Defiance. I giorni del coraggio
- Drammatico
- USA
- durata 129'
Titolo originale Defiance
Regia di Edward Zwick
Con Daniel Craig, Liev Schreiber, Jamie Bell, George MacKay, Alexa Davalos, Mark Feuerstein
29 GENNAIO 2010, 08:44 DI IMMORALE
Condivido la tua chiosa finale sull’eccessiva rigidità e vitalità (nel bene e nel male) dei tedeschi, ma quando penso alla concatenazione di eventi che ha portato all’avvento del Reich prima ed alla Shoah poi, mi convinco sempre di più della predominanza del Caso (con la C maiuscola) nella nostra vita, che ha consentito che un numero così incredibile di menti malate (e Generali anche valenti, va detto) si siano ritrovati sotto il vessillo dello stesso (malato) ideale concepito da un pazzo; un’irripetibilità non artistica ma storica, corroborata dall’evidenza che, attualmente, esistono nel mondo personaggi altrettanto aberranti ma che non avranno, si spera, mai la stessa (catastrofica) portata geopolitica.
29 GENNAIO 2010, 12:18 DI FIXER
PER YUME:
Cesare volle dare una dimostrazione di forza e ingegno ai Germani costruendo e smontando un ponte sul Reno in pochi giorni. Non penetrò in Germania perché era ancora prematuro. Una campagna contro i Germani sarebbe cosato a Roma delle somme spaventose ed enormi sacrifici in termini di vite: il Senato non glielo avrebbe concesso tanto facilmente e Cesare non era così pazzo da avventurarsi in un’impresa oltremodo rischiosa dopo quel che gli era costato la Gallia. E poi a Roma c’era chi tramava contro di lui, lo sai bene. Varo, che non era un militare di carriera ma un semplice amministratore (infatti, in Gallia arrivavano ormai gli amministratori dopo la “normalizzazione” romana): mai un militare avrebbe disposto tre legioni in fila indiana per addentrarsi in una selva che, in caso d’attacco, sarebbero cadute senza scampo. E il buon Arminio (è lui il vero VERRATER[traditore], dopo aver ricevuto benefici, tradì i Romani, e non certo per esaltare lo spirito germanico di libertà (come poi volgarmente fu propagandato dai tedeschi) ma per acquisire prestigio e potere: infatti, poco dopo, i suoi, stufi delle sue soperchierie, lo fecero fuori. È vero che i Romani compirono massacri, come tutti, del resto. Ma non puoi giudicare con il metro odierno i fatti d’allora. Ogni nazione era in guerra con l’altra e quella sottomessa gridava alla libertà, salvo poi, appena poteva, soggiogare i vecchi nemici d’un tempo. Come tu stessa dici, Atene e Roma ebbero il merito di portare le leggi: leggi avanzate su cui ancora oggi si basa il diritto internazionale. I Germani, arrivati in Italia, constatarono con stupore il grado di civiltà di Roma e si affrettarono a fare propri ordinamenti giuridici, amministrativi e la stessa religione cristiana. Venendo ai tedeschi di oggi, concordo su alcune cose ma su altre continuo a nutrire dei dubbi. Formalmente, dicono di convivere con il senso di colpa e accettano di autocondannarsi. Ma continua a permanere nel loro animo un malcelato senso di superiorità nei confronti di chiunque. Ti cito un esempio: nella Germania Est si sono compiuti atti di nefandezza e miseria morale terribili per molti anni sugli atleti. Si voleva dimostrare la superiorità loro nei confronti delle degenerate democrazie borghesi. C’era uno Stato di polizia uguale più o meno a quello hitleriano. Cambiava il regime, ma la sostanza non cambiava. Erano tedeschi! Nella Russia sovietica non si arrivò a tanto. Posso sbagliarmi, certo, ma temo che il tuo ottimismo non sia del tutto fondato. E continuo a credere che, se non fosse stato per la strage di Teutoburgo, i Romani avrebbero “civilizzato” la Germania e avrebbero reso quelle popolazioni più sensibili al richiamo del diritto. E guarda che non sono io a dirlo: molti illustri storici concordano su questo.
PER MARCELLO:
una volta tanto non sono d’accordo, anche se c’è una parte di verità nelle tue argomentazioni. Che Arbasino dica che l’italiano è antropologicamente fascista è una frase più a effetto che veritiera: 30 anni di DC e qualche anno di Berlusconi non sono esattamente la miglior democrazia possibile. Ammetterai però che ci sono differenze. L’Italia è stata fatta circa verso la seconda metà dell’Ottocento. Ma sai bene che le masse erano escluse dalla tenzone politica. Erano carne da lavoro e poi, con la Grande Guerra, carne da macello. Analfabeti, ignoranti e superstiziosi. Eravamo così. Fu facile per Mussolini diventare l’uomo del destino e promettere a quelle povere masse terre da bonificare, prosperità assieme all’orgoglio di essere italiani, anche se c’era da combattere. Se quelle masse fossero state informate che dietro alle parole del Duce c’era il vuoto, difficilmente lo avrebbero seguito. Ma allora la stampa, l’informazione, gli apparati erano del tutto controllati e l’opposizione era proibita. Ora, pur riconoscendo i disastri morali, politici e civili che la Destra sta scatenando, non è materialmente possibile identificare questi due mali. C’è un’opposizione (che lavora da cani, certo), la gente vota per chi vuole, ci sono i sindacati. Il Male vero lo trovo nella Globalizzazione voluta dalla Finanza e dal Gotha dell’economia mondiale (Multinazionali, Compagnie petrolifere, le grandi banche ecc.) che ha fatto a pezzi tutto, ha mandato in rovina milioni di lavoratori e di risparmiatori. Un Paese piccolo e fragile come l’Italia è entrato anch’esso nel gran Maelstrom dello sconvolgimento economico e ne sta uscendo con molte ossa rotte. Probabilmente Bordiga aveva ragione ad affermare che la borghesia italiana era connaturata col fascismo. Ma era la borghesia di novant’anni fa! Alla borghesia nostra fa comodo Berlusconi e non certo un dittatore. Resta da vedere se Berlusconi è un dittatore. Per me è un industriale molto scaltro, che confonde la nazione con le proprie imprese e non tollera il contradditorio. Invece di mandare gli oppositori al confino, crea un apparato di potere talmente sofisticato da creare il consenso attorno a sé e un generale dissenso verso ogni opposizione, definita a seconda dei casi, comunista, stalinista, falsa, in malafede, ridicola, disperata e stracciona. Il brutto è che questo meccanismo funziona.
