Un genere intorno al quale si sentono spesso le peggiori castronerie, l'horror. Bistrattato e banalizzato dal vociare popolare, specie in un paese come il nostro che da tempo ha dimenticato l'artigianato cinematografico del terrore. Si tratta in realtà di una delle tipologie filmiche più feconde, la più flessibile a discorsi allegorici e a metafore politiche nonché una delle forme di cinema più affidate all'invenzione. Non di rado l'horror si è rivelato infatti un fecondissimo terreno di ricerca per l'affermazione di alcune grandi autorialità, ha sedotto registi conclamati, ha aperto spazi e territori di creatività sconfinati. Ragion per cui andrebbe sempre svincolato dalle trite chiacchiere della vulgata che tende a "normalizzarlo" e a privarlo della sua forza eversiva.
Questa classifica, che casca come ovvio cadeau che si rispetti nel giorno di Halloween, è una personalissima breve incursione in 7 titoli diversi ma necessari, in un modo o nell'altro e per motivi diversi, nella storia del genere. In quanto personale, ha necessariamente bisogno di essere contestata e insultata. Anzi, ben vengano i dinieghi e le urla di disapprovazione. Sono il sale unico dei "giochini" come questi.
Kubrick si reinventa ancora una volta maestro in un adattamento magistrale da uno dei peggiori romanzi di King. La follia di Jack Torrance è incasellata dentro una raggelante idea dello spazio filmico, una gestione della tensione e una regia che tradendo il testo di partenza mira alle ossessioni ancestrali, alla costruzione di immagini piene e disturbanti in cui la sottile attenzione per le musiche da parte del maestro è al solito celestiale e strepitosa. Kubrick maneggia l'orrore primitivo, il dramma grottesco di un nucleo familiare in frantumi, il perturbante di figure evanescenti e di corridoi simili a dedali della psiche. Ancora oggi ineguagliato.
Con Jamie Lee Curtis, Donald Pleasence, Nancy Loomis, Tony Moran, P.J. Soles
In streaming su Cultpix
Carpenter al massimo del suo genio. Un'esemplare costruzione del terrore che maneggia pochi elementi basici e trae da ciascuno di essi il massimo: una regia che non sbaglia un colpo e che pennella movimenti di macchina secchi e avvolgenti allo stesso tempo, un minaccioso senso di claustrofobia tipico della provincia americana più nebbiosa, l'assassino "spiato" in soggettive entrate di diritto nella storia del cinema, una Jamie Lee Curtis indimenticabile e un theme musicale divenuto pura leggenda. Un mix letale, irresistibile, un film che se non lo rivedi ad Halloween non è Halloween. Carpenter riconfermerà in seguito tutto il suo clamoroso ed epocale talento, che qui c'è già tutto.
Con Ellen Burstyn, Max Von Sydow, Linda Blair, Jason Miller, Lee J. Cobb
Il film horror per antonomasia, il più iconico, il più strombazzato. William Friedkin è un regista a mano armata, un furibondo anarcoide e uno degli autori più "vitali" e preziosi ancora in attività: il suo film più celebre lo dimostra in pieno, con il suo accattivante respiro cinematografico che va ben oltre le maglie del genere e dei momenti capaci di attecchire come ragnatele inestirpabili nella mente di ogni spettatore. La giovane posseduta Linda Blair cambiò per sempre la storia del cinema horror, il modo di concepirlo, le sue leggi costitutive. La New Hollywood passa anche (e soprattutto) da qui.
Il germe della filiazione demoniaca si instilla nel ventre della giovane Mia Farrow in un horror metafisico e, come spesso accade in Polanski, "d'appartamento". La pietra angolare della prima parte della carriera del regista polacco nonché la sintesi furiosa e allucinata delle sue inestirpabili ossessioni, di sicuro la sua regia horror più completa. Da gelare il sangue nelle vene il progressivo e crescente valzer dell'orrore materno.
L'horror più politico di Romero, l'unghiata più viscida e strisciante a una civiltà occidentale barcollante e sull'orlo del definitivo collasso. La società dei consumi come mostro che si autofagocita, come negazione antiumana di ogni benevolenza. La metafora esplode incontrollabile e si compiace di una ferocia mai tanto necessaria, di un odio così repellente e appiccicoso verso le degenerazioni che l'essere umano ha miseramente applicato alla sua mesta esistenza e alle sue artificiali e insulse gabbie sociopolitiche.
David Cronenberg e il suo titolo più dichiaratamente riconducibile all'horror duro e puro. La rivoltante sensibilità post-umana verso le frattaglie e le filiazioni indebite della nuova carne, i veri fil rouge della prima parte della sua carriera, la fanno da padroni in questo horror essenziale ma anche barocco, irrimediabilmente sporchissimo.
John Landis è uno dei massimi geni pop di tutti i tempi. Invenzioni e soluzioni visive a gogò, effettacci artigianali divenuti immortali, tanto ingegno e tanto amore per il gusto camp e vintage di un horror che non c'è più ma che si aggira sibillino in tutto il cinema di paura degli anni '80. Il mostro e la sua resa grafica sono da applausi scroscianti.
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