Per rimediare ai toni leggerini della precedente play, che come previsto non sono riusciti a resuscitare lo spirito ludico della community, mi lancio adesso in una play serosissima e che pretende di prendersi altrettanto sul serio! Prendo spunto da alcuni versi di Mallarmè che mi hanno sempre affascinato parecchio per introdurre l'argomento della playlist, alla quale stavo già pensando da un po' di tempo:
"Cade la prima ritmica attesa del disastro a inabissarsi nelle spume originarie donde già si innalzò il suo delirio sino a una vetta colpita dalla neutralità identica dell'abisso, compiuto in vista di ogni risultato nullo umano...in basso uno sciabordio come disperdere l'atto vano che se no bruscamente con la sua menzogna avrebbe fondato la perdizione in quei paraggi paraggi del vago in cui ogni realtà si dissolve, si fonde con l'al di là, lungi dall'interesse a lui proprio..." (per motivi di comodità non ho rispettato la particolare struttura topografica di Mallarmè).
Ovviamente si tratta di "Un colpo di dadi non abolirà mai il caso". L'immagine che mi colpisce è quella dell'identità neutrale tra la "vetta e l'abisso", come se le vette alle quali l'agire umano aspira, tutte le azioni con le quali egli intenderebbe elevarsi rispetto alle leggi del contingente, all'indifferenza del caso e della necessità, divenendone sovrano, non riuscissero in realtà a sottrarsi a queste ultime. Tutti gli atti sono vani perchè nulla può cambiare il destino dell'uomo, la cui esistenza si rivela assoggettata a quelle leggi casuali e contingenti che organizzano la superficie immanente del mondo, rendendo vano ogni tentativo di elevazione trascendente. Per questo alla fine il mare finirà per richiudersi e inghiottire l'uomo, in modo che tra l'immobilità dello specchio d'acqua e quella della fredda costellazione che in essa si riflette, torni a fare da cerniera soltanto la linea indifferente e neutra dell'orizzonte. L'agire dell'uomo è ininfluente rispetto al corso delle cose, pertanto tutto è indifferenziato, la "vetta e l'abisso" sono la stessa cosa e si neutralizzano nel deserto, che dunque rappresenta la condizione dell'uomo, una distesa vuota, brulla e indifferente/indifferenziata. Riporto alcuni film nei quali viene riproposta l'immagine del deserto come emblema della condizione umana.
Con Marcello Mastroianni, Gérard Depardieu, Gail Lawrence, James Coco, Geraldine Fitzgerald
Il futuro è in mano alla donna, la civiltà è destinata a scomparire perchè l'uomo ha rimosso e rinnegato il femminile, allontanandosi dalla natura e dal ciclo di riproduzione. Gli uomini sono o dei rammolliti sterili e impotenti, o dei bambini che rifiutano la donna e la paternità, e che portano a spasso dei vecchietti; il deserto finisce per sommergere tutto, anche la scimmietta con la quale Lafayette e Luigi speravano di rifondare il genere umano. Non c'è nessuna differenza fra gli altissimi grattacieli (ormai vuoti simboli di progresso) e il vuoto della superficie su cui poggiano.
Anchè Totò sarebbe andato bene, ma ho scelto questo perchè qui lo stile è ancora più astratto e rarefatto del film successivo, e inoltre non c'è la minima traccia di progressione narativa. Il mondo è ormai fuori dalla Storia, tutto è cristallizzato in un eterno presente, in una dimensione purgatoriale perpetua dopo la quale non c'è nè l'inferno nè il paradiso. La Terra è diventata una vuota superficie, in quanto i suoi abitanti non si disinguono più dai luoghi stessi, l'umanità non ha più nulla da dire, tutto è in preda all'afasia e alla sterilità. Anche qui l'elemento femminile è stato rinnegato.
Mi permetto di riportare uno stralcio dell'opinione di yume su questo film: " "Nell’ ’83 Wenders s’imbatte in una frase di Cézanne “Tutto va scomparendo, dobbiamo affrettarci se vogliamo vedere ancora qualcosa”...L’Europa soccombe con la sua tradizione classica che seziona e ricompone nel gioco dialettico, allegorizza e organizza, produce senso nel sotterraneo rimando analogico e dà forma prismatica al “deserto del reale”...Wenders non pone al centro il film da fare ma l’impossibilità di fare cinema. Il focus è l’assenza, il vuoto, la perdita di senso. Lo stato delle cose, dunque."
Un film tutto all'insegna della sterilità, prima di tutto sessuale. Il rapporto tra Henry e Mary da vita a un aborto umano, spermatozoi che vengono schiacciati coi tacchi dalla donna del radiatore, in una periferia urbana invasa da continui rumori industriali di fondo che sembrano essere il sintomo di una "disarmonia delle sfere" (Enrico Ghezzi), e rimandare a una frattura insanabile fra l'uomo e la natura. E in cui le piante nascono inspiegabilmente dai comodini..
Opera straniante, come quasi tutte quelle di Herzog, in cui vediamo rottami della civiltà industriale decomposti o sommersi dal deserto e da una natura selvaggia incombente. La fata morgana è quell'effetto di rifrazione ottica, simile al miraggio, a causa del quale si vedono oggetti fluttuareal di sopra del suolo. Che questa "illusione ottica" non sia proprio l'uomo?
Un film volutamente informe, senza una struttura, senza inizio nè centro nè fine, esattamente come il protagonista (che "non sa distinguere la testa dal culo", come detto dallo stesso regista) e come il mondo descritto da Fellini, in cui un'umanità indistinta mossa unicamente dall'inerzia, compie atti immotivati, si muove senza chiedersi da dove viene e in quale direzione va.
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