PER CANTAUTOREDELNULLA:
i tedeschi non sono affatto i veri romani. Sono seri, efficienti, organizzati. Le loro città sono vivibili, la loro macchina statale è quasi perfetta ma... torno a ripetere. Qualcosa di loro non mi convince. L’ho già spiegato. I romani avevano la “pietas”, cosa sconosciuta ai Germani. Io preferisco essere italiano, con tutti i difetti che ne derivano. Posso criticare fino alla nausea il mio Paese e continuare a sperare che qualcosa un giorno possa cambiare. Se fossi tedesco, mi inorgoglirei della civiltà e del senso civico dei miei compatrioti, ma dentro di me sentirei una vocina che mi tormenta e mi dice in continuazione: “Perché, se siamo così bravi, non germanizziamo anche il mondo intero?”.
29 GENNAIO 2010, 13:01 DI YUME
Mm, che bello, stiamo affrontando discorsi che non finirebbero più tante sono le cose da dire, il confronto di idee da portare avanti.
Allora vediamo.
FIXER: Cesare, mah, non so, ti posso dar ragione, anche se faccio fatica a pensare ad un Cesare che aspetta il parere del Senato. Vero è che aveva alle spalle anni di campagne, l’esercito gli serviva ormai per ben altro, certo, senz’altro è così. Ma facciamo un salto di un secolo, perché non c’è andato neanche Traiano? E Agricola li ha saltati a piè pari arrivando in Caledonia? Erano irriducibili, c’è poco da fare, e Roma non aveva voglia di perder tempo. Tacito li ha capiti bene e infatti ha ben visto che da lì sarebbero venute le grane più grosse per Roma. Una Germania romanizzata continuo a non vederla. L’alleanza che poi sancì il Sacro Romano Impero fu un patto politico, fatto sta che appena arriva Lutero sappiamo cosa successe (e anche lì, di religioso ci vedo ben poco, ai Grandi Elettori faceva tanto comodo sganciarsi da Roma). Concordo in pieno con quanto dici dopo sui tedeschi dell’est e sulla mancanza di pietas, anche se, pensando alla loro immensa arte in tutti i settori e alla sterminata cultura e alla loro filosofia… beh, come si fa a non inorgoglirsi? Ci vuole pietas, certo, è molto pericoloso se in mezzo ad un simile Eden arrivano gli stupidi senza immaginazione, stando alla definizione della Arendt. Invece di rimanere a pulire le latrine di Winkelmann, Goethe e Kant sono saliti al potere. Ma se un etto di burro costa un milione di marchi, e l’America c’ha messo lo zampino feroce e ipocrita, questo è il meno che può succedere.
Per il resto passo la palla a Marcello.
IMMORALE: e Pol Pot? e Bokassa? e tanti altri? Forse non succederà qui, nella piccola Europa (speriamo almeno) ma il villaggio è ormai globale e le modalità cambiano, si rischia anche di non riconoscerle subito. Il problema è che non appaiono come malati di mente, anzi, riveriti, osannati, imitati fino a quando arriva il momento di buttare giù le loro statue, e allora collaborano gli stessi che un momento prima li celebravano e con occhioni stupiti esclamano: “Ma chi l’avrebbe mai detto?” Quanto alla predominanza del Caso sulle sorti umane, non potevi dire una verità più grande. Ciao.
