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DAVID GOODIS E IL CINEMA: UNA DISCESA AGLI INFERI
di Marcello del Campo ultimo aggiornamento
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DAVID GOODIS E IL CINEMA: UNA DISCESA AGLI INFERI

Come Jim Thompson, David Goodis ha avuto una vita dannata. Nei suoi romanzi domina il nero profondo senza speranza. La concezione fatalistica della vita lo imparenta a Cornell Woolrich/William Irish con la differenza che il pessimismo di Goodis è di tipo “razionale” (l’uomo è destinato al fallimento), mentre in Woolrich il mondo è abitato da forze oscure e dal caso. Gli “eroi” di Goodis vivono ai margini della società, senza possibilità alcuna di riscatto.
Uomo di bell’aspetto ma noncurante, alcolista cronico, morì a solo cinquant’anni, lasciando circa una ventina di ottimi thriller, molti dei quali portati sullo schermo con grande o discreta fortuna di critica e di pubblico.
Del 1947 è The Unfaithful (Le donne erano sole) del quale scrive la sceneggiatura insieme a James Gunn, diretto da Vincent Sherman, con Ann Sheridan e Zachary Scott), un mélo sulla scia dell’impareggiabile Ombre malesi di William Wyler.
Sempre nel 1947, cura la sceneggiatura di quello che sarebbe diventato un film memorabile: dal romanzo Dark passage (apparso in Italia nel 1946 con il titolo Il volto perduto, ristampato nel 1996 nella collana ‘I Classici del Giallo Mondadori’ con il titolo La giungla umana) Delmer Daves gira il film dal titolo omonimo (in italiano La fuga) con la coppia regina degli schermi, Humphrey Bogart e Lauren Bacall insieme dopo Acque del sud (To Have and Have Not, 1944) da Hemingway e Il grande sonno (The Big Sleep, 1946), da Chandler, entrambi diretti da Howard Hawks, tre capolavori che assicurano ai due una permanenza stabile nel mito.
Film esistenzialista, dostoevskiano, kafkiano, La fuga è un’opera indimenticabile non solo per la famosa soggettiva con Bogart che compare con la sua faccia soltanto al 64° minuto su 106 (della quale si è scritto e si scriverà sempre), ma per tutto il corredo tecnico, non ultime le musiche di Richard Whiting che si aprono a intrusioni di Johnny Mercer, Someone to Watch Over Me di George Gershwin suonata al phonografo, Avalon di Vincent Rose, basata su una trascrizione radiofonica di E lucevan le stelle dalla Tosca di Puccini. L’attuale appartamento Art Deco, dove furono girati gli interni, situato al N. 1360 Montgomery St. a San Francisco è ancora oggi visitato dai vecchi fans dei film noir.
In Francia Goodis è ritenuto presto uno scrittore di culto: nel 1956 Pierre Chenal firma la regia di Séction des disparus dal romanzo Of Missing Persons (Non riposano in pace, stampato nel 1953 nella collana Il Giallo Mondadori e ristampato nella collana Capolavori dei Gialli Mondadori); il film non è mai arrivato in Italia.
Jacques Tourneur, attratto dalle atmosfere ‘malate’ di Goodis, commissiona all’autore e al grande Stirling Silliphant la sceneggiatura del romanzo The Nightfall (1947) (Il buio nel cervello, 1956, Giallo Mondadori, ristampato nei Classici del Giallo Mondadori). Nel 1957 esce il film dal titolo omonimo che in Italia viene intitolato L’alibi sotto la neve [Avvertenza: la mania tutta italiana di cambiare titolo a film e romanzi rende faticosa la stesura della playlist, spero non la lettura], interpretato da Aldo Ray, Brian Keith e Anne Bancroft, “un film”, scrive Mereghetti “di routine che Tourneur sa trasformare in un grande noir.”
Lo stesso anno, un regista alla prima prova, Paul Wendkos trasforma in film il romanzo The Burglar del 1953 (pubblicato in Italia quarant’anni dopo, nel 1992 con il titolo con il quale film apparve al cinema nel 1957, Lo Scassinatore, ma apparso negli anni Sessanta con il titolo Ragazza aspettami nella collana Gialli Canarino Ponzoni [come è facile notare, in Italia i libri vengono pubblicati con ritardi secolari e con titoli improbabili], Goodis scrive la sceneggiatura, la regia di Wendkos è un piccolo gioiello di sperimentazione sul genere e gli interpreti Dan Duryea, Jayne Mansfield e Martha Vickers assicurano un buon prodotto sul quale il Morandini spalma tre righe di superciliosa sufficienza come è costume della critica italiana di deriva/zione marxista, mentre il Mereghetti lo elogia come un esperimento notevole dal punto di vista formale.
Perché la suddetta cricca/critica si accorgesse che esisteva un buon autore di noir, non bastava il successo di Goodis in Francia (sempre la serie noir di Duhamel), occorreva l’impronta “autoriale”, fastidiosa non di per sé, ma per l’arretramento di posizione in cui la tenevano i vari santoni Aristarco e Della Volpe. E l’autore era François Truffaut che arrivava con un buon film, ma certo non superiore a quelli citati finora, né lontanamente paragonabile al film di Delmer Daves. Il film era Tirez sur le pianiste ed era l’adattamento fatto dallo stesso Truffaut del romanzo Down There scritto nel 1956.
