Vuoti a rendere
- Commedia
- Repubblica Ceca, Gran Bretagna
- durata 100'
Titolo originale Vratné lahve
Regia di Jan Sverak
Con Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolárová, Alena Vránová, Jirí Machácek
Vorrei tanto che un bel giorno tutti coloro che hanno un’occupazione o una missione da svolgere, uomini e donne, sposati o no, giovani e vecchi, seri o superficiali, tristi e allegri, abbandonassero le loro abitazioni e le loro incombenze, rinunciando a ogni dovere e obbligo, per uscire in strada e non fare più nulla. Tutta questa gente abbrutita che sgobba senza sapere perché, e si illude di contribuire al bene dell’umanità, che fatica per le generazioni future sotto l’impulso della più sinistra delle illusioni, si vendicherebbe allora di tutta la mediocrità di una vita vana e sterile, di tutto questo spreco di energia privo dell’eccellenza delle grandi trasfigurazioni.
[E.M. Cioran, Taccuino di Salamanca, Ediz. Adelphi]
Forzati del pubblico impiego, perdigiorno, sognatori, falliti di rango, la letteratura ne ha raccontato le gesta (se si può usare questa parola per i nostri simpatici anti-eroi) in innumerevoli racconti, romanzi e bozzetti. Nell’Ottocento sono le vignette di Punch e Grandville che disegnano il sottobosco delle anime che disdegnano di assecondare la vittoria del Capitale, quando non esitano a lanciarsi palline di carta arrotolata come nelle prime pagine di Papà Goriot, ma sono sufficienti, senza l’ausilio della rappresentazione grafica, le memorabili mezze maniche descritte da Balzac e Dickens.
Il culmine dell’attaccamento/ripulsa alla scrivania è Bartleby lo scrivano di Melville, il suo “preferirei di no” è lo slogan più anti-lavorativo che mai sia uscito dalla bocca di un mesto servitore delle scartoffie. Sicuramente è qualcosa di più rivoluzionario che battere i pugni sulla scrivania e licenziarsi.
Bartleby è la negazione del lavoro, l’assertore, eroico fino alla follia, del tempo liberato dalla condanna delle otto ore e dello straordinario. Lo straordinario per i tipi come Bartleby è vita rubata, sottrazione colpevole del tempo breve del transito dell’uomo sulla terra.
Il lavoro è una maledizione biblica: “Lavorerai con il sudore della tua fronte!”, “Ma chi l’ha detto?!” rispondono all’unisono le mille voci che si levano dalle maniche di Policarpo ufficiale di scrittura e dalla tasca del Cappotto di Gogol. “Noi non vogliamo lavorare e basta!”
“Chi non lavora non fa l’amore”, canta il re degli ignoranti, “Non è vero”, rispondono all’unisono le mille voci che escono dal sottopancia, “se non lavorassimo non faremmo altro che l’amore, senza vergognarci delle defaillance del sabato sera!”
Fannulloni, malati immaginari con ricetta medica falsa, caparbi muli che fanno le parole crociate nei cessi, che vanno a fare la spesa invece di riempire moduli in sanscrito, vanno in pensione come se uscissero da Alcatraz. Il giorno dopo essere andati in pensione si accorgono che la paura del vuoto è un’invenzione del capufficio: un mondo nuovo si apre ai loro occhi, panchine nei parchi pubblici, seduti a guardare le nuvole, finire quel maledetto puzzle con la faccia della Gioconda, giocare solitari con le pudenda per vedere se ci sono ancora, ficcarsi le dita nel naso senza disturbo, suonare il basso tuba coperto da deserti di polvere, acquistare un revolver per andare a ritirare in pace la pensione.
Finito il lavoro, finita la vita: del fondo amaro dell’esistenza si accorgeranno di lì a breve, quando la pensione coprirà le spese del funerale.
Viva Drugo Lebowski, inarrivabile campione nullafacente, gloria alla fannullaggine di Charlot, ai peripatetici flaneur delle strade e i sottoponti di Parigi amati da Benjamin, agli schnorrer-yiddish di Zangwill, ai perdigiorno di Eichendorff, ai pitocchi e ai picari di Terra di Spagna.
Pochi registi come quelli della playlist hanno rappresentato con sapido gusto le vite cristallizzate della marginalità che si nega al lavoro o che dal lavoro sono state ridotte a still life.
Potevano entrarci altri registi di valore, ma i loro impiegati nutrono scampoli di speranza. Ma di questi tempi la speranza l’è morta. Non resta che una risata metafisica tra le bombette di Magritte, le esitazioni di Tati e tante figurine che somigliano ai rebus.
Titolo originale Vratné lahve
Regia di Jan Sverak
Con Zdenek Sverak, Tatiana Vilhelmová, Daniela Kolárová, Alena Vránová, Jirí Machácek
Titolo originale The Big Lebowski
Regia di Joel Coen
Con Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, Philip Seymour Hoffman
Titolo originale Adieu, plancher des vaches
Regia di Otar Ioseliani
Con Nico Tarielashvili, Lily Lavina, Philippe Bas, Stéphane Hainque
Regia di Tinto Brass
Con Sady Rebbot, Pascale Audret, Tino Buazzelli, Franco Arcalli
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