29 GENNAIO 2010, 13:21 DI IMMORALE
Grazie per la tua stimolante playlist e complimenti a tutti per la competenza degli interventi. Ciao
29 GENNAIO 2010, 14:40 DI FIXER
Cara Yume, Traiano (come gli altri grandi imperatori) sapeva bene che a Roma servivano ori e ricchezze per mantenere l’enorme fiume di denaro che scorreva giornalmente per mantenere in piedi l’Impero. E sapeva bene che la ricchezza non era a Nord ma a Est. I Romani, smaliziati e intelligenti, avevano capito (e lo scrive Luttwak nel suo fondamentale La grande strategia dell’Impero Romano): bastava che le tribù sul limes si federassero con Roma o venissero “comprate”: ci avrebbero pensato loro a difendere i confini dell’impero dai barbari più lontani! E poi, Teutoburgo fu uno degli shock più tremendi dell’intera storia di Roma. La XVII, la XVIII e la XIX legione furono annientate. Pensa che per addestrare un legionario occorrevano tre anni almeno e che mai più Roma riuscì a rimpiazzarle. Non so se è Plutarco a scrivere che Augusto, appresa la notizia ferale, indossò per giorni uno straccio e quasi perse il senno mentre andava su e giù per i suoi palazzi gridando: “Vare, Vare, redde mihi legiones”. La verità è che a Roma NON CONVENIVA PIÙ soggiogare la Germania: sarebbe costato troppo per avere in cambio che cosa? Tribù bellicose, terre inospitali ed enormi spese. Meglio comprare i nemici se non riesci a batterli? Del resto, che fece il tanto osannato Scipione con Numanzia? Non riuscendo a espugnarla, corruppe qualche Ibero e così ebbe partita vinta. Quando Germanico si recò in Germania per vendicare Varo, si rese conto dell’estrema difficoltà di mettersi in guerra con l’intera nazione germanica. Si limitò ad annientare i Cherusci e qualche altra tribù, a recuperare le insegne e seppellire i morti. I Parti sconfissero, è vero, Crasso a Carre, ma poi vennero anch’essi soggiogati. Le ricchezze che venivano dall’Oriente e dall’Egitto erano tali e tante che la mancata conquista della Germania era solo un contrattempo.
Quanto a Lutero, beh, molto era cambiato dai tempi di Arminio! Carlo Magno aveva cristianizzato i tedeschi a suon di decapitazioni e distruzione (I Romani non avrebbero mai agito così, ma Carlo Magno era egli stesso un Franco ossia un Germano!). Logico che montasse l’odio verso Roma, dove i cardinali avevano le amanti, gozzovigliavano e prosperavano. Lutero (ma non va dimenticato Melantone che lo guidò dal punto di vista teologico) da buon monaco tedesco ingenuo si scandalizzò dopo aver visitato Roma e gli fu facile cavalcare la rabbia contro Roma causata in gran parte dalle prebende che i tedeschi DOVEVANO pagare. È vero, hanno avuto il meglio dell’arte, della filosofia, della scienza moderna ma non mi basta. Che vuoi che ti dica? Mi rifaccio al discorso dell’ufficiale SS a Roma, mentre suona il piano, accanto a Kappler, nell’immortale scena tratta da ROMA CITTA APERTA. È detto in tedesco, ma si capisce abbastanza il senso: “Noi tedeschi che ci crediamo il popolo eletto, noi che ci vantiamo di aver dato i natali ai migliori uomini del pianeta, ora, per battere un popolo sconfitto non facciamo che ricorrere alla tortura e alla morte”.Cara Yume, sbaglierò, ma per me, parafrasando il famoso adagio dirò: “Timeo Germanos et dona ferentes”. Un abbraccio!
29 GENNAIO 2010, 14:52 DI YUME
Sì, niente da dire, caro fixer, devo convenire su tutto e farti i miei complimenti. Un abbraccio
29 GENNAIO 2010, 14:53 DI MARCELLO DEL CAMPO
Il punto dolente toccato da Immorale è sì il Caso “ha consentito che un numero così incredibile di menti malate... si siano ritrovati sotto il vessillo dello stesso (malato) ideale concepito da un pazzo”, ma la domanda che voglio fare a tutti voi - scusandomi con Valerio per l’uso tribunizio che mi prende, eredità assembleare dura a morire che taglia i fatti con il coltello!, è di porre mente alle personalità sulle quali il Caso agisce. Ha ragione Immorale: pazzi, sui quali non sono secondarie le indagine antropologico-criminali di studiosi della psiche (Freud è viennese, è bene ricordarlo, come altri grandi psicoanalisti). La psicoanalisi, il cinema, le arti figurative, la letteratura: sembra che la percezione del Male sia stata largamente anticipata da menti lucide ma visionarie, o è il contrario, cioè che l’Illuminismo conteneva insieme alle magnifiche sorti, in nuce, aspetti di future insanie? Se prendiamo ETA Hoffman, i segni lugubri di maghi, terrori, ipnotizzatori, sono presenti nei suoi migliori racconti. E verranno sulla scena mondiale, eccome verranno! Scrive Adorno: “Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di totale sventura.”. Il culmine della razionalità borghese è l’inizio della catastrofe, quella di oggi Valerio la descrive efficacemente con: “Il Male vero lo trovo nella Globalizzazione voluta dalla Finanza e dal Gotha dell’economia mondiale (Multinazionali, Compagnie petrolifere, le grandi banche ecc.) che ha fatto a pezzi tutto, ha mandato in rovina milioni di lavoratori e di risparmiatori.”. Sono d’accordo con tutti voi, vi ringrazio per avermi illustrato momenti della Storia (una materia che ho studiato da asino), ma uno sguardo nel profondo del Male, incarnato nelle persone fisiche, le analisi di Adler sul complesso di inferiorità, quelle esposte da Freud a Einstein nel Disagio della civiltà, trovano una corrispondenza fatale in personaggi malati di perversione feticistica come Goebbels e compari: il dotto signore amava travestirsi da donna, metteva il rossetto, perciò molti uomini del regime nazista non tolleravano gli omosessuali nei quali proiettavano il loro falso-io, E che dire del ‘naso degli ebrei’? Perché il ‘naso’, perché l’odio verso un’appendice del corpo che già nella mentalità popolare e nei sublimi scritti di Swift corrisponde al piano superiore simbolico del fallo? Perché la sessualità deviata o meno, sublimata e repressa è la radice di ogni persecuzione dei sessualmente diversi. Statene certi: in ogni razzista sessuale si nasconde un super-io marcio. Certo, gli ebrei, il denaro, le banche, l’avarizia, - sono i caratteri sui quali gli stessi ebrei scherzano, raccontano barzellette esilaranti (vedi Ferruccio Folkel nei deliziosi volumetti Garzanti) su loro stessi, ma in quante menti malate la circoncisione (sana pratica tra gli ebrei) viene sussunta e vissuta come analoga alla ‘castrazione’? Siamo immersi nella palude sessuale nella quale germinano i più feroci istinti distruttivi. Perciò ai gerarchi nazisti a Norimberga non restò altro da fare che ciò che avrebbero dovuto fare anzitempo: suicidarsi.