I registi francesi, sempre meno provinciali degli italiani, come abbiamo visto prima con Pierre Chenal, si misuravano con il genere con buoni risultati. Aggiungo che la Mondadori questa volta si distrae e il romanzo di Goodis viene pubblicato con il solito ritardo quarantennale, prima dalle edizioni Granata Press a metà anni Novanta e poi nel 2003 dal benemerito Fanucci Editore che oltre a ripubblicare tutto Jim Thompson, sta ripubblicando e ritraducendo le opere di entrambi. Comunque, si deve al film di Truffaut lo sdoganamento (in Italia) di un maestro del noir. Il film non ha bisogno di troppe parole, il regista si cimenta brillantemente (grazie anche a Charles Aznavour) nel genere, lo travalica, sorprende (è il suo secondo film) e riceve le lodi dello stesso Goodis che cambiò il titolo al suo romanzo: Shoot the Piano Player.
Dopo un decennio di oblio, sempre in Francia (la patria dell’esistenzialismo), Henry Verneuil gira nel 1971 un remake tratto da The Burglar che aveva già ispirato Paul Wendkos quasi venti anni prima, La casse (Lo scassinatore, questa volta al singolare: strano, perché gli scassinatori sono Jean Paul Belmondo, Omar Sharif, Robert Hossein e Renato Salvatori), un film giustamente dimenticato, ricordato solo per una bella colonna sonora di Ennio Morricone.
Va meglio un anno dopo con il film di René Clément, (La corsa delle lepre attraverso i campi), tratto da una sceneggiatura di Sébastien Japrisot (I ragazzi del Marais, La signora dell’auto con gli occhiali e il fucile, Una lunga domenica di passione, Histoire d’O, ecc) che mescola due romanzi di Goodis, Black Friday del 1954 e Somebody’s Done for scritto poco prima di morire nel 1967 (rispettivamente intitolati in italiano Venerdì nero e L’altalena della morte e pubblicati entrambi nei Gialli Mondadori nel 1954 e nel 1967). Clément, nonostante sia poco amato da quelli dei Cahiers, fa un buon film, e per rendere più “nero” il clima chiama in soccorso due grossi calibri come Robert Ryan e Aldo Ray che danno filo da torcere al convincente Jean Louis Trintignant. Un film, dunque da rivedere e un regista da rivalutare (Le mura di Malpaga, Giochi proibiti, La diga sul Pacifico, Delitto in pieno sole, Crisantemi per un delitto, Parigi brucia, L’uomo venuto dalla pioggia) con animo sereno, senza consultare i Cahiers che sono per il cinema l’analogo delle guide dei ristoranti.
Nel 1983 l’astro nascente Jean-Jacques Beineix, tra gli eccellenti Diva (1981) e Betty blue (1986) piazza nel 1983 il film La lune dans le canivau (in it. a scelta: La luna nel rigagnolo o Lo specchio del desiderio), tratto dal romanzo di Goodis del 1953 The Moon in the Gutter (C’è del marcio in Vernon Street – giallo Mondadori 1964). Il film, contro tutte le imprecazioni della critica, piace e diventa un cult per la presenza di Depardieu e Nastassja Kinski e per l’ascendente che Beineix ha sulla gioventù intellettuale degli anni Ottanta; inoltre Beineix è un regista parecchio finto, ma ha la fortuna di stare simpatico anche per l’effetto-Diva/Betty Blue, quest’ultimo anche perché sorretto da una colona sonora che finì nella hit parade. Naturalmente di Goodis c’è ben poco, il romanzo è un’altra cosa.
Seguono due film, uno fallimentare di Gilles Behat, Rue Barbare (1984) mai arrivato in Italia e il riuscito Descente aux enfers (Discesa all’inferno, 1986), tratto dal romanzo The Wounded and the Slain del 1955) con uno stuolo di ottimi interpreti.
David Goodis finisce i suoi giorni romanzeschi tra le braccia sicure di Sam Fuller,  alla soglia degli Ottanta e in terra amica. Il cerchio si chiude: dal passaggio oscuro alle strade senza ritorno, Goodis dopo quarant’anni non offre più speranze di quante ne offrisse agli albori della carriera, fallimento, alcolismo, morte, nulla è cambiato, tutto è peggio di allora. Fuller si piega alla filosofia nichilista dello scrittore, non fa fatica, è la sua stessa filosofia con minor cinismo. Il romanzo, bellissimo, cupo, estremo è Street of No Return del 1954, (Strada senza ritorno - I classici del Giallo Mondadori N. 879, 1993) e Fuller lo trasforma in un film infero con un Keith Carradine, un pop singer caduto nel limbo dei reietti, che sembra uscito dal sottosuolo dostoevskiano.
Scrive un lettore (tra i tanti che ho trovato online): “Strada senza ritorno è sicuramente un libro da non perdere. Dopo averlo letto riesce difficile credere che l'autore sia totalmente dimenticato in patria. Il suo nome non compare nemmeno nell'‘Encyclopedia of Mystery and Detection’ di Steinbrunner e Penzler. A Filadelfia nell'enorme biblioteca "Philadelphia Free Library" non esiste nemmeno una sua scheda. Speriamo di vedere presto le altre sue opere pubblicate in italiano.
 
[NOTA: se non trovate nulla sulle bancarelle dei vecchi gialli Mondadori o non avete voglia di cercare, l’editore Fanucci ha iniziato nel 2003 la pubblicazione di tutti i romanzi di Goodis, sono usciti: La ragazza di Cassidy, Il vuoto nella mente, Sparate sul pianista, La fuga, La luna nel vicolo, tutti tradotti ex novo.
Per chi voglia approfondire, consiglio la lettura di James Sallis: Vite difficili. L'anima nera dell'America: Jim Thompson, David Goodis, Chester Himes. Il saggio di Sallis, - sofisticato autore di thriller ‘intellettuali’ - è stato pubblicato da Giano editore nel 2004; presso lo stesso editore è in corso dall’inizio del millennio  la pubblicazione dei romanzi di James Sallis [consigliabile la lettura di Driver dal quale Nicolas Winding Refn ha tratto Drive, a fine mese nei cinema].

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