“Le Utopie migliori sono quelle che falliscono nel modo più assoluto”Fredric Jameson
Utopia dal greco ou ("non") e topos ("luogo") ovvero "non-luogo". Ma anche da eu ("buono" o "bene") e topos ("luogo"), e quindi "buon luogo”. Insomma, già nell'analisi del termine troviamo l'ambiguità che è insita in questa parola. Come a dire: per trovare la felicità occorre andare in un luogo che non è un luogo (ma con questo non si deve intendere che il “non luogo” non esista, vediamo dopo perché) La coniò Tommaso Moro nel 1516. Thomas Moore, nato nel 1478 e morto nel 1535, fu un Umanista e uno dei più grandi pensatori di quel periodo storico che viene oggi ricordato come Rinascimento. Fu amico personale di Erasmo da Rotterdam, autore di quell' Elogio della Folliache andrebbe riscoperto visti che i tempi che attraversiamo. Ben lungi dal fare voli di fantasia senza fondamento, Moro comincia la sua opera con una analisi della realtà sociale del suo tempo (e, ovviamente, del suo paese, l'Inghilterra) per approdare poi alla costruzione di una civiltà ideale (La Città perfetta) in cui radicali innovazioni nelle istituzioni e nei costumi sociali creano uno Stato perfetto, in grado di garantire benessere ai suoi cittadini. Moro si ispirò alla Repubblica di Platone, ma la sua Utopia ebbe lo stesso una tale connotazione di originalità da influenzare il pensiero immediatamente successivo e lasciare una traccia in tutto quello a venire fino a diventare un termine di uso comune. Credo che questo concetto di “utopia” in realtà ce lo portiamo in molti dentro. Sicuramente ogni volta che di fronte alle iniquità cui ci tocca assistere immaginiamo un mondo diverso, in quel momento noi “creiamo” una nostra utopia. Ma quello stesso mondo per noi ideale può non esserlo per altri, e uno dei fondamenti base per la creazione di una “città perfetta” ossia il discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, ci porta a fare una serie di valutazioni soggettive che non sempre vanno a coincidere con quelle degli altri. E' chiaro che al di là di alcuni concetti basilari (rispetto per la vita altrui, possibilità per tutti di poter sviluppare i propri talenti etc.) si entra poi in casistiche particolari che possono dar luogo a discussioni tanto elaborate quanto inconcludenti. Seguendo il racconto di Raphael Hytlodaeus (ossia, molto ironicamente, “raccontatore di bugie”) troveremo che nell'isola di Utopia la proprietà privata non esiste (un anticipo del comunismo? Piuttosto di Proudhon), tuttavia è certo che per molti il rispetto della proprietà privata è un concetto di civiltà fondamentale non meno che il rispetto della vita altrui. Sempre nell'Utopia di Moro troviamo la più ampia tolleranza religiosa, eppure è d'obbligo per tutti credere nella Divina Provvidenza e nell'Immortalità dell'anima. E' pleonastico aggiungere che in una società simile gli atei sarebbero dei reietti.