29 GENNAIO 2010, 15:28 DI YUME
Marcello, come non tornare, a questo punto, a Canetti? Dirai che ho la fissa e queste cose le conosci bene, ma voglio comunque riportare qui alcuni passi da Massa e potere e dall’Autobiografia, possono servire a dare luce in qualche modo al problema spaventosamente complesso di cui stiamo discutendo e che continuerà, credo, a far discutere per generazioni.
Dice Canetti a proposito di Freud e dei meccanismi che muovono le masse (che sappiamo quanta parte, e determinante abbiano avuto nei fatti del ‘900. La critica di Canetti a Freud muove soprattutto dalle formulazioni che della psicologia della massa lo scienziato aveva dato nel trattato Psicologia delle masse e analisi dell’Io):
“… quel libro che mi ripugnava sin dalla prima parola e che ancora oggi, dopo cinquantacinque anni, mi ripugna allo stesso modo: è il libro di Freud intitolato Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Vi trovai all’inizio, come spesso in Freud, delle citazioni di autori che si erano occupati dell’argomento […] Quasi tutti gli autori si erano chiusi alla massa. La sentivano estranea o sembravano temerla e, quand’anche si accingevano a studiarla, questo era il loro atteggiamento: Stammi alla larga, non mi toccare! Sembrava che vedessero nella massa quasi una lebbra, una specie di malattia della quale bisognava individuare e descrivere i sintomi. Per loro era decisivo confrontarsi con la massa conservando la mente lucida, senza lasciarsi sedurre, senza smarrirsi.[…] Freud aveva subìto l’impressione repulsiva di un altro tipo di massa: da uomo maturo, di sessant’anni o quasi, aveva vissuto a Vienna l’entusiasmo per la guerra. Che opponesse resistenza a quel tipo di massa, che anch’io avevo conosciuto fin da bambino, era più che comprensibile. Ma Freud non disponeva di alcuno strumento adatto per la sua impresa. Per tutta la vita si era occupato di processi che si svolgono nell’individuo, nel singolo essere umano. Come medico, vedeva continuamente lo stesso paziente, per la durata di un lungo trattamento. La sua vita trascorreva fra i suoi pazienti e la scrivania. Alla vita militare aveva preso parte tanto poco quanto a quella della Chiesa: due fenomeni, esercito e Chiesa, che sfuggivano ai concetti da lui creati e usati fino a quel momento. Troppo serio e coscienzioso per trascurare l’importanza di questi due fenomeni, Freud, in quella sua tardiva ricerca, aveva provato ad esaminarli più da vicino, sostituendo però l’esperienza diretta che gli mancava con le descrizioni di Le Bon, le quali si basavano su manifestazioni completamente diverse del fenomeno “massa”. Ciò che aveva messo insieme in questa maniera risultava insoddisfacente e incongruo anche per un lettore inesperto di vent’anni. È vero che mancavo di qualsiasi esperienza teorica, ma nella pratica conoscevo la massa dall’interno. A Francoforte mi ero lasciato per la prima volta travolgere volentieri dalla massa. Proprio questo mi aveva stupito. Vedevo la massa intorno a me, ma la vedevo anche dentro di me, e una spiegazione che servisse a prender da essa le distanze mi era di scarsissimo aiuto. Nella trattazione di Freud mi mancava soprattutto il riconoscimento del fenomeno, che mi sembrava per sua natura non meno elementare della libido o della fame. Il problema non era sbarazzarsene, riconducendolo a particolari costellazioni della libido. Si trattava piuttosto di coglierlo nella sua pienezza, come una realtà sempre esistita ma ora più che mai presente; una realtà da esplorare alle radici ma innanzitutto da sperimentare prima di descriverla: descriverla senza averla vissuta era un modo di imbrogliare i lettori. Non avevo ancora scoperto nulla, mi ero solo proposto un compito, ecco tutto. Ma dietro quel proposito c’era già la volontà di dedicarci una vita intera. […] Dal netto distacco da Freud presi le mosse per lavorare a un libro che avrei pubblicato soltanto trentacinque anni dopo, nel 1960 [Questo nel Frutto del fuoco, pp.155-156]
[Ibidem pag 103]: “Durante una manifestazione sulla Zeil contro l’assassinio di Rathenau feci per la prima volta l’esperienza della massa… Ero stato afferrato dalla massa, era un’ebbrezza, nella massa ti perdevi, dimenticavi te stesso, ti sentivi immediatamente dilatato e al tempo stesso appagato, qualsiasi cosa sentivi, non la sentivi per te stesso, era l’esperienza più altruistica che tu avessi mai conosciuto, e poiché l’egoismo che ti era stato inculcato da tutti ti circuiva di continuo e in fondo ti minacciava, avevi bisogno di quella frastornante esperienza altruistica come dello squillo di tromba del Giudizio Universale, e dunque ti astenevi dal disprezzare la massa o dallo sminuirla. Al tempo stesso sentivi però di non essere più padrone di te, di non essere libero, ti stava succedendo qualcosa di inquietante, per metà vertigine, per metà paralisi, com’era mai possibile tutto questo insieme? Cos’era?”
