Come scriveva, nel celeberrimo aforisma, Oscar Wilde, «definire è limitare». Stessa sorte tocca al "genere cinematografico": etichetta di consumo per il pubblico, canovaccio da seguire (e da stravolgere) per i registi, luogo di (eterno) dibattito per la critica di ieri e di oggi. La nascita e il tramonto dei generi servirono (e servono) a definire il gusto del pubblico, a classificare i film e la loro stessa fruizione, ma anche a metabolizzare i cambiamenti sociali, a farsi specchio della comunità, divenire metafora culturale. La Hollywood "classica" è stata promotrice della nascita e dell'istituzionalizzazione dei generi: il western, la commedia, il gangster-movie sono alcuni dei più famosi esempi. Sorte diversa è toccata al noir, un genere che è nato (o, per meglio dire, è "stato indicato") dalla critica, piuttosto che da Hollywood. Il ventennio compreso tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta - che Renato Venturelli definisce «gli anni dell'incubo» - ha visto la crescita esponenziale di film "neri", profondamente "soggettivizzati", carichi di disillusione e privi di speranza. Un numero sempre crescente di film, che, nel corso degli anni Cinquanta, i critici francesi Borde e Chaumeton definirono e indicarono come «film noir». Dunque, non un genere prestabilito, ma un vero e proprio "sintomo" della società americana: la traduzione audiovisiva di un manifesto malessere dovuto, tra gli altri, agli orrori della seconda guerra mondiale.
Ma il genere noir, ancor più degli altri generi "classici", si caratterizza per la sua vaghezza, per la sua natura ibrida, sfuggente: per usare un ossimoro, un archetipo inclassificabile. Ed è per questo che durante il suo periodo di più grande sviluppo, ovvero tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, il genere noir si "confonde" con (e negli) altri generi, li scuote dalle fondamenta; getta, appunto, «le sue ombre su Hollywood». Più o meno tutti i generi reagiscono a loro modo: chi citando il noir, chi interiorizzandone la poetica, chi recuperando gli stilemi fotografici, chi, ancora, facendone un pastiche postmoderno.
Con questa playlist vorrei proporre sette (grandiosi) esempi di film (e di generi) non propriamente "noir", ma dove questo caso di "fusione" è, più o meno, evidente.
Con Gene Tierney, Cornel Wilde, Jeanne Crain, Vincent Price, Mary Philips, Ray Collins
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Uno dei più celebri esempi di mélo-noir. Un esempio di "commistione" tra i generi è nell'utilizzo del colore, solitamente antitetico ai classici bianco-nero del noir classico, ma usato da Stahl in maniera altamente espressiva e noirish.
Con Joel McCrea, Veronica Lake, Robert Warwick, William Demarest
È, forse, con la commedia che il noir condivide meno elementi, e in cui gli esempi sono rarissimi. Il film di Preston Sturges è un film fortemente contrastato, in cui la spensierata prima parte convive con un secondo tempo attraversato da un grande malessere.
Con Dorothy McGuire, George Brent, Ethel Barrymore, Kent Smith
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Il perfetto luogo di incontro tra il noir, il film gotico e l'horror. Un film dove tutto è finalizzato per procurare angoscia, disagio, perversione. Un capolavoro perturbante.
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