La morte di Vittorio De Seta mi ha portato alla mente quel cinema italiano dal forte respiro antropologico, quello che si è concentrato sulla rappresentazione di mestieri antichi come il mondo, tecniche di lavoro, usi, tradizioni popolari e credenze ancestrali. Un mondo andato perduto e di cui ci rimane memoria anche grazie al valore testamentario ci certi film. Ripensare a questo mondo perduto non significa negare i fisiologici mutamenti sociali indotti dall’incedere progressivo del divenire storico, la natura intimamente migliorativa del progresso tecnologico o la possibilità data all’uomo di emanciparsi dalla durezza di lavori al limite della sopportazione attraverso un ripensamento proficuo delle metodiche lavorative. Ripensare a quel mondo perduto può significare porsi dinanzi ad un sistema di valori che di fatto ha regolato le sorti del pianeta per diversi secoli e chiederci quando ci abbiamo perso e quando guadagnato da una sua cesura così violenta e frettolosa e cosa si è realmente fatto per garantire una sua più graduale trasformazione che tenesse conto della necessaria armonia che sempre si dovrebbe ricercare tra l'uomo e l’ambiente in cui vive. Ripensare a quel sistema di valori che si è tramandato per anni e che per anni ha permeato il tessuto culturale di intere popolazioni, può significare riconoscere il pregio di una memoria collettiva autenticamente condivisa nel tempo dell’atomizzazione individualista e recuperare il senso della condivisione di spazi vitali nel regno delle privatizzazioni ad oltranza. Ripensare oggi a quel sistema di valori non deve significare fare della sterile nostalgia in salsa bucolica o del mero ecologismo da salotto, ma potersi confrontare con la crisi economica che incombe su un mondo ammalato di effimere necessità con la volontà di ritrovare nella frugalità del gesto semplice quella ritrovata armonia con l’ambiente che ci circonda. Per riconoscerci come uomini aventi dei valori e non come gente portatrice di averi. Dicevo che il cinema italiano si è spesso interessato del rapporto tra l’uomo e la natura e lo ha spesso fatto seguendo le tracce culturali disseminate lungo il cammino dalle nostra tradizione letteraria, di ieri e di oggi, dalle spinte veriste di Giovanni Verga fino alle acute osservazioni sulla civiltà contadina dei vari Carlo Levi, Ignazio Silone, Rocco Scotellaro, Ernesto De Martino, Nuto Revelli, Ferdinando Camon, Franco Arminio. Un cinema che non tende alla rappresentazione di un rapporto di tipo “naturalistico” tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, tale cioè da portarci verso lo spiritualismo laico di un Andrej Tarkovskij o le implicazioni panteiste di un Terrence Malick, ma alla testimonianza di un rapporto carnale tra di loro, fatto di duro lavoro e sacrifici, di sangue che pulsa e sudore che scorre, un rapporto figlio della notte dei tempi e tramandato di generazione in generazione, che conserva i tratti del mito e la fatalistica accettazione degli eventi. Un rapporto simmetrico e mai prevaricatore, dove l’uomo, come scrive Martin Scorsese riferendosi ai documentari di Vittorio De Seta, sembra cercare “la redenzione attraverso il lavoro manuale: nelle viscere della terra, in mare aperto, tagliando il grano. Gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani".
Da “I Malavoglia” di Giovanni Verga, Luchino Visconti trae spunto per un film che riflette nulla natura tragica del fato. L’uomo e il mare. L’uomo è il mare.
Con Francesca Moriggi, Luigi Ornaghi, Antonio Ferrari, Carmelo Silva
Il candore dei lavoratori della terra e l’estrema sopportazione dei vinti dalla vita. L’ inestricabile intreccio in un capolavoro da scolpire nel cuore.
Con Gian Maria Volonté, Paolo Bonacelli, Alain Cuny, Lea Massari
Carlo Levi è mandato al confino a Gagliano, un piccolo paese della Lucania. L’intellettuale del nord incontra i contadini meridionali. Scorgendo dietro quell’arretratezza di mezzi e strutture un umanità d’intenti e una profondità culturale da riscoprire e rivalutare.
Le tecniche per la pesca del pesce spada, il duro lavoro nelle miniere di zolfo, il rito della mietitura del grano e la pesca del tonno a Favignana. L’ieri e l’oggi non si riconoscono più.
Con Aldo Bufi Landi, Olimpia Carlisi, Tina Femiano, Salvatore Grasso
I Gioia sono una famiglia di pescatori di Pozzuoli, dei Malavoglia moderni,vittime del loro fatalismo e immersi in una religiosità che ripara da tutte le sciagure. Tra verismo e sperimentalismo cinematografico, un grande film da riscoprire
I rituali della civiltà contadina vengono bruscamente interrotti dai fatti della guerra. Ancor prima che dalle scariche di mitra dei soldati nazisti, un'intera comunità di contadini è uccisa dalla rottura senza rimedi di quella serenità bucolica faticosamente conquistata.
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