È la constatazione, per la prima volta, della presenza nell’uomo dell’impulso incoercibile ad essere parte della massa, a prezzo dell’annientamento totale della propria individualità.
Tornato a Vienna nel 1925, il 15 luglio del 1927, Canetti è testimone di un evento che lo segnerà profondamente. Si tratta dell’incendio del Palazzo di Giustizia da parte di una massa di operai esasperati dall’“oltraggio a ogni sentimento di giustizia” perpetrato con l’assoluzione vergognosa di attivisti di destra, che avevano ucciso degli operai durante uno scontro a fuoco. La reazione del potere era stata durissima e il fuoco della polizia aveva lasciato sul terreno ottantacinque morti. Canetti racconterà quella giornata in pagine famose della sua autobiografia. Sono dunque le esperienze di Francoforte e Vienna a dare a Canetti quella conoscenza dall’interno che gli permetterà di capire così a fondo il fenomeno “massa”, definita “una specie di animale superiore” in cui l’uomo si perde completamente “…come se un singolo uomo non fosse mai esistito”. Vienna negli anni fra le due guerre era un osservatorio prezioso per l’analisi dei comportamenti di massa. L’esperienza della prima guerra mondiale da poco conclusa aveva messo drammaticamente in evidenza qualcosa che non poteva essere spiegato solo con la psicologia dei processi individuali:
“Nessuno poteva dimenticare le manifestazioni di ferocia omicida di cui era stato personalmente testimone. Molti vi avevano partecipato attivamente, e adesso erano tornati. Costoro sapevano bene di quali atrocità erano stati capaci - per obbedire agli ordini- e ora si aggrappavano avidamente a tutte le spiegazioni che la psicoanalisi metteva a disposizione riguardo alle loro inclinazioni omicide.”
Canetti rileva come mancasse nei giovani, reduci da un’esperienza così tremenda, la benché minima coscienza della struttura psicologica dell’uomo in quanto massa,
“…una struttura che li aveva spinti ad andare in guerra docilmente, con entusiasmo, e che ancora adesso, parecchi anni dopo la sconfitta, li rendeva – sia pure in modo diverso – prigionieri della guerra. […] A quei giovani sembrava impossibile discutere con me su quel tema, perché mancavano le formule intellettuali per farlo. I fatti non riconducibili ad una formula per loro non esistevano, non erano altro, sicuramente, che una mia fantasia….”
Dunque, solo arrivando ad una definizione autentica del concetto di massa sarebbe stato possibile, d’ora in poi, affrontare l’analisi del comportamento umano: questa convinzione è così precisa in Canetti da indurlo ad usare la parola “illuminazione” per descrivere il momento in cui essa si è fatta strada nella sua percezione:
“…nell’inverno immediatamente successivo del 1924-25 ebbi ‘l’illuminazione’ che determinò tutto il resto della mia vita. […] La massa esisteva: l’avevo già constatato a Francoforte, e a Vienna l’avevo sperimentato di nuovo; qualcosa costringeva gli uomini a farsi ‘massa’, era un fatto evidente, inconfutabile; poi la massa si scomponeva di nuovo nei singoli, questo era altrettanto evidente; e così pure che quei singoli aspiravano a ridiventare massa. Esisteva una tendenza che spingeva gli uomini verso una massa e una tendenza che li allontanava dalla massa, su ciò non avevo dubbi, mi sembravano due tendenze così forti e cieche che le percepivo come ‘pulsioni’, e così le chiamai. Ma che cosa fosse la massa in sé, questo non lo sapevo, era un enigma che allora mi proposi di risolvere, mi sembrava l’enigma più importante, e comunque quello che subito risalta nel nostro mondo.”.
Eppure il fenomeno, benché esaminato per lunghi anni con eccezionale ampiezza d’indagine, è restato, nella sua sostanza più profonda, un enigma per Canetti, se dirà nell’autobiografia:
“…quando cedetti al mio impulso e mi trovai realmente in mezzo alla massa, ebbi la sensazione che fosse un fenomeno simile a quello che in fisica è noto come forza di gravità. Ma questa, è ovvio, non era una vera spiegazione di quel fatto sorprendente. Infatti non eri né prima, come individuo isolato, né dopo, come parte della massa, un oggetto inanimato, e la metamorfosi che si verificava all’interno della massa, un mutamento completo della coscienza, era un fatto che penetrava in profondità, rimanendo però enigmatico. Che cos’era? Era questo che volevo sapere. Questo enigma non mi ha più dato pace, mi ha perseguitato in tutta la parte migliore della mia vita, e seppure sono arrivato a qualcosa, l’enigma nondimeno è rimasto tale”.
“Ammesso e non concesso, scrive lo storico francese Pierre Rénouvin, che [il Führer] fosse un ammalato, i suoi atteggiamenti non avrebbero avuto la stessa importanza qualora le masse tedesche non ne avessero subito la forza d’attrazione. […] Egli non fece altro che risvegliare i lati nascosti della psicologia collettiva tedesca e per questo ne ottenne l’adesione massiccia”.
