C’è un ricordo che più di ogni altro vorrei conservare per esprimere dodici mesi di cinema. In una sala di trenta posti, semivuota, si è realizzata una fantasia che ritenevo un’utopia, un desiderio inattuabile: è un film d’animazione, ma immediatamente la sagoma di Jacques Tati si staglia tra crepuscolari spettacoli di vaudeville, mentre il suo vestito e i suoi silenzi eleganti cercano di parlare un linguaggio di comicità rispettosa in teatri che non trovano pubblico.
Tati è lì, è un disegno a colori, perché il disegno è l’unica forma che può restituirlo al presente: c’è qualche spettatore anziano che in altri tempi e in altre sale deve aver assistito ai suoi film, e che ora sorride mentre rivede Tati, un riso commosso; c’è chi è ancora troppo piccolo per conoscere la storia del cinema, ma ride ugualmente, e forse anche di più, perché è un riso sincero, senza nostalgia. Io invece resto sospeso, a osservare le reazioni di questi pochi presenti e il piccolo miracolo che sta accadendo sullo schermo, senza realizzare pienamente che sto vedendo per la prima volta Jacques Tati al cinema, il comico triste. E come rendersene conto? Sono nato molto tempo dopo il fatidico 1982 che si è portato via l’artefice di Hulot: ma è il 2011, e L’illusionista incantevolmente dona Tati al nuovo millennio. Il film finisce: una nuova pagina della sua comicità è durata soltanto la manciata di un film, poi la morte è tornata a essere un confine non spartibile con le leggi dell’animazione. Ma nemmeno la tristezza può portarsi via il ricordo di un incantesimo, a qualunque età..
Forse Tati è ciò di cui avrebbe disperatamente bisogno questo decennio di cinema appena inaugurato. Un decennio che non si scrollerà i dieci anni precedenti, che oscillerà ancora nella contesa tra il cinema spettacolare in cerca di nuove tecnologie e cinema d’autore in cerca di nuove scuole. Ma non c’è pessimismo né lamento in questa frase, solo la tendenza della conferma: anzi, il cinema, spacciato continuamente di vivere in agonia, si ripresenta ogni anno con voci che soffiano sul mondo.
Queste voci hanno la lucidità e la circospezione dei classici che guardano ai grandi temi della rinascita rinnovando la senilità con la serenità dello sguardo (Hereafter); queste voci hanno la polifonia di paesi diversi che affrontano la globalizzazione e la tecnologia col biasimo e la ricerca di un’estetica sfidata (il cinema in divenire di Innaritu, costantemente aperto sul mondo e sul cinema, che scrive pagine sofferte, contradditorie, ma potentissime in Biutiful;l’integrità assoluta di Essential killing; e, nel suo piccolo, quel Non lasciarmi che non si fa contagiare dal melodramma convenzionale ma da una malinconica e autonoma grazia); queste voci hanno un umanismo che sa riscrive la dignità dei vinti usando il loro linguaggio violento (La pecora nera, L’amore buio, Animal kingdom), l’ironia di cui si travestono e in cui si rifugiano per inevitabilità (Boris – Il film, Ladri di cadaveri), ma sa anche ricorrere alla metafora o al microcosmo per recuperare l’identità incerta di un paese (Habemus papam, Cirkus Colombia, Uomini di Dio); queste voci che l’Asia indirizza con una maturità di raccoglimento e di spiritualità forse uniche (le pagine delicate di cinema che compone Poetry; l’inattesa fermezza di Takashi Miike che riscrive la tradizione con la modernità in Thirteeen assassins; l’ermetica filosofia orientale di Lo zio Bonmee che si ricorda le vite precedenti, perturbante e rarefatta parabola di difficile ma intensa visione simbolica); queste voci che l’America diffonde (quasi) senza creare grandi capolavori, e nemmeno grandi film, ma almeno grandi momenti (Il Grinta, The social network, Black Swan); e infine voci che guardano la realtà con la forza della prospettiva disincantata, stralunando le regole, senza la pretesa di essere delle guide in un momento mondiale così incerto per la natura dell’uomo (Il ragazzo con la bicicletta e Another year, forme di un realismo straordinario che “mostra e non dimostra”, di sguardi in cerca della verità e di una spontaneità estetica che trova pochi eguali).
