Chi non vorrebbe averne una? Di quelle tate che ti preparano la colazione e non ti mandano a quel paese perché hanno fretta di uscire al lavoro, che ti aiutano a fare i compiti, che ti preparano la merenda… Io non ne ho mai avute; non che mi sia mancato qualcosa, mia madre c’è sempre stata, ma la tata della mia vicina di casa nonché compagna di classe mi stava molto simpatica, quindi dedico alla professione “domestica” questa play, quarta puntata della mia serie!
Con Catalina Saavedra, Claudia Celedón, Alejandro Goic, Andrea García-Huidobro
La domestica come custode della quotidianità, che governa stando sempre in disparte: il film inizia infatti con la protagonista seduta da sola a tavola in cucina, mentre la sua “famiglia” festeggia fuori campo. Eppure quelle stanze e quel fazzoletto di mondo sono tutta la sua vita, Raquel conosce a memoria ogni angolo della casa e ogni pensiero dei suoi occupanti. Dietro l’apparente freddezza si nasconde una persona che non aspetta altro se non un gesto di umanità e di affetto. Sorridendo veniamo immersi dal regista in una realtà stretta, quasi claustrofobica, con la macchina da presa che pedina i personaggi, e cominceremo ad uscirne insieme a Raquel: se si lascia entrare nel proprio quotidiano uno sprazzo di luce dall’esterno, tutto può acquistare un nuovo valore.
Con Matthew McConaughey, John Turturro, Alan Arkin, Clea DuVall
Beatrice è una delle protagoniste le cui vicende si intrecciano in questa storia corale sull’imprevedibilità della vita e sulla ricerca della realizzazione umana. Il suo lavoro è pulire case di famiglie ricche, e da queste sembra essere benvoluta, finché tutto cambia: per caso si trova a terra, investita da un’auto mentre cerca di raccogliere una camicia da cucire che sembra essere portata via da una folata di vento. Le sue certezze, il suo ottimismo, la sua fede in una specie di giustizia superiore sono messi a dura prova: viene sospettata di aver rubato un orologio, e non riesce più a riconoscersi in un genere umano che sembra rifiutarla. Fino a che…. Bel film di Jill Sprecher, con un grande Alan Arkin e una particolare e femminile attenzione ai minimi dettagli.
Con Tony Curtis, Jerry Lewis, Dany Saval, Christiane Schmidtmer
Una Thelma Ritter strepitosa regge quasi da sola questa spassosa pellicola del 1965 diretta da John Rich. Sarebbe da Oscar, anche considerando il suo primato di 6 nomination senza neanche una vittoria! Qui interpreta la governante Bertha, che supporta con pazienza le peripezie amorose di Tony Curtis, donnaiolo incallito che gioca con gli orari delle compagnie aeree per flirtare con numerose hostess. Bertha cambia le foto nelle cornici, adatta i menù dei pasti alle differenti ospiti, e ogni tanto si sfoga in qualche sana ramanzina! Una domestica come tutti vorrebbero avere!
Gustoso thriller di Amenabar, dal finale oggi ormai inflazionato, ma all’epoca piuttosto originale. Lo segnalo in questa play per l’emblematica figura della governante che insieme al giardiniere sembra conoscere i segreti della villa in cui vivono Grace/Kidman e i due figli, affetti da una rara malattia che li costringe perennemente al buio. Al di là delle ragioni tematiche, segnalo questo film per motivi per lo più personali: il cantilenoso “Màdam” con cui la domestica chiama la sua padrona è per me diventato un must, una di quelle espressioni che si radicano anche nel linguaggio quotidiano: a casa mi chiamano spesso così…. e non sto scherzando purtroppo! Spero di non somigliarle….
Onore anche al genere maschile, con un maggiordomo che più impettito non si può! Almeno fino alla scoperta della sua vera identità, cioè un ex regista innamorato della sua musa…. Un grande Eric von Stroheim interpreta un po’ se stesso (diresse la stessa Gloria Swanson in un film del 1928): ciò probabilmente contribuisce al coinvolgimento totale che lo spettatore prova in questa lucida e allucinata analisi del mondo cinematografico, svegliatosi totalmente cambiato dall’avvento del sonoro. Basti questa citazione dal repertorio del maggiordomo Max: “Ci fu un maharajà che venne dall'India per avere una delle sue calze di seta: quando la ottenne, ci si strangolò.”
Grande prova del mitico Hitchcock, che qui si cimenta in un “quasi unico” piano sequenza, per un giallo domestico con attori perfettamente in parte…. domestica compresa! La scena in cui solo la signora Wilson è all’interno dell’inquadratura, mentre sparecchia la cassapanca incriminata e sta per aprirla scoprendone il “contenuto” è da antologia: la tensione si taglia proprio col coltello! E l’interpretazione di Edith Evanson è quanto mai all’altezza anche perché regala al personaggio della domestica una sbadata e irresistibile simpatia…
Concludo con una domestica con cui si preferirebbe non avere a che fare! Irina nasconde inquietanti fantasmi del passato, che emergono lucidamente grazie anche alle belle e appropriate musiche di Ennio Morricone. Mitica la scena in cui la protagonista descrive le sue abilità culinarie: spaghetti alla bottarga, crostate… Un film sulla mancanza di speranza e sulla solitudine, ingentilito solo un po’ dal finale, ma che regala profonde emozioni e forti brividi.
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