Ci sono autori a cui basta veramente poco per essere considerati importanti ed imprimersi con decisione nell’immaginario collettivo con uno stile subito riconoscibile. Tra questi ci soso certamente Daniele Ciprì e Franco Maresco, autori di un cinema estremamente colto, sempre ambientato in luoghi che sembrano il ricettacolo di ogni tipo di degenerazione possibile e sempre popolato da un'umanità che sembra essere sopravvissuta alla fine del mondo. Assenza di coordinate affettive e un bianco e nero allucinato, corpi mutilati e facce mascoline, parole scurrili e gesti istintusali, sono le caratteristiche peculiari di una poetica dello strazio che tende ad inorridire l’occhio e a scuotere la mente, i segni tangibili di un umanità sotterranea, le macerie di un mondo desacralizzato da un andamento sociale degradato e degradante. Non è un caso che i due autori siciliani abbiano iniziato il loro dissacrante percorso artistico con la trasmissione televisiva “Cinico tv” e che poi abbiano portato al cinema ( soprattutto nei primi due lungometraggi) gli stessi personaggi e lo stesso “discorso apocalittico”. L'oggetto televisivo gli interessa particolarmente, il fatto che ha reso possibile il pressapochismo culturale e lo svilimento contenutistico della bellezza attraverso la continua apologia dell'effimero e la generale regolarizzazione del brutto. Il loro cinema mi ha sempre dato l’idea della perfetta antitesi ad ogni forma di mercificazione dei corpi elaborata in una società votata al culto dell'immagine e allineatasi culturalmente all’etica televisiva. All'estetica del bel apparire oppongono l'estetizzazione del brutto secondo uno stile che tende ad emanciparsi dalla necessità ricattatoria di cospargere l'opera d'arte di segni rassicuranti, sostituendo la finzione del linguaggio televisivo, ipocritamente consolatorio e moralmente degenerativo, con la verità di corpi straziati dal degrado. La radicalità estrema delle loro posizioni non poteva che produrre pochi film. Quello che avevano da dire lo hanno detto benissimo in tre lungometraggi, rappresentando attraverso un percorso artistico di assoluta e pregevole originalità la degenerazione morale e culturale in atto. Un eresia consapevole che induce a riflettere su un mondo in stato di latente putrefazione.
Pietro Giordano, Tirone, Miranda e Pavigliani, direttamente da "Cinico tv" arriva al cinema un'umanità senza meta e senza più indirizzi, che recita dei rituali imparati a memoria, con l'istintività del corpo e senza l'ausilio della ragione.
Con Marcello Miranda, Salvatore Gattuso, Carlo Giordano, Pietro Arcidiacono
Tra Pasolini e Bunuel, con l'essenzialità "corporale" del primo e la scarnificazione dell'oggetto religioso del secondo. Ma estremizzando il tutto, con l'estetizzazione di un'umanità totalmente mascolinizzata, schiava dei suoi istinti più brutali e maledetta dalla perdita totale di ogni coordinata affettiva.
La passione del jazz di Ciprì e Maresco in questo sentito e particolare omaggio al "Duca". Il concerto di Palermo del luglio 1970 di Duke Ellington filtrato attraverso l'occhio deformante di "Cinico tv"
Con Robert Englund, Luigi Maria Burruano, Franco Scaldati, Pietro Giordano
Parte come un omaggio affettuoso a due sognatori incapaci che ricalca da vicino quello fatto per Ed Wood da Tim Burton. Finisce come la fine di ogni illusione poetica minando le fondamenta stesse del pioneristico tentativo di riscattare una regione attraverso la forza culturale del cinema.
Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Lando Buzzanca, Pino Caruso, Tony Bruno
Un omaggio accorato a due grandi mestieranti del cinema italiano. Un talento staordinario tra le pieghe di film perlopiù mediocri e sprazzi di estemporanea genialità.
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