Voci che continuano a soffiare. Ma sarebbe ipocrita circondarsi solo di entusiasmo se si vuole definire ciò che questa stagione ha rappresentato: al contrario, i film di cui parliamo sono solo una minoranza, una minoranza che rischia di estinguersi sempre di più se le lacune dei distributori cominciano a diventare crimini artistici. Non è possibile che film come Promises written in water, Balada triste de trompeta, e lo straordinario Cold fish, giusto per citare solo i titoli passati a Venezia, siano rimasti sperduti e indegni di una circolazione in sala. Fino a poche settimane ero convinto che anche Venere nera sarebbe rimasto indistribuito, mentre Detective Dee ha atteso un anno esatto per uscire, e Offiside cinque, ma per fortuna sta finalmente circolando. Eppure trovano uno schermo film “veneziani” come Malavoglia, per non parlare dei disastri di Placido e Costanzo, o “casi” inspiegabili come La donna che canta, Passione. A nome di tutti questi film destinati a chissà quale sorte nella storia del cinema in Italia, mi sono sentito in dovere di inserire nella playlist almeno un inedito, Road to nowhere, sia per l’indispensabilità del film in questione se si parla del meglio di una stagione cinematografica, sia per non dimenticare il ruolo “clandestino” che questi inediti continuano a esercitare per chi non si stanca comunque di cercarli.
E allora come riassumere questi dodici mesi che hanno varcato il nuovo decennio di cinema? Aspettando. Aspettando di vedere se quello che Malick ha insegnato verrà un giorno rielaborato; aspettando di vedere la sorte che industria e pubblico sceglieranno per il 3D; aspettando di vedere un cinema italiano che non sia identico a una rinascita che non c’è stata (inutile appellarsi a ciò che non è successo dopo Gomorra e Il divo: sono casi, e per di più gli anni della loro uscita cominciano a decorrere); aspettando che Jacques Tati torni di nuovo..
Poema; ricerca disperata di un’armonia universale con passato, presente e futuro; momento di eterea bellezza che nasce dal particolare e dal frammento, per poi ricongiungersi nell’Assoluto, aldilà della Storia, dei tempi, aldilà dell’uomo stesso e dei suoi limiti. The tree of life è un’opera omnia che in un solo, enorme, gesto artistico, avvolge la concezione di ciò che è stato il cinema per Malick, e di ciò che il cinema non è ancora stato. Biografismo e sogno, ricordo e contemplazione si incamminano per cercare la via che dall’accettazione della Natura (dell’istinto e non del male) si spinge a immergersi, emanare, la Grazia.
Cinema come flusso inesauribile che non dialoga con sé stesso, ma con l’intera tradizione teologica e filosofica del pensiero cristiano, alla volta dell’Essere, di una risposta alla massima ambizione dell’Arte. Il film del secolo.
La cultura occidentale, figlia dell’Illuminismo e del progresso, spegne la sua umanità senza conservare rimorsi: l’uomo contemporaneo e la Scienza, accecati dalla conoscenza, dimenticano l’origine dell’uomo, l’Africa, e imparano a colonizzarla per poi chiuderla in un museo. Una tragedia che solo un corpo di donna incapace di rispondere può riassumere: Venere nera, nella sua durata possente non accusa soltanto, ma dirige ogni sguardo verso un ritratto femminile che si fa carico di un’epoca, come accadeva in Lola Montes di Ophuls e in Vita di Oharu di Mizoguchi: la visione è quasi insostenibile, mostra ogni cosa senza risparmiare o togliere, eppure ogni inquadratura non brama l’orrore morale fine a se stesso, lo scavalca per cercare la pietà nella sua interezza più muta, e nell’inesorabilità di un destino che si accetta. Il cinema forse non ha mai conosciuto così a fondo il fallimento dell’Umanesimo.
