Fatta eccezione per Colpevole innocente (1957), lungometraggio d'esordio tempestato da inconvenienti di lavorazione, e L'uomo di Alcatraz (1962), pellicola d'impegno civile limitata dall'impossibilità di girare nel vero penitenziario di San Francisco, la produzione cinematografica degli anni '60 di John Frankenheimer rappresenta un imponente corpus che ha intaccato il canone della tarda classicità hollywoodiana. Ricorrendo a procedimenti linguistici messi a punto nella gavetta televisiva e avvalendosi di cast eccellenti (Burt Lancaster, Karl Malden, Angela Lansbury, Janet Leigh) nonché di apporti tecnici di assoluto valore (Lionel Lindon e James Wong Howe come direttori della fotografia, Richard Sylbert alle scenografie e Saul Bass quale visual consultant), il cineasta newyorkese ha sgretolato film dopo film le regole visive e produttive del cinema americano degli anni '50, prediligendo riprese on location e svecchiando moduli rappresentativi ormai incapaci di fare presa sulla realtà. Più vecchio di una decina d'anni (classe 1930) dei cosiddetti movie brats (Scorsese, Coppola, De Palma), Frankenheimer ha dato una spallata al frusto repertorio classico, muovendo da una prospettiva personale contraddistinta dal realismo aggressivo e preparando il terreno alla libertà espressiva della New Hollywood. Sette pellicole che, tra il 1961 e il 1966, segnano il passaggio dal cinema paludato delle major alla tumultuosa stagione della sperimentazione indipendente degli anni immediatamente successivi. Preveggenze singolari.
Con Burt Lancaster, Dina Merrill, Shelley Winters, Telly Savalas
In streaming su Plex
Film dal robusto impianto classico e dalla vigorosa traiettoria morale, ma scosso in apertura da una turbolenta sequenza on location crudamente e aggressivamente realistica. La vena sperimentale di Frankenheimer bussa alla porta.
Vicenda di disincanto adolescenziale tutta giocata sulla fascinazione provata da Clinton (Brandon De Wilde) per il fratello maggiore Berry-Berry (Warren Beatty). Splendide le brillanti sequenze iniziali girate nelle Florida Keys e grande inventiva nella composizione delle scene nell'abitazione della famiglia Willart. Profondità di campo, sporadiche soluzioni di montaggio e movimenti di camera sorprendono per inaspettata sinteticità.
Primo film coprodotto insieme allo sceneggiatore George Axelrod e prima pellicola integralmente controllata da Frankenheimer: l'impetuosa visualità del cineasta newyorkese può finalmente dispiegarsi senza freni. Sventuratamente profetico nell'anticipare l'omicidio Kennedy e fantasiosamente sbrigliato nella rappresentazione delle tecniche di brainwashing. Panoramiche che destabilizzano a 360°.
Con Burt Lancaster, Kirk Douglas, Ava Gardner, Fredric March
Trattati di disarmo in piena guerra fredda, colpi di stato militari orditi da falchi delle forze armate, presidenti dalla salute traballante: Frankenheimer descrive le tensioni interne di un paese sull'orlo del collasso. Teorie del complotto e manie di controllo si oggettivano nell'onnipresenza degli schermi televisivi: minacce di visioni oblique che congiurano contro le rassicuranti inquadrature cinematografiche. Realismo della paranoia.
Contattato da Burt Lancaster per rimpiazzare Arthur Penn (che il divo aveva licenziato dal set dopo due sole settimane di lavorazione), Frankenheimer approfitta della possibilità di girare in Francia e tramuta un film d'avventura resistenziale in una trascinante cavalcata di acciaio e vapore. Azione sul campo e zero riprese di repertorio per i bombardamenti: meglio sporcarsi le mani e piazzare le cineprese rasoterra. A rischio rottura.
Con Rock Hudson, Salome Jens, John Randolph, Jeff Corey, Murray Hamilton
Presentato al festival di Cannes del 1966 tra ululati di disapprovazione, Seconds immerge occhi e corpi in un'operazione di svecchiamento da cui non sarà più possibile tornare indietro. La vertiginosa sequenza della festa bacchica di Santa Barbara, interamente girata con camera a spalla e luce disomogenea, rade al suolo ogni convenzione calligrafica. Il punto di non ritorno del linguaggio hollywoodiano classico.
Ispirandosi al documentario To Be Alive! (1964) di Francis Thompson e ai film di Charles Eames per la IBM, Frankenheimer, fiancheggiato dal genio visivo di Saul Bass, fa dello split screen e delle immagini multiple il segno di un iperrealismo batticuore. 179' di riprese dal vero e spericolatezze cinematografiche: un inno alla velocità di inaudito fragore audiovisivo.
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