E in un capitolo di Massa e potere dal titolo Comando e responsabilità CANETTI scrive:
“È noto che gli uomini che agiscono in seguito a comandi sono capaci delle azioni più orribili. Quando l’autorità che li comandava viene abbattuta e li si costringe a guardare da vicino ciò che hanno fatto, essi non si riconoscono: ‘Io non ho fatto questo’ dicono, e non è affatto vero che siano sempre consapevoli di mentire. Quando poi si portano davanti a loro dei testimoni, quando cominciano a vacillare, continuano a dire: ‘Io non sono così, io non posso averlo fatto’. Cercano dentro di sé le tracce di quell’azione e non possono trovarle. È sorprendente: ne sono rimasti intatti. La loro vita successiva è davvero diversa, per nulla improntata dall’azione che commisero. Essi non si sentono colpevoli, non si pentono di nulla. Quell’azione non è entrata in loro. […] È dunque vero che uomini che abbiano agito in seguito a comandi si considerino perfettamente innocenti. Posti in grado di aprire gli occhi sulla loro condizione, essi possono restare stupefatti constatando in quale misura furono in balìa del comando. Ma anche questo giusto moto dell’animo è senza valore, poiché giunge troppo tardi, quando tutto è ormai finito da tempo. Ciò che è accaduto potrà accadere di nuovo; in essi non si costituisce alcuna difesa contro nuove situazioni che siano identiche a quelle trascorse. Essi restano esposti senza difese al comando, solo molto oscuramente coscienti dei suoi pericoli. Nel caso più esplicito, che per fortuna è raro, essi riconoscono nel comando una fatalità e ripongono il loro orgoglio nel fatto d’esserne stati ciechi strumenti, quasi fosse una peculiarità della condizione umana arrendersi a tale cecità”.
E conclude:
“Da qualunque parte lo si consideri, il comando nella sua forma compatta, compiuta, che oggi gli è propria dopo secoli di storia, è divenuto l’elemento singolo più pericoloso della vita collettiva degli uomini. Bisogna avere il coraggio di opporvisi e di spezzare la sua sovranità. Si devono trovare mezzi e vie per liberare da esso la maggior parte degli uomini. Non gli si può permettere altro che di scalfire la pelle. Le sue spine devono diventare solo più lappole di cui ci si sbarazza con un gesto”.
CHIEDO SCUSA PER LA LUNGHEZZA
29 GENNAIO 2010, 17:24 DI YUME
Grazie a te Marcello, se questo è stato possibile è perché l’hai sollecitato tu. Ora poi abbiamo anche il nostro detlev che ci aiuta a continuare fornendo alcool nella giusta misura, perfetto Simposiarca, fuori è gelo e…
Zeus piove
Dal cielo un grande
temporale. Sono gelati i corsi dei fiumi.
Scaccia via quest’inverno,
attizzando il fuoco,
e mescendo senza risparmio vino
dolce; e intorno alle tempie
cingi fasce morbide di lana
........canta Alcèo
29 GENNAIO 2010, 18:58 DI MARCELLO DEL CAMPO
Grazie a te per la passione che metti nel ‘ricordare’ a tutti noi il valore della ‘memoria’, e a Valerio che mi dà sempre lezioni di tranquillità - quel che mi giova. Grazie anche alle forti intuizioni di Immorale - mai nome gli fu tanto contrario.
30 GENNAIO 2010, 20:09 DI HELIUS
Ciao a tutti! La play è troppo bella e interessante! La tua interpretazione psicoanalitica Marcello (v. intervento delle 14.53) è straordinaria. Mi piace. Anche se non ho le competenze, e la mia è solo un’intuizione, considero la sessualità (repressa e non) foriera di grandi sobbalzi di energia che devono in qualche modo scaricarsi (chissà forse l’arte è il miglior modo di scaricare simili tensioni, sublimandole). E così il sentirsi diverso trova necessità di sfogarsi con il “diverso” (il dotto Goebbels era pure zoppo, ricordi? Lo stesso Hitler si diceva che defecasse abbondantemente addosso alla povera Eva). Se poi ci metti l’occasione ambientale, il crimine non è altro che uno “strumento” per “scaricare”, niente di più.
Per restare a quegli anni: la Germania usciva dalle umiliazioni della Prima Guerra Mondiale, il suo genetico/atavico modo di sentirsi razza autoctona (v. Tacito/Yume: a proposito, ciao!) unito alla voglia di sfogare le frustrazioni delle generazioni precedenti doveva per forza creare qualcosa di mostruoso visto anche i mala tempora economici di quegli anni (non dimentichiamoci che l’unificazione della Germania avvenne solo nel 1870-71). Forse ricordo male, ma l’armistizio con la Francia non venne firmato sullo stesso vagone su cui la Germania firmò la resa nella Prima Guerra mondiale?
Tra le cause della guerra della Germania - e questa è una mia personale interpretazione - c’è l’ossessione di rigettare la contaminazione con le altre razze; nel momento in cui esiste questo pericolo, specialmente se può generare in me un cambiamento, io (Germania) aggredisco preventivamente e impongo la mia, insieme alla mia di cultura (perché è la migliore, è perfetta, è superiore, V. film Il nastro Bianco). Non per niente si dice che la Germania propose agli inglesi - commettendo l’errore Dunkerque - un gemellaggio per la conquista del mondo, considerando la razza inglese vicinissima alla propria.