Esiste negli ultimi anni un film che, nato dall’omaggio e dalle forme più raffinate della commedia senza parole, si è elevato con tanta grazia lontano dalle direzioni del genere, verso la poesia per immagini in movimento? Nostalgia e pessimismo, dichiarazione d’amore per un mondo che all’osservazione combinava il sentimentalismo più nobile e inesprimibile. Questo spirito cortese resta fedele a se stesso, mentre intorno ciò che non ragiona sotto i dettami della mercificazione subisce prima l’alienazione e poi lo sgretolamento. Il presente non vuole capire Tati, e Tati, dopo aver amabilmente deriso l’oggi per tanti anni, ora non ha nessuno ad ascoltarlo se non la giovinezza che fugge: ha perso, non gli rimane che uscire di scena in solitudine, impotente, perché gli è stata tolta anche la vocazione.
Con Shannyn Sossamon, Dominique Swain, John Diehl, Cliff De Young, Michael Bigham
Lo sguardo straordinario di un regista che cerca nell’arte l’intreccio della vita. Un film definitivo sull’argomento metacinematografico, vissuto non come mezzo né come modalità di racconto, né tantomeno come ennesimo metacinema narcisistico. È l’esistenza a filmare ciò che un film non può mostrare, a fare da regia: al cinema non resta che varcare i paletti della sceneggiatura, non porsi limiti, inabissarsi alla ricerca dell’espressione lontana dal falso. Come se un film potesse essere sguardo, e sguardo soltanto, senza una meta o una fine.
Con Alfredo Castro, Antonia Zegers, Vadell Jaime, Nobuera Amparo, Marcelo Alonso
La parola “essenza” sembra scorrere invisibile in tutto il film, inesorabilmente. Essenza di un Cile emotivamente monco e decostruito socialmente, essenza di una mediocrità unanime che ha sostituito la consapevolezza con la sopravvivenza, essenza di un uomo che sembra prolungare le Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij: l’uomo-insetto, che soggiace con volontà alla deferenza e ai bisogni umani ha solo il potere di un’inutile libertà tragica e della propria malattia d’amore.
I piani interpretativi si moltiplicano, e il cinema sgorga come un congegno narrativo che si rinnova in continuazione. Inception è l’apoteosi di un manipolatore assoluto che ha saputo sfidare le tradizioni della sceneggiatura, del Post-moderno, per creare un universo umano perfettamente riconoscibile in cui l’uomo è ossessionato dall’ambizione e dal controllo prima di ridursi a pedina di un gioco più grande che ha come unico dominatore il regista. Un cinema che vive e muore dentro Nolan, dentro le sue ossessioni di volontà di potenza, dove l’istinto e la soggettività delle persone rischiano di perdersi nell’oggettività più regolata. Stavolta il regista-equilibrista ha provato un’impresa quasi impossibile: dominare i meccanismi dell’intrattenimento hollywoodiano con una filosofia del sogno, e da questo equilibrio straordinario proiettare il cinema popolare verso la più compiuta incertezza. Il film del futuro, almeno per Hollywood, al contrario della rivoluzione solo tecnologica di Avatar.
Il ragazzo con la bicicletta e Another year probabilmente sono migliori, entrambi incredibilmente meditati e con l’aspetto del teorema. Ma anche il concetto di valore può essere sottomesso dall’umana urgenza del coraggio: Panahi ha realizzato gran parte di Offside in un solo giorno, durante la partita decisiva tra Iran e Bahrein per le qualificazioni a Germania 2006. Un giorno per filmare una breve storie di donne che hanno la colpa di cercare il nuovo, la condivisione con gli altri, la semplice gioia sportiva. Non si falsifica il reale, c’è solo l’ansia di raccontarlo, senza forzature; non c’è la presunzione di dimostrare, ma la profondità di cercare un cinema che non sai dove ti porta, lasciato agli sguardi e all’improvvisazione, e soprattutto alla voglia di mostrare e raccontare, senza generi o limiti che ne vincolino la libertà. Se questo non è cinema, allora Rossellini non ci ha insegnato niente con Roma città aperta. Alla fine, la linea che unisce la fede e il culto, l’imposizione fondamentalista alla condizione invisibile, non vuole essere spezzata o rimpiazzata: vuole soltanto essere varcata, per la prima volta.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook, ma c'è un nick con lo stesso indirizzo email: abbiamo mandato un memo con i dati per fare login. Puoi collegare il tuo nick FilmTv.it col profilo Facebook dalla tua home page personale.
Non ci sono nick associati al tuo profilo Facebook? Vuoi registrarti ora? Ci vorranno pochi istanti. Ok
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta