I film turchi che ho visto di recente, e tanti dovrò ancora vederne, mi hanno fatto tornare alla mente il capitolo X del libro su questa città di un grande scrittore che non ha certo bisogno di presentazione, Orhan Pamuk.
Il capitolo s’intitola Tristezza, la parola turca è hüzün.
Credo che Pamuk sia una delle voci che meglio possano farci capire lo spirito di questa città, quel sound of Istanbul che avvolge con un fascino tutto suo chiunque si avvicini, dal turista allo studioso, da chi ama la musica a chi parte dal cinema.
Stranamente, girando per la città, è difficile veder programmati questi magnifici film, c’è una permanenza di film old style (per capirci, film alla Matarazzo) nelle sale che stupisce, ma forse anche questo fa parte delle sue contraddizioni e del suo fascino.
Riporto un abstract del capitolo, a chi non ha letto il libro e vuol partire, con l’aereo o con la mente, per il Bosforo, lo consiglio caldamente.
(Orhan Pamuk, Istanbul, 2003, ed. Einaudi, passim) In turco la parola hüzün, tristezza, è di origine araba e si trova in due versetti del Corano col significato simile a quello turco… Il fatto che si definisse “della tristezza” l’anno in cui morirono Hatice, la moglie di Maometto, e lo zio Ebu Talip, dimostra che la parola tristezza esprime un sentimento causato da una grave perdita spirituale… Per intuire le fonti dell’intensa tristezza che la Istanbul dell’infanzia mi trasmetteva è necessario guardare sia la storia, le conseguenze del crollo dell’impero ottomano, sia il modo in cui questa storia si è riflessa nei panorami “belli” della città e nei suoi abitanti. La tristezza è da un lato un sentimento importante della musica locale, dall’altro una parola importante per la poesia, un punto di vista e uno stato d’animo, e inoltre è qualcosa che si compenetra nell’atmosfera della città. Insomma la tristezza è un sentimento che la città ha assimilato con orgoglio, o almeno così pare. Per questo motivo è considerato un sentimento sia positivo sia negativo… Ma adesso voglio parlare non della malinconia di Istanbul, bensì della tristezza, uno stato d’animo simile, interiorizzato con orgoglio e condiviso da tutta la comunità… Parlo del buio serale che scende presto, dei padri che tornano a casa sotto i lampioni dei quartieri periferici, con un sacchetto in mano…
Parlo dei librai anziani che, dopo una delle frequenti crisi economiche, aspettano tutto il giorno, tremando di freddo, un lettore…parlo dei barbieri che si lamentano del calo della clientela, dei marinai che lavano i vecchi battelli del Bosforo, ancorati ai moli vuoti, sui quali si addormenteranno fra poco, e nel frattempo danno un’occhiata alla televisione piccola e lontana, in bianco e nero…
Con Sener Sen, Cem Yilmaz, Çetin Tekindor, Melisa Sözen, Okan Yalabik, Riza Kocaoglu
Parlo delle sale da tè piene zeppe di disoccupati, dei ruffiani che, pazienti, nelle sere d’estate gironzolano su e giù per i marciapiedi con la speranza di trovare un turista ubriaco nella piazza più grande della città…di decine di migliaia di palazzi con facciate incolori per la sporcizia, la ruggine, la fuliggine e la polvere…dell’odore delle sale cinematografiche, una volta famose e dai soffitti dorati, dove adesso gli uomini entrano di soppiatto per guardare film porno…
Con Onur Saylak, Megi Kobaladze, Serkan Keskin, Raife Yenigül, Nino Lejava, Sibel Öz
Parlo delle sirene dei battelli che urlano nella nebbia…delle donne con le sciarpe in testa e i sacchetti di plastica in mano…dei gabbiani immobili sotto la pioggia sulle imbarcazioni piene di cozze e alghe…
Con Saygin Soysal, Türkü Turan, Serkan Keskin, Sermet Yesil, Nadir Saribacak, Murat Deniz
Parlo delle cicogne di cui tutta la città si accorge verso l’autunno, mentre passano sopra il Bosforo e le isole, in arrivo dai Balcani, dall’Europa orientale e settentrionale, per andare a sud…
Con Emin Toprak, Fatma Ceylan, Zuhal Gencer Erkaya, Muzzafer Özdemir
Quando percepiamo a fondo questo sentimento, e i paesaggi, gli angoli, le persone che lo trasmettono alla città, quando ci cresciamo insieme, a un certo punto quella sensazione di tristezza, simile al vapore che comincia a muoversi sottile sulle acque dello stretto nelle fredde e assolate mattine d’inverno, acquista forme sempre più concrete e evidenti. Così la tristezza si allontana del tutto dal senso di malinconia che riguarda il singolo individuo e si avvicina al significato adottato da Claude Lévi-Strauss in Tristi Tropici.
Istanbul non porta la tristezza come una malattia temporanea oppure un dolore di cui liberarsi…questo sentimento che significa chiudersi coscientemente in sé, di fronte alla vita…si innalza a giustificazione, consapevole e orgogliosa, degli insuccessi, le indecisioni, le sconfitte e le miserie di coloro che vivono in città. In questo senso la tristezza non è solo il risultato, ma anche il vero motivo delle lacune e delle gravi perdite della vita.
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