Rileggendo per l'ennesima volta la lunga intervista che, a più riprese, Alfred Hitchcock rilasciò a François Truffaut, mi sono imbattuto nel passaggio in cui, parlando del film Sabotatori, il regista inglese rifletteva sul ritrovarsi prigionieri in un luogo pubblico e affollato. Al suo interlocutore che abilmente lo incalzava, Hitchcock rispondeva: "Come posso dare l'impressione che il ragazzo e la ragazza sono intrappolati, senza via d'uscita, in un luogo pubblico? Se lei si trovasse in una situazione del genere, si avvicinerebbe a qualcuno dicendogli: 'Sono prigioniero qui'. Allora vi risponderà: 'Lei è completamente pazzo'. Si avvicinerebbe allora a una porta o a una finestra e qui ci sarebbero dei malviventi ad attenderla. È una soluzione fantastica, incredibile e da cui è molto difficile uscire". Leggendo queste parole, ho ripensato a quante volte situazioni simili ricorrono nei film di Hitchcock. Ho ripensato a queste scene come ad un vero e proprio capovolgimento dei canoni della paura, quando un individuo solo, rinchiuso in una stanza al buio, si ingegna per scovare una via di fuga. Del resto, la paura e la solitudine sono probabilmente sentimenti atavici e certamente individuali, legati a particolari situazioni e momenti e difficilmente etichettabili o incasellabili in categorie certe e inamovibili. Questo elenco riassume, come sempre senza pretese, alcuni casi di "trappole umane" nei film di Hitchcock. La lista resta ovviamente aperta ai vostri contributi che spero coinvolgano anche altri registi che hanno rappresentato scene simili.
Il protagonista Robert Donat si trova invischiato in una strana storia di spionaggio ed è braccato dalla polizia, che lo ritiene colpevole di un omicidio che in realtà non ha mai commesso, e da una feroce banda di spie. La chiave di volta del racconto è rappresentata da Mister Memory, un uomo dalla memoria infallibile che conserva nella sua mente la formula segreta tanto ambita dalle spie. Intrappolato nel Music-Hall dove Mister Memory intrattiene il pubblico, Robert Donat esce dalla sua trappola fatta di uomini nell'unico modo possibile: domandando a Mister Memory che cos'è l'organizzazione nota come Club dei Trentanove. Riuscirà a rispondere prima di morire ammazzato e Donat ritroverà la sua innocenza.
Con Derrick De Marney, Nova Pilbeam, Percy Marmont, Edward Rigby, Mary Clare, John Longden
I due protagonisti, in fuga dalla polizia che ingiustamente li insegue, si ritrovano "intrappolati" in mezzo a un'orda di bambini impegnati nella mosca cieca organizzata dalla zia della ragazza. Per usare le parole di Hitchcock: "Il ragazzo e la ragazza devono cercare di andare via quando la zia avrà gli occhi bendati, ma se uno di loro viene preso, dovrà poi bendarsi gli occhi e a sua volta tutti e due saranno obbligati a restare. Il suspence è così creato. La zia riesce quasi a prenderli, ma alla fine riescono a scappare". Sempre a proposito di questo film, si potrebbe citare la scena finale, con i protagonisti, incastrati fra la polizia e la folla, impegnati a scovare il reale colpevole in un’affollatissima sala da ballo.
Beh, che dire… Per tutto il film Ingrid Bergman si trova intrappolata tra la folla, che si tratti di tre sole persone come di una sala da ricevimento piena (compreso Hitchcock che tracanna un flute di spumante in un sol fiato!). Chiaramente, la scena madre è quella in cui la Bergman stringe in mano la chiave da passare a Cary Grant. Che cosa di realmente pericoloso può succedere in mezzo a tanta folla? Forse nulla, è vero. Ma se così non fosse, sperare in una via di fuga è inutile. Paradossalmente, alla fine del film è Cary Grant a trascinare Claude Rains fuori dalla casa, proprio contando sul fatto che nulla potrà accadergli in mezzo ad altra gente. Una volta usciti, però, per Rains non ci sarà scampo e finalmente Alicia e Devlin potranno amarsi senza paura.
Con Gregory Peck, Alida Valli, Charles Laughton, Ann Todd
In questo caso la folla è certamente meno pressante e l’empatia che si prova nei confronti del protagonista è probabilmente minore. In ogni caso, il senso di solitudine e spaesatezza che Gregory Peck prova al termine del processo che ha di fatto sancito la rovina della sua carriera deve essere al limite del sostenibile, come viene abilmente sottolineato dal movimento di macchina a salire che schiaccia sul pavimento l’avvocato, come a sottolineare l’inesorabile declino che ha deliberatamente intrapreso.
Due sconosciuti decidono di commettere uno scambio di omicidi. Bruno sopprimerà la moglie di Guy che non ha intenzione di concedergli il divorzio. Guy ucciderà il padre di Bruno. Mentre, però, Bruno va sino in fondo, Guy ha un ripensamento. Per vendicare il tradimento subito, Bruno lascia degli indizi sulla scena del crimine che faranno incriminare proprio Guy, che si ritrova in uno stadio affollato, a dover terminare nel minor tempo possibile la sua partita di tennis, per raggiungere Bruno ed affrontarlo in un confronto mortale.
Al culmine della ricerca del figlio rapito, James Stewart si ritrova all’Albert Hall di Londra, dove un importante ambasciatore straniero sta per essere assassinato. Impedire l’omicidio può voler dire salvare la vita al bambino. James Stewart prova a rivolgersi alla polizia, che però lo rimbalza di volta in volta a qualcuno di grado superiore. Solo, benché circondato dalla folla, riuscirà, grazie anche alla moglie, ad impedire l’omicidio ed a ritrovare il figlio. Ancora una volta il contrasto fra la folla potenzialmente foriera d’aiuto e la solitudine nella quale il protagonista è costretto ad agire è lampante.
Cary Grant, scappando dai nemici, sulle tracce di un uomo che nemmeno esiste, si rifugia in una casa d’aste. Le uscite sono presidiate dagli inseguitori, fuggire sembra del tutto impossibile. Ma ecco che Cary Grant ha un’intuizione: l’unico modo per uscire vivo dalla trappola umana è farsi scortare fuori dal servizio d’ordine. Comincia dunque una sistematica azione di disturbo, rilanciando in modo completamente dissennato, fin quando riesce ne suo intento di farsi accompagnare fuori.
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