Mi scuso per la brevità (3 su 7) della playlist, dovuta ad una mia evidente non enciclopedica conoscenza di cinema (sarò contento se qualcuno avrà voglia di completarla a dovere), ma mi sono accorto che più di una volta i registi, dovendo cimentarsi con la scena in cui il loro protagonista va in pensione (in tutti e tre i casi citati a inizio film, una sorta di preambolo), la buttano sempre sul ridicolo, o quanto meno sul grottesco. E’ pur vero che tutti e tre i film citati non possono definirsi “drammatici”, seppure una certa drammaticità, specie nel finale di “Schultze”, la si ritrova, e anzi sono tutti e tre (forse un po’ meno “Horten”) ascrivibili al filone del grottesco, seppure con qualche specificità, ma è sempre nella scena del pensionamento aziendale che la (parrebbe poca) fantasia dei registi si scatena a rendere ridicolo quello che dovrebbe essere invece un momento “solenne” nella vita di ognuno, perlomeno di tutti quelli che in pensione ci riescono ad andare…. Chissà, forse perché l’ultimo giorno di lavoro è un po’ come il primo giorno di scuola, la soglia che si attraversa per un ritorno al passato, dalla vita attiva a quella inattiva tipica dei bambini, e questi vecchietti imbolsiti, pelati, ingessati nella loro divisa inamidata, con l’aria un po’ sperduta di chi non sa cosa l’aspetta ispira ad una compassione che, non potendo essere né crudele (non è colpa di nessuno se si invecchia) e né drammatica (in fondo si va in pensione, mica si muore!), sfocia per forza in una macchietta ammantata di pudore in cui l’ironia serve a spezzare un clima teso, imbarazzato, che è di addio e di benvenuto insieme. A me non toccherà, sia per la natura della mia attività, sia perché sono di quelli che la pensione la vedranno col cannocchiale, presumibilmente da una mensa della Caritas….. Ridiamoci sopra, va!
Depardieu di spalle, davanti a una platea di colleghi intenti a mangiare salatini nella più totale, inebetita indifferenza. “Vuoi dire qualcosa?” gli chiede il suo capo. “No”, risponde naturalmente Mammuth.
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