Il genere letterario (e, di conseguenza, cinematografico) che più è consono ad incontrare il concetto di Utopia è sicuramente la fantascienza, quale veicolo migliore per raccontare di società alternative alla nostra? I legami tra fantascienza ed utopia hanno avuto un attento osservatore in Fredric Jameson, critico letterario e studioso di politica statunitense, attualmente docente alla Duke University in North Carolina. Jameson ha raccolto i suoi scritti sull'argomento in un'opera dal titolo Archologies of the future. The Desire called Utopia and other Science Fictions tradotta solo parzialmente in italiano (Il desiderio chiamato utopia, , Milano 2007). Proprio una sua frase (quella citata all'inizio della playlist) mi ha fatto riflettere su una utopia talmente bella che sta fallendo nel modo più assoluto: l'Europa unita. Gli accadimenti degli ultimi mesi ci hanno fatto capire che, al di là di una crisi mondiale che innegabilmente c'è, il palazzo dell'unione europea sta mostrando crepe sempre più evidenti e adesso iniziano i primi crolli (ovvero, giusto per richiamare fatti reali, le dimissioni del Presidente dell'Eurogruppo e le motivazioni di queste, a dimostrazione che in Europa c'è chi si sente superiore e vuol comandare gli altri). Ho pensato alla parola utopia poco tempo fa quando ho avuto il piacere di assistere ad una intervista televisiva (ogni tanto il servizio pubblico riesce a fare il suo dovere) a Mario Soares. Socialista, traghettatore del Portogallo alla democrazia, europeista convinto, Soares prendeva atto con grande amarezza che i provvedimenti di austerità imposti dall’Europa al suo Paese anziché essere efficaci lo stanno indebolendo ulteriormente, e ribadiva che la cosa importante è “avere a cuore le persone, non il mercato“. Poche, semplici parole, ma pesanti come se fossero scolpite nel granito. Per chi ha la responsabilità della cosa pubblica prima deve venire il benessere delle persone e la finanza e l'economia devono essere dei mezzi per migliorare la società in cui viviamo, non il fine di chi governa. E se per risanare un paese vedo i bambini svenire dalla fame a scuola (perché non hanno i soldi per il pranzo, è una cosa che sta accadendo in Grecia dove il 20% delle famiglie è sotto la soglia della povertà, notizie reperibili su internet perché i media “ufficiali” certe cose preferiscono tenerle nascoste), allora mi viene da pensare che quel risanamento ha qualcosa di sbagliato. E se vengo poi a scoprire (sempre navigando) che il rilascio degli aiuti è vincolato all'acquisto di armi dalla Germania (e dalla Francia), allora mi convinco del tutto che quel risanamento è davvero fatto in maniera sbagliata. Personalmente non sono mai stato un europeista, troppo diverse le nostre storie,le nostre tradizioni, le nostre lingue e soprattutto troppo diverse le politiche fiscali. E la dimostrazione sta proprio nel fatto che mentre l'Europa traballa vistosamente la Germania cresce ed è stato l'unico paese che di fatto ha tratto vistosi vantaggi dall'introduzione della moneta unica. E non posso allora non pensare al mio compianto nonno (classe 1906, morto a novant'anni), socialista della prima ora, che alla notizia della riunificazione delle due Germanie mi disse “c'è ben poco da festeggiare”. L'Europa rischia di essere un fallimento assoluto e, come tale, la migliore delle utopie. Chiedo venia per la digressione, ma credo che, data anche l'importanza della ricorrenza odierna, fosse giusto fare qualche riflessione (e dare lo spunto per quelle di tutti voi che leggete).
Concludo con una selezione di pellicole sul tema delle utopie e, soprattutto, delle utopie fallite.
Fritz Lang racconta una distopia (ovvero l'opposto di un'utopia), una società non-ideale dove le differenze di classe sono immense. Lang, tedesco ma di lontane origini ebraiche, fuggì dalla Germania avversando il nazismo.........
Con Raymond Massey, Cedric Hardwicke, Edward Chapman
Piccolo capolavoro della fantascienza britannica, in un allora lontano futuro l'umanità riesce a raggiungere la pace ma il pericolo di contrasti non è del tutto superato. Un inno alla pace frutto di un momento storico particolare (pesanti nubi di guerra si addensavano sull'Europa).....ma lo è anche il nostro
L'umanità sottomessa al dominio delle Corporazioni sembra aver superato ogni problema, ma il paradiso è in realtà una dittatura e la violenza cova come il fuoco sotto la cenere. Il rollerball, sport spietato e violento, è lo sfogo per l'aggressività della gente, ma proprio la stella di questo sport rappresenta la minaccia all'ordine..... grande James Caan in una delle più rappresentative pellicole della fantascienza pessimistica degli anni '70 (pre-star wars)
Il film in cui l'utopia viene rappresentata nella sua versione più fiduciosa. L'umanità ha qui davvero raggiunto la fratellanza universale, andando ben oltre le frontiere del sistema solare.
La società ideale esiste, regala una vita fantastica con tempi cadenzati da giornate tutte uguali e tramonti romantici. Peccato che sia tutto finto. Il miglior Jim Carrey possibile diretto benissimo da Peter Weir
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