Il cinema talvolta ci ha raccontato le vicende di personaggi che, per svariati e complessi motivi, hanno dovuto portare avanti un’esistenza « finta », ovvero una vita che non rispecchia la loro essenza più autentica, le loro aspirazioni e inclinazioni più intime. In alcuni casi questo dissidio può essere prodotto da motivi di convenienza sociale, in altri da violenze subite, in altri ancora dalla necessità di nascondere fatti dolorosi del proprio passato. Di seguito riporto alcuni dei film più interessanti che hanno affrontato questa tematica. UN AVVERTIMENTO : nelle note seguenti potrete trovare degli « spoiler », quindi chi non vuole sapere il finale dei rispettivi film, non legga i commenti contenuti in questa play. Per i riassunti delle rispettive pellicole, in alcuni casi ho consultato le schede in italiano di Wikipedia.
Con Lana Turner, John Gavin, Juanita Moore, Sandra Dee, Robert Alda, Susan Kohner
Fiammeggiante mélo di Sirk di cui in questa sede mi interessa solo la storia di Sarah Jane : una « nera di colore bianco », figlia di Annie Johnson, la governante di colore di Lora Meredith, un’aspirante attrice che le prende entrambe in casa propria e le tratta sempre col massimo rispetto e considerazione. Fin da piccola, Sarah Jane non accetta la sua razza, si vergogna del colore della pelle della madre, cerca di nascondere le sue origini in tutti i modi. Quando, ormai cresciuta, ha una relazione clandestina con un ragazzo bianco, viene smascherata da costui e picchiata e abbandonata per strada. Sentendosi emarginata a causa del razzismo, scappa di casa causando un forte dolore alla madre, che tempo dopo la ritroverà a lavorare in un night-club e, per non farle fare una brutta figura, dirà agli altri di essere la sua governante. Quando Sarah Jane capirà il suo errore sarà troppo tardi, perchè la madre sarà già morta, e la scena delle sue lacrime al funerale resta forse una delle più commoventi della storia del cinema. L’interpretazione di Susan Kohner nel ruolo di Sarah Jane è notevole, e la vicenda di questo personaggio resta una testimonianza per molti versi ancora agghiacciante sugli effetti distruttivi del razzismo e dell'intolleranza, che potrebbe essere estesa anche ad altri tipi di discriminazione e che resta attualissima ancor oggi.
Con Anna Karina, Liselotte Pulver, Francisco Rabal
Suzanne Simonin è una ragazza proveniente da una famiglia borghese che non la sopporta e che, in giovane età, decide di mandarla in convento contro la sua stessa volontà. Suzanne non sente alcuna vocazione per lo stato religioso e rifiuta una prima volta di prendere il velo, ma la famiglia la obbliga a rientrare in convento rivelandole di essere figlia di una relazione adulterina e costringendola infine a pronunciare i voti. Suzanne compie il noviziato nel convento di Longchamp, dove ha come superiora Madame de Moni, una suora molto devota che la prende in simpatia e l'aiuta a sopportare la sua condizione. Dopo la sua morte, però, la superiora che le succede prende in odio Suzanne, che è vittima di ogni tipo di angherie da parte delle consorelle, che si aggravano quando la ragazza ottiene la possibilità di rifiutare i voti. Tuttavia, la richiesta di scioglimento non viene accolta e le viene proposto di trasferirsi in un altro convento, Saint-Eutrope, dove viene accolta con affetto da tutta la comunità religiosa e in particolare dalla superiora, Madame de Chelles, che nutre per lei un amore eccessivo. Confidatasi col suo confessore, Suzanne si allontana dalla superiora, il cui comportamento sfocia nella pazzia. Infine, Suzanne fugge dal convento e si rifugia a Parigi, dove, per evitare la polizia, finisce in una casa di tolleranza e infine si getta dalla finestra e muore. Qui la « finzione » di Suzanne è quella di dover compiere una scelta del tutto contraria alla sua natura e alla sua disposizione personale, che la obbliga davvero a « vivere un’altra vita », un pò come la monaca di Monza : il film di Rivette è un atto d’accusa feroce agli abusi perpetrati contro la libertà di coscienza, svolto in maniera rigorosa e servita da un’interpretazione eccezionale di Anna Karina.
Titolo originale L'homme est une femme comme les autres
Regia di Jean-Jacques Zilbermann
Con Antoine de Caunes, Elsa Zylberstein, Gad Elmaleh, Michel Aumont, Maurice Bénichou
Simon Eskenazy è un giovane musicista omosessuale di circa trent’anni. Nato in una famiglia ebrea, ha avuto molte difficoltà a far accettare la sua omosessualità ai parenti, in particolare alla madre e allo zio, il ricco banchiere Salomon che gli propone un affare : gli lascerà in eredità 10 milioni di franchi e un albergo di cui è proprietario se Simon accetta di sposarsi con una donna e di avere un figlio. All’inizio piuttosto perplesso, Simon accetta di incontrare Rosalie Baumann, una ragazza ebrea molto praticante la cui famiglia vive negli Stati Uniti. Rosalie si innamora perdutamente di Simon e lo presenta come suo fidanzato alla famiglia, ma Simon, prima del matrimonio, per onestà le rivela la sua vera natura. Le nozze avvengono ugualmente, Simon riesce perfino a diventare padre, ma non riesce a sopprimere la sua natura omosessuale e il rapporto di coppia dura per poco ; si lasceranno comunque in buoni rapporti. Commedia di costume che rivendica il diritto alla differenza sessuale toccando le corde giuste : per quanto impegno ci metta, la « finzione » di Simon non va a buon fine come avevano sperato i suoi parenti. Ottimi Antoine De Caunes ed Elsa Zylbermann nei ruoli dei protagonisti. Inedito in Italia, ma disponibile in rete, ha avuto anche un seguito realizzato circa dieci anni dopo dallo stesso regista Jean-Jacques Zilbermann e con lo stesso interprete. Ringrazio l’utente Spopola per avermi a suo tempo segnalato questo film che non conoscevo.
Qui siamo dalle parti della storia di Sarah Jane ne « Lo specchio della vita », con una differenza però : se l’eroina di Sirk cercava di fuggire dalla sua identità di nera facendosi passare per bianca per paura del razzismo, il protagonista di Barriera invisibile, il giornalista Phil Green (Gregory Peck), deve fingersi ebreo per scrivere una serie di articoli sull’antisemitismo commissionatigli dal direttore di un giornale. Nell’ambito di questa « finzione » il giornalista sarà testimone di una serie di episodi di discriminazione, dal rifiuto di essere accettato in alcuni alberghi al bullismo subito dal figlio a scuola da parte dei compagni alla derisione pubblica nei rapporti con la sua nuova fidanzata. Anche qui la finzione sperimentata dal personaggio porta una serie di conseguenze impreviste in partenza, perlopiù negative, che dimostrano il razzismo strisciante nella società Americana degli anni Quaranta. All’epoca fu molto apprezzato come film progressista e vinse ben 3 Oscar fra cui Miglior film, miglior regia ad Elia Kazan e migliore attrice non protagonista a Celeste Holm ; col passare degli anni, però, la critica l’ha piuttosto ridimensionato e lo ha generalmente posto fra le opere minori di Kazan. Sul Mereghetti si legge a proposito del film : « Uno spunto originale e controcorrente perde buona parte della sua forza per via di una sceneggiatura mai davvero capace di graffiare. E anche l’idea di limitare l’inchiesta all’antisemitismo « quotidiano » non aiuta a trarre le reali conseguenze di quello che si scopre ».
La finzione più estrema : il cambio di sesso. Questo espediente narrativo è stato sempre molto sfruttato nel cinema, soprattutto in film comici o commedie brillanti come « A qualcuno piace caldo » di Wilder o « Tootsie » di Pollack. « Victor Victoria » di Blake Edwards è uno dei migliori titoli sull’argomento. Julie Andrews interpreta Victoria, un soprano in cerca di una scrittura che si lascia convincere a impersonare il conte polacco Victor che recita e canta « en travesti ». Victoria è così brava da riuscire a convincere tutti di essere "un uomo che finge di essere una donna", e ottiene un incredibile successo. Tutti tranne il gangster americano King Marchan, che risulta incredibilmente attratto da Victor ed è convinto che sia una donna che si traveste, e dà inizio ad una sequela di gag e trabocchetti per farla venire allo scoperto, grazie anche all'aiuto della sua fidata guardia del corpo Squash, che dopo aver visto King con Victor a letto rivela di essere anch'egli omosessuale, spiazzando il capo. La finzione di Victoria porterà numerosi altri equivoci e alla fine dovrà essere abbandonata in quanto troppo destabilizzante. Secondo Morandini « come operazione in puro stile rétro è un trionfo, in linea con i musical MGM degli anni 40 e 50. In perfetto equilibrio tra farsa e sentimento, tra umorismo di parola e comicità d’immagine, è una delle migliori commedie del decennio, degna di Lubitsch ».
Infine il film di Peter Weir, giustamente acclamato, dove la finzione non è più del personaggio principale, ma del contesto che lo circonda : Truman Burbank, un trentenne apparentemente normale, ignora di essere il fulcro di uno spettacolo televisivo, il "Truman Show", incentrato sulla sua stessa vita, ripresa in diretta sin dalla nascita, quando Truman fu prelevato da una gravidanza indesiderata. L'isolotto su cui abita, Seahaven, è infatti un gigantesco studio televisivo creato dal regista Christof, che appare come un diabolico burattinaio. Tutte le persone che Truman incontra e con le quali si relaziona sono degli attori, compresi i genitori, l'amico Marlon e sua moglie Meryl, e tutte le sue vicende sono manipolate e pianificate dalla produzione. Dopo che Truman scoprirà l’inganno, si arriverà inevitabilmente al momento in cui il libero arbitrio personale dovrà dettargli la scelta da compiere per il suo futuro. Il film porta alle estreme conseguenze il discorso sulla finzione e l’inganno che alimentano la società dello spettacolo, è uscito in lieve anticipo rispetto al proliferare di reality-show sulle nostre emittenti televisive, è diretto con grande competenza professionale da Peter Weir e recitato con talento da Jim Carrey.
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