Regia di Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Stefano Rulli, Sandro Petraglia
Stefano Rulli e Sandro Petraglia hanno suppergiù venticinque anni, l'età in cui puoi permetterti ancora il lusso di indignarti e tentare di cambiare qualcosa attraverso un mezzo artistico senza interessi secondari. Assieme a due nomi, per quanto diversi, tutelari del cinema civile, Silvano Agosti e Marco Bellocchio, i due costruiscono un complesso e coraggioso atto d'accusa che analizza lucidamente cosa voglia davvero dire essere dentro una malattia attraverso quel che si vede fuori.
Con Michele Placido, Claudio Amendola, Francesco Benigno, Alessandra Di Sanzo
Alla fine degli anni ottanta, il duo incontra Aurelio Grimaldi, che aveva scritto poco tempo prima un libro di scandalo. Ancora una volta entrano dentro un luogo claustrofobico (un carcere minorile in cui si è obbligati a diventare grandi anzitempo) ma questa volta guardano al fuori con l'angoscia della disillusione, proseguendo sulla scia dell'indignazione unita all'analisi lucida. Come anche capiterà ne Il ladro di bambini di Gianni Amelio, in cui si trova la vena migliore (banalmente la si definisce neo-neorealistica) dei nostri.
Ma la patente dell'impegno civile i nostri la prendono con il film di Daniele Luchetti, nato da un soggetto mezzo rinnegato da Franco Bernini ed Angelo Pasquini. Il film è bello ed ha successo, viene coinvolto il gotha del cinema di sinistra (su tutti il totem Nanni Moretti, nel ruolo di un inquietante ministro craxiano), ed è forse da qui che Rulli e Petraglia cominciano ad accarezzare l'idea della sceneggiatura totale, per quanto si avverta ancora una certa libertà programmatica.
Con Silvio Orlando, Anna Galiena, Fabrizio Bentivoglio, Antonio Petrocelli
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Ancora Luchetti, il regista che forse deve di più ai due, e prima collaborazione con Domenico Starnone, autore dei libri a cui il film s'ispira. Probabilmente, con buona pace di Giordana, è questo l'apice della loro carriera: camminando sempre sul filo del rasoio, gestendo un miracoloso equilibrio tra improvvisazione e pianificazione, fotografano con realismo dolceamaro (ancora un dentro) il luogo più dimenticato e bistrattato della nostra società, raggiungendo vette inaspettate. Un tono diverso quello del quasi contemporaneo e più agro Il toro di quel Carlo Mazzacurati con cui lavoreranno anche in quel Vesna va veloce che è figlio di Mery e di Amelio.
Con John Turturro, Massimo Ghini, Rade Serbedzija, Stefano Dionisi, Claudio Bisio
E tutti i romanzi adattati, da Marianna Ucrìa a I piccoli maestri fino a Quando sei nato non puoi più nasconderti e un'altra mezza dozzina di titoli. Diventati inattaccabili, considerati le penne d'oro del cinema italiano, tra risultati buoni (La guerra degli Antò, per esempio), altri assolutamente ottimi (il capolavoro Le chiavi di casa o Romanzo criminale) ed altri non entusiasmanti (L'amante perduto) commettono talora l'errore di trasportare sullo schermo le cose più ovvie e didascaliche, curando con eccessivo manierismo cose che meriterebbero meno progettazione e più passione.
Con Luigi Lo Cascio, Maya Sansa, Sonia Bergamasco, Jasmine Trinca, Alessio Boni
E così pure La vita che verrà e Le cose che restano, triade di fiction sulla nostra storia repubblicana. Non a caso realizzata dai due autori che maggiormente negli ultimi anni si sono interessati all'Italia. Ritenuto dai più il loro capolavoro, è un saggio di scrittura anche per l'organizzazione narrativa, lo scampato pericolo di cadere nella soap opera (nella seconda parte c'era più di una trappola) e il tono sentimentale e secco al contempo. E danno la possibilità a Marco Tullio Giordana di poter essere un novello (ma più puritano) Bertolucci.
Ancora Luchetti, e un motivo c'è: è un punto di non ritorno. Il film non è brutto, ha anche una sua ragione d'esistere ben chiara e condivisibile, ma la cosa peggiore sta proprio nella sceneggiatura di Rulli e Petraglia. Un copione imprigionato nelle parole, talmente scritto da far diventare una storia evidentemente coinvolgente e d'effetto una specie di compitino perfettino che lascia poco spazio all'emozione dell'improvviso. E a risentirne sono gli attori, l'atmosfera, il contesto. L'urlo di Elio Germano, per dirne una, lascia estremamente perplessi.
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