Per molti anni, ho evitato il cinema a episodi, lo trovavo frammentario. Non facevo in tempo ad affezionarmi a un personaggio, che già ne arrivava un altro... Adesso non più. Basta scegliere gli episodi: registrare tutto il film, tagliare gli episodi non interessanti, e creare una raccolta di quelli belli. Questa playlist è dedicata a cortometraggi o mediometraggi (fra i 25 e i 40 minuti), tutti in bianco e nero, comparsi in film italiani a episodi della prima metà degli anni Sessanta (anni del boom: osmosi irriproducibile fra una cultura che è ancora umanistica, una morale che è ancora cattolica, il segno della guerra non del tutto assorbito, l'idea di nazione ferita, ma non sepolta, e insieme i costumi che iniziano a diventare più liberi). Il cinema italiano di quegli anni, fiorentissimo in termini di produzione, di incassi e di prestigio internazionale, è soprattutto industria, forma egemone di spettacolo, indotto economico consolidato. Una squadra affiatata di artigiani delle commedia cinematografica sforna a getto continuo soggetti e sceneggiature dal taglio realistico e satirico che raccontano in presa diretta questa transizione. Sono nomi come Mino Maccari, Ettore Scola, Leo Benvenuti, Guglielmo De Bernardi, Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Castellano e Pipolo. E poi battitori liberi dal talento prorompente: Rodolfo Sonego, che lavora per (e con) Alberto Sordi, e Rafael Azcona, spagnolo, che esercita gli artigli di storie grottesche in coppia con Marco Ferreri. Insieme a loro, senza soluzione di continuità (anzi, con frequente intercambiabilità dei ruoli, vedi il caso di Ettore Scola), una generazione di registi sui quarant'anni, tutti di estrazione borghese, di buona cultura e spesso bon vivant, curiosi, a volte interessati al discorso politico, che allora è aperto a soluzioni (come la riforma e la rivoluzione) che risulteranno bruciate solo anni dopo. Qui, il riferimento è a Dino Risi, Luigi Comencini, Mario Monicelli, Pietro Germi; e poi Antonio Pietrangeli, Luciano Salce, Nanni Loy, Mauro Bolognini, Ugo Gregoretti, Luigi Zampa, Luigi Filippo D'Amico. Alcune storie partorite da questa squadra “aperta” a composizioni variabili diventano lungometraggi: fra i più famosi, “Una vita difficile” (1961) di Dino Risi con Alberto Sordi e Lea Massari; “Divorzio all'italiana” (1961) di Pietro Germi con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli; “Il sorpasso” (1962) di Dino Risi con Vittorio Gassman e Jean Louis Tritignant. Altre diventano cortometraggi, talvolta brevissimi (5-10 minuti); altre volte più strutturati (25-30 minuti), destinati a confluire nel filone definito “film a episodi”. Alcune volte i film sono pensati fin dall'inizio dagli autori come un insieme organico di episodi: è il caso de “I mostri” (1963) di Dino Risi con Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, di “Se permettete parliamo di donne” (1964) di Ettore Scola con Vittorio Gassman e di “Questa volta parliamo di uomini” (1965) di Lina Wertmuller con Nino Manfredi. Altre volte, gli episodi vengono girati separatamente e poi utilizzati alla prima occasione, mettendoli insieme ad altri. Altre volte ancora, i produttori decidono che certo materiale già girato non avrebbe successo come film lungo, lo tagliano e lo fanno diventare un episodio, da unire ad altri già pronti o realizzati per la necessità del momento. L'industria del cinema ad episodi produce, negli anni dal 1960 al 1969 un'enorme quantità di titoli. Complessivamente, la qualità è medio-bassa. Insieme a molti raccontini banali che hanno perduto smalto, però, trovi delle perle. Per lo più, la riuscita artistica dipende da un connubio fortunato fra bravi artigiani di storie e dialoghi, bravi fotografi (il bianco e nero prevale), registi dalla mano felice, e attori “carichi”, in un momento di relativa giovinezza (gli uomini sui 40, le donne fra i 20 e i 30).Visti integralmente, tranne eccezioni come “I mostri” e “Signore e signori”, questi film sono per lo più dispersivi, commerciali, volgarotti. Con un lavoro selettivo di antologia, magari fatto in casa con un recorder, si riesce a apprezzare il singolo cortometraggio come opera autonoma, immaginata e realizzata da soggettisti, sceneggiatori, regista, fotografo e attori come un piccolo film a sé. Questi 7 non hanno perduto mordente, a distanza di 50 anni.
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