Lo sterminio degli ebrei va in quella direzione: non ci sono riusciti i primi a tentare, i romani, a “mischiarsi con noi”, non deve riuscirci nessuno, né tantomeno un popolo che per di più ha in mano la finanza mondiale... e sta/vuole cambiare il mondo. Non ci dimentichiamo che sono gli anni in cui Roosevelt - massone ebreo- arriva alla presidenza degli Stati Uniti in seguito alla crisi del ’29, provocata vox populi dalle banche ebraiche di Wall Street! Anni in cui l’ambasciatore americano a Mosca, l’ebreo Marin Davies dichiara pubblicamente: “Gli interessi degli Stati Uniti coincidono con quelli della Russia!”. E la Germania che dice? Oh, oh, mi è semblato di vedele un gatto?! ATTENZIONE! A scanso di equivoci: la Shoah è esistita ed è stata una delle più grandi sciagure dell’umanità di tutti i tempi! Orribile! Non deve più ripetersi, per questo mi sento di dire che il ricordo fine a se stesso, con la sua ipocrisia, non serve a nulla. Il giorno della memoria è importante - sono d’accordo con te Marcello - ma non deve essere un appuntamento occidental/borghese appunto, fine a se stesso, come lo è il Natale, la festa delle donne, la Pasqua, la festa della Repubblica, ferragosto al mare, la ripresa della Champions League, Porta a Porta con la bicicletta per far vedere le macchie di sangue, le votazioni annuali, ecc. ecc. Altrimenti - per dirla in maniera psicoanalitica - diventa un modo per creare qualcosa che si ripete nel tempo e quindi genera tranquillità: l’abitudine del ricordare... scarica i nostri sensi di colpa, sacrificium momentaneo della nostra psiche corrotta e di nuovo... si ricomincia! Chi disse: cambiare tutto per non cambiare niente? Alla stessa maniera si potrebbe dire: ricordare tutto per non ricordare niente... Bisognerebbe tornare ad un nuovo umanesimo attivo... ma domani è un altro giorno... anche se per me, alla Stephen King “è ancora buio e sta piovendo”.
E a proposito del FARE, permettemi di citare Fichte, grande filosofo tedesco antesignano dell’immenso idealismo tedesco: “La tua missione - uomo - non è il mero sapere, ma agire secondo il tuo sapere: così risuona anche nel più profondo della mia anima, non appena io mi raccolgo soltanto un attimo e osservo me stesso. Tu non esisti per contemplare ed osservare oziosamente te stesso o per meditare malinconicamente le tue sacrosante sensazioni, no, tu esisti per agire, il tuo agire e soltanto il tuo agire determina il tuo valore”. […] “Non agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire; la ragion pratica è la radice di ogni ragione. Le leggi dell’agire sono immediatamente certe per gli esseri razionali.”
Ma a pensarci bene - senza scomodare la grande filosofia - non esiste un passo del Vangelo che dice più o meno la stessa cosa?
“La fede senza le opere è morta”
… ma domani è un altro giorno… Buona serata e buona domenica a tutti.
30 GENNAIO 2010, 20:23 DI YUME
Grande Helius, il sole che torna! Ciao e bentornato, come non essere d’accordo con le tue posizioni? Pensavo proprio al Nastro bianco poco fa, tornando mestamente dal cinema dove ho visto L’uomo che verrà, il bellissimo film, straziante e rigoroso, un vero saper fare cinema, di Giorgio Diritti sulla strage di Marzabotto.
Il tedesco dice “Noi siamo quello che ci hanno insegnato ad essere”, una delle poche battute in italiano, il resto è in un romagnolo contadino, stretto, sonoro e stupendo, sottotitolato. Hanno massacrato dovunque in giro, come si può capirli? Anche a distanza di 60 anni? Eppure mi sforzo sempre di dirmi che i figli non possono pagare le opere dei padri, che Edipo, porca miseria, era innocente! Ma “l’apparente assurdità della sventura”, formula senza scampo che Jaspers usa per interpretare la tragedia, è proprio qui, nel nostro essere uomini. Quello che dice Fichte è sacro e pure santo, ma l’hanno interpretato uomini a modo loro, come, appunto, Tacito.
Credo che, in tutto questo, l’unica cosa da dirsi è quella di fixer:
“I romani avevano la ‘pietas’, cosa sconosciuta ai Germani. Io preferisco essere italiano, con tutti i difetti che ne derivano. Posso criticare fino alla nausea il mio Paese e continuare a sperare che qualcosa un giorno possa cambiare. Se fossi tedesco, mi inorgoglirei della civiltà e del senso civico dei miei compatrioti, ma dentro di me sentirei una vocina che mi tormenta e mi dice in continuazione: ‘Perché, se siamo così bravi, non germanizziamo anche il mondo intero?’”.
Pietas, nient’altro. Ciao
31 GENNAIO 2010, 11:35 DI HELIUS
Grazie Yume! Sei gentilissima! È un piacere essere di nuovo qui! Però ATTENZIONE 2 : non volevo suggerire se sia meglio essere tedeschi o italiani ecc., a me non interessa. Volevo e voglio solo dire che è difficile affermare che il male si trovi solo da una parte e il bene dall’altra. Avere un nemico o sentirsi vittima ci mette nelle condizioni (inconsapevolmente?) di avere una sorta di autorizzazione ad invertire i fattori, appena la storia lo renda possibile. Per rimanere nell’ambito, domanda domenical/retorica (scusami): come mai il popolo Palestinese non ha ancora una terra-nazione? Quanti anni devono ancora passare perché il MONDO renda questa cosa giusta possibile? È solo per colpa degli israeliani oppure tutti (noi compresi) non riusciamo o non vogliamo fare in modo che questo avvenga? Perché? Lo sterminio degli ebrei è solo opera dei tedeschi, oppure tutti noi in quanto facenti parte dell’ organismo “STORIA” in qualche modo siamo responsabili? (le persecuzioni degli ebrei non sono certo iniziate negli anni ’40).
