Il cinema ha preso in prestito un alto numero di volte le tragedie di Shakespeare per adattarle al grande schermo, con risultati più o meno egregi. Uno dei drammi shakespeariani per eccellenza è "Amleto", storia geniale e irriverente di un principe danese che, incontrato in sogno il padre morto, scopre che l'assassinio del progenitore è avvenuto per mano della sposa di quello e del nuovo marito di quella. Decide quindi di vendicarsi. Finirà terribilmente in tragedia. Fin dall'alba del cinema, la storia di "Amleto" è stata adattata in ogni modo e ambientata in qualunque spazio e tempo. Anche colui che convenzionalmente consideriamo "padre del cinema", Georges Melies, ha portato nel 1905(all'incirca) la sua versione della tragedia. Ammontano ad oltre quaranta, ad oggi, le versioni cinematografiche della vicenda, che non sempre ha ottenuto i giusti meriti e che molte volte è stata maltrattata da registi di non altissimo richiamo che, trovatisi a lavorare a quest'opera, non sono riusciti a darle il giusto valore anche cinematograficamente. A chi ancora non conosce il testo teatrale, prima di immergervi nelle versioni cinematografiche, faccio dono del monologo più famoso dell'intero testo e forse dell'intera letteratura inglese nella storia: Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte. Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti. Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell'uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d'altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l'incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell'azione perdono anche il nome...
Probabilmente la migliore tra le trasposizioni cinematografiche del capolavoro, va ricordato oltre che per la quantità di premi vinti, anche per la grandezza caricaturale del cast e per la bellezza della regia, che non risulta mai piatta, anzi.
Capolavoro di Branagh, costato molto e molto ben considerato dalla critica, è una versione lunga del capolavoro shakesperiano, ma che funziona nel garantire la compattezza e l'assonanza tra testo e film.
Con Mel Gibson, Glenn Close, Alan Bates, Paul Scofield, Helena Bonham Carter, Ian Holm
Zeffirelli non è certo un cattivo regista, ma il suo "Amleto" mi risulta da sempre irricevibile: sarà perchè è una rappresentazione troppo maestosa e troppo poco poetica. E va ricordato che Zeffirelli, con Shakespeare, aveva fatto ben altro, non molto tempo prima.
Con Ethan Hawke, Kyle MacLachlan, Diane Venora, Sam Shepard, Bill Murray, Julia Stiles
Ennesima trasposizione, stavolta in chiava moderna e quasi futurista del capolavoro del drammaturgo inglese. Stavolta, Amleto, gira a Manhattan, osserva grattacieli e va in multinazionali. Niente male come idea, ma non funziona sempre.
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