Uno degli attori che ha saputo meglio interpretare la tipologia dell’uomo borghese nelle sue diverse e sfuggenti sfaccettature caratteriali è stato a mio avviso Michel Piccoli. Nella sua lunga carriera, molti grandi autori hanno pensato a lui per farne il collante ideale tra la verosimiglianza del carattere che si richiede all’interpretazione di un ruolo e la personale idea, sul mondo e sul cinema, che attraverso quel carattere si intende proiettare verso l’esterno. Chi lo ha scelto per fargli incarnare la bonaria e “problematica” normalità borghese come Claude Sautet (“L’amante” , “Tre amici,le mogli e (affettuosamente) le altre”) e chi per impersonarne l’ambiguità d’atteggiamento come Claude Chabrol (“Dieci incredibili giorni” , ”L’amico di famiglia”); chi ne ha fatto il tramite per un attacco all’arma bianca alla morale borghese e ai valori fondativi della famiglia come Marco Ferreri (“La grande abbuffata” , ”Dillinger è morto”) e Marco Bellocchio (“Salto nel vuoto” per il quale vinse il premio a Cannes come miglio attore, e ”Gli occhi la bocca”) e chi lo ha reso emblematicamente partecipe della propria inesauribile vena surrealista come Luis Bunuel (“La via Lattea” , “Il fantasma della libertà”); chi lo ha usato per focalizzare meglio l’anima meditabonda della borghesia come Manoel De Oliveira (“Ritorno a casa” , ”Bella sempre”) e chi per giocarci insieme per arrivare ad una semiseria analisi della società come Otar Iosseliani (“Giardini in Autunno”, nel quale indossa i panni dell’anziana madre del protagonista). Attore versatile ed elegante, Michel Piccoli fa della calma la sua maschera prediletta, quella che gli consente di passare da un registro interpretativo ad un altro senza mai disperdere la naturalezza del tocco e sempre aderendo con efficace sintonia d’intenti allo stato d’animo richiesto. Ha quasi sempre impersonato il libero professionista che orbita con consumata familiarità negli ambienti alto borghesi (almeno stando a molti dei più importanti film da lui interpretati e rimanendo nei limiti della mia conoscenza della sua florida filmografia), intento ad oscillare tra l’agiatezza economica e le inquietitudini dell’animo, tra il ruolo imposto dalla sua posizione sociale e le inconfessabili strategie del cuore, ora rimanendo nel solco tracciato dalla drammaticità che si accompagna al personaggio, arrivando anche a lambire il limite della paranoia pura, ora virando con evidente complicità emotiva verso le sponde ludiche del grottesco. Ha lavorato con molti degli autori più importanti di questo secolo e, grande o piccola che sia stata la partecipazione in ognuno dei film che ha interpretato, la classe che lo contraddistingue come attore di prim'ordine è sempre servita a far emergere il suo innato talento. Oltre agli autori e ai film già menzionati (e oltre a ricordare che con Luis Bunuel ha lavorato anche in “La selva dei dannati” , ”Il diario di una cameriera” , “Bella di giorno” e "Il fascino discreto della borghesia"), occorre almeno ricordare, tra gli altri, Jean-Luc Godard (“Il disprezzo” , “Passion”), Alain Resnais (“La guerra è finita”), Agnes Varda (“Les crèatures” , “Josephine”), Jean Pierre Melville (“Lo spione”), Alfred Hitchcock (“Topaz”), Michel Deville (“La femme en bleu”), Luis Garcia Berlanga (“Life Size-Grandezza naturale”), Luis Malle (“Atlantic City” , “Milou a maggio”), Yves Boisset (“Alzati spia”), Ettore Scola (“Il mondo nuovo”), (Bertrand Tavernier (“I miei vicini sono simpatici”), Jacques Rivette (“La bella scontrosa”), Raoul Ruiz (“Genealogia di un crimine”), Theo Anghelopoulos (“La polvere del tempo”), Nanni Moretti (“Habemus Papam”, premiato con il nastro d’argento europeo). C’è molta Italia nel percorso artistico di Michel Piccoli, e non solo Marco Ferreri (con cui stringerà uno dei sodalizi più importanti della sua carriera lavorando anche in “L’udienza” , ”La cagna” , ”L’ultima donna” e “Come sono buoni i bianchi”), e gli altri già indicati, ma anche Vittorio De Seta (“L’invitata”), Mario Bava (“Diabolik”), Luciano Tovoli (“L’armata ritorna”) e Sergio Corbucci (“Giallo napoletano”, un piccolo film a cui sono particolarmente affezionato) e Sergio Castellitto (“Libero burro”). Perché lui è stato (e rimane) uno degli attori simbolo della lunga e proficua commistione artistica tra due grandi scuole cinematografiche come quella francese e quella italiana. Si è cimentato anche nella regia girando quattro lungometraggi a partire dal 1991(“Contre l’oubli” , ”Alors voilà” , ”La plage noire” e ”Non è proprio la vita che sognavo”). Una lunga e luminosa carriera dunque (con oltre cento film all'attivo), messa al completo servizio di un cinema che si nutre esclusivamente di idee. L’etica professionale di un grande attore.
E' Glauco, un uomo alienato dalla vita e avvinto dagli oggetti che lo circondano in un Lucidissimo e sconsolato saggio su les choses (Marcello del Campo)
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