Ho letto un libro qualche anno fa di una professoressa iraniana che mi permetto di consigliarti e che si intitola Leggere lolita a Teheran. Afferma:
“Solo attraverso la letteratura ci si può mettere nei panni di qualcun altro, comprenderlo negli aspetti più reconditi e contraddittori del suo carattere ed evitare così di emettere condanne troppo severe. Al di fuori della sfera letteraria, di una persona si riesce a cogliere solo la superficie. E se si arriva a capire davvero qualcuno, a conoscerlo, non è facile mandarlo al patibolo” (perché potremmo trovare qualcosa di nostro… ndr).
I romani avevano la “pietas”, cosa sconosciuta ai Germani? Siamo riusciti davvero a far tesoro di questo? Per non farla lunga: non è in Italia, a Verona, che nel 1184 con la costituzione (in perfetto latino) Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem, nasce l’inquisizione? E i gas lanciati dagli italiani in Etiopia?
Per elevarci al di sopra del piano delle bestie, dovremmo seriamente far tesoro della STORIA, unirci, stare tutti insieme e FARE la cosa giusta, al di là di interessi particolari…
Ma sorrido anch’io a questa utopia talmente fanciullesca che non si realizzerà nemmeno nella letteratura… Buona domenica.
31 GENNAIO 2010, 15:31 DI YUME
Caro Helius, riflettevo, fra la risposta di ieri e questa, proprio alla tue parole che continuavano a risuonarmi dentro: bisognerebbe tornare ad un Umanesimo attivo. A questo ora aggiungi quella riflessione da Lolita a Tehran sulla letteratura come unica mediatrice fra il sé e l’altro (a questo aggiungerei tutte le forme dell’arte, anche se, certo, quella che passa attraverso il segno verbale è di accesso più ampio). Che dire di più e meglio? E non è la grande lezione dei classici (di qualsiasi epoca e latitudine)? Credo che il grave danno che la storia, le storie del ‘900 hanno prodotto, sia stato proprio questo, il vuoto culturale, e con ciò non intendo solo il deficit di conoscenza profonda (rimanendo alla superficie si potrebbe dire che c’è stato un ampliamento notevole, i saperi si sono dilatati a dismisura, ma solo in superficie), sono sparite quelle culture autentiche, millenarie, magari prealfabetiche, come quella contadina, che davano continuità e valori alle società di cui erano espressione. Se mai serviva a qualcuno conferma alle tesi di Pasolini ora l’abbiamo. Vuoto di conoscenze = vuoto di valori, di codici identificativi di una cultura.
Dunque, se non conosco la mia non sono neanche disposto a riconoscere quella dell’altro, e a rispettarla. Celebriamo giornate di comodo perché quei fatti sono abbastanza lontani per farci paura, ma la giornata per quel girone infernale che è Haiti sarebbe stata più utile, non per mandare 2 euro con l’sms, ma per capire com’è che ci accorgiamo di Haiti solo dopo un terremoto. E chi dovremmo mandare al patibolo? Sempre i Germani?
Ieri ho avuto una reazione di odio dopo quel film (L’uomo che verrà), ma tutto sommato, a freddo ora penso che non è giusto continuare a far vedere le cose in quel modo, o solo quelle. D’accordo, ci sono tante denunce anche su tante altre ingiustizie, il cinema pullula di testimonianze, ma sulla Shoah si è detto veramente di tutto, non troppo, non dico questo, ma continuare perche? quello che c’è è già un grosso patrimonio, andiamo a fondo su quello, svisceriamo dati noti solo superficialmente, non aggiungiamo superfetazioni che generano solo accumuli vertiginosi e dunque una specie di entropia, alla fine. Tanto poi si esce dalla sala e si va tranquillamente a farsi la pizza. Rimuoviamo continuamente, ci cloroformizziamo con la massa perché la paura è quella che la vince su tutto. La paura di essere uomini, lo diceva Canetti e io lo amo per questo. Ma a lui, finché è vissuto, non è sembrata un’utopia ed ha affidato il suo messaggio alla letteratura, appunto. Ma i libri? Chi conosce Canetti? e Basara? e Arendt? e Fichte? e Tacito?
Fanno paura e allora parliamo di Rocco Siffredi che ci facciamo due risate.
Ciao Helius, e Marcello e fixer e immorale e ciao anche a me.
Buona serata di una fredda domenica di fine gennaio.
Nota. I sette film della 'seconda parte'sono stati scelti da me.
Titolo originale Defiance
Regia di Edward Zwick
Con Daniel Craig, Liev Schreiber, Jamie Bell, George MacKay, Alexa Davalos, Mark Feuerstein
Titolo originale Katyn
Regia di Andrzej Wajda
Con Artur Zmijewski, Maja Ostaszewska, Andrzej Chyra, Danuta Stenka, Jan Englert
Regia di Davide Ferrario
Titolo originale The Pianist
Regia di Roman Polanski
Con Adrien Brody, Thomas Kretschmann, Emilia Fox, Ed Stoppard
Titolo originale Korczak
Regia di Andrzej Wajda
Con Wojtiech Pszoniak, Ewa Dalkowska, Piotr Kozlowski, Marzena Trybala
Titolo originale Pasazerka
Regia di Andrzej Munk
Con Aleksandra Slaska, Anna Ciepielewska, Jan Kreczmar, Marek Walczewski
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