luogo, di fuggire da quel turbinio di sensazioni confuse e contraddittorie che sembravano fermentare nel suo animo stordendole i sensi e sottraendo lucidità al suo intelletto.
 
“Ti ringrazio, Fabio, sono davvero contenta che tu voglia darmi questa opportunità, che fino poco fa ritenevo del tutto al di fuori della mia portata… Adesso mi devi scusare, ma purtroppo mi sono appena ricordata di un servizio che devo sbrigare per forza stamattina, e quindi non ho il tempo materiale di intrattenermi ancora un po’ con voi… Comunque, quando pensi di iniziare con le prove?”
 
“Al più presto, Stella, al più presto… se possibile anche la settimana prossima, poiché i tempi per preparare lo spettacolo sono veramente molto stretti…”
 
“Beh, in ogni caso lasciami il tuo numero di cellulare, sarò io a chiamarti uno dei prossimi giorni per metterci d’accordo su quando incontrarci. Adesso scusami, ma devo proprio andare…”
 
Ella corse rapidamente verso la porta, da dove avrebbe voluto uscire senza voltarsi, ma una forza irresistibile le impose di guardare verso il giovane che sembrava averla stregata e la cui visione le diede l’ennesimo tuffo al cuore. Tuttavia, sul momento Stella preferì credere che si trattasse soltanto di un gigantesco fraintendimento, così si fece forza e, oltrepassata la soglia, fece sbattere con decisione l’uscio alle sue spalle.
 
 
 
Nota dell’autore : i brani tratti dallo “Zoo di vetro” di T. Williams citati in questo capitolo sono riportati dall’edizione Einaudi, Collezione di teatro, traduzione a cura di Gerardo Guerrieri, nona ristampa, Torino, 2000, p. 56-60.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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