Ho conservato una playlist che non è più reperibile nel sito. (C’era una volta FilmTv) in Memoria Dell’Olocausto. Ho chiesto a Yume il permesso di ripubblicarla Appartiene a noi tutti. SHOAH O DELLA BANALITÀ DEL MALE | Film.tv.it 04/02/10 13:51 27/01/2010 h. 23.22 di yume SHOAH o della banalità del male 22 gennaio 2009 Non ci piacciono le commemorazioni, le convention osannanti piene di “quelli che contano”, i giorni delle buone coscienze a buon mercato e gli altri passati a dimenticare. Allora anticipiamo, in un giorno qualsiasi e dalla storia in/diretta: PROTOCOLLO DI WANNSEE (20 gennaio 1942): ”Nel corso della soluzione finale gli ebrei saranno instradati, sotto appropriata sorveglianza, verso l’Est, al fine di utilizzare il loro lavoro. Saranno separati in base al sesso. Quelli in grado di lavorare saranno condotti in grosse colonne nelle regioni di grandi lavori per costruire strade, e senza dubbio un grande numero morirà per selezione naturale. Coloro che resteranno, che certo saranno gli elementi più forti, dovranno essere trattati di conseguenza, perché rappresentano una selezione naturale, la cui liberazione dovrà essere considerata come la cellula germinale di un nuovo sviluppo ebraico (come mostra l’esperienza della storia)” Allego i commenti più indimenticabili, anche se nella memoria nulla manca. Il primo, Harlem, un’amica che non c’è più, è mancata dopo pochi giorni. Ciao Harlem, mi manchi ancora e tanto COMMENTI Di Harlem 22 Gennaio 2009, 08:58 4 volte ho iniziato a scrivere un commento di apprezzamento alla play, a Yume e a quelli che mi hanno preceduta e ogni volta mi sono bloccata perché tutto sembra retorico o eccessivo. Io, che sento questa tragedia in modo quasi ossessivo (una monomania) credo che non troverò mai il coraggio di andare in pellegrinaggio, proprio per quello che temo di trovarvi: commozione e marketing, quello che - del resto - si trova ad Assisi, a Loreto o qualunque altro cosiddetto “luogo sacro”, religioso o laico che sia. Grazie per i suggerimenti: il n. 1 ed il n. 5 mancavano nella mia pur ricca collezione sul tema. DI LAMPUR 22 GENNAIO 2009, 09:20 Che dirti Yume, come insegna, con cruda poetica, George Santayana, chi non ricorda il passato sarà condannato a riviverlo. E sono felice di trovarmi tra persone che adoro e mi danno modo di pensare ed essere vivo. Attendo Défiance adesso, anomalo blockbuster che mi farà crescere ancora un po’. Grazie ancora... ;) Di Lilù 22 Gennaio 2009, 11:00 La tua bellissima playlist mi ricorda una frase stampata nella mia testa:- La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. - Ciao e complimenti Di Pithecusano 22 Gennaio 2009, 16:17 Ogni cosa è illuminata... che bel film che mi hai fatto ricordare! //// Per chi non se la sentisse di andare fino in Polonia, d’inverno, appena per farsi un’idea di cosa possa essere la barbarie, può sempre fare un viaggio a Roma, alle Fosse Ardeatine. Non vi ci faranno stare di notte, come capitò più volte a me, sotto le armi. Ma girando tra quelle bare, di ebrei, di intellettuali, di prigionieri politici, assortiti più o meno nella stessa proporzione che c’era nei lager, altrettanto sistematicamente trucidati, quasi tutti giovanissimi e diversi non identificabili, se non piangi, di che pianger suoli? Ciao 28 GENNAIO 2010, 00:55 DI MARCELLO DEL CAMPO “Si tratta in realtà di un piano crudele e infernale volto a provocare la fine sistematica e certa di migliaia di vite umane. NON C’E’ IL MINIMO DUBBIO, NON IL MINIMO DUBBIO. Basta vederci chiaro e seguire attentamente tutto ciò che accade per arrivare senza esitazioni a una conclusione: questo campo non è stato creato per concentrarvi per un certo periodo di tempo deportati civili o prigionieri di guerra, per privarli temporaneamente della libertà, per ragioni politiche, diplomatiche o strategiche, con l’intenzione di mantenerli in vita per liberarli prima o dopo la fine delle ostilità. No: questo campo, coscientemente e deliberatamente, è stato organizzato e amministrato in modo da sterminare in modo metodico e pianificato migliaia di essere umani. Se tutto questo va avanti ancora soltanto un mese, dubito fortemente che uno solo di noi ne uscirà vivo. (Hanna Lèvy-Hass, Diario di Bergen-Belsen 1944-1945, Ediz. Fusi Orari, 2005). 28 GENNAIO 2010, 00:56 DI MIKE PATTON Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per un pezzo di pane Che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. (Primo Levi, Se questo è un uomo) 28 GENNAIO 2010, 01:04 DI MARCELLO DEL CAMPO “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.” (Primo Levi in I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986). 28 GENNAIO 2010, 05:48 DI LAMPUR Ieri, tra le tante testimonianze e parole, una frase mi ha reso inquieto: “Si sta esaurendo la generazione dei sopravvissuti, delle testimonianze dal vivo. Poi sarà esclusivamente supporto di altra specie”. Saremo in grado? 28 GENNAIO 2010, 07:55 DI YUME “I Greci conoscevano e provavano gli orrori dell’esistenza: per poter vivere essi dovettero porsi davanti la splendente creazione del mondo olimpico.”(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia) 28 GENNAIO 2010, 08:20 DI MARCELLO DEL CAMPO Primo Levi si pone nei Sommersi e i salvati la stessa domanda di Lampur: “... il trascorrere del tempo sta provocando altri effetti storicamente negativi. La maggior parte dei testimoni, di difesa e di accusa, sono ormai scomparsi, e quelli che rimangono... dispongono di ricordi sempre più sfuocati e stilizzati; spesso, a loro insaputa, influenzati da notizie che essi hanno appreso più tardi, da letture o da racconti altrui... Non è detto che le cerimonie e le celebrazioni, i monumenti e le bandiere, siano sempre e dappertutto da deplorare. Una certa dose di retorica è forse indispensabile affinché il ricordo duri. Che i sepolcri, l’urne dei forti’, accendano gli animi a egregie cose, o almeno conservino memoria delle imprese compiute, era vero ai tempi del Foscolo ed è vero ancora oggi.”. 28 GENNAIO 2010, 15:05 DI IMMORALE SHOAH. Non esiste la banalità del male. Nato a Praga pochi mesi prima che Hitler prendesse il potere, nascosto in un convento in Francia fino alla fine della guerra mentre i genitori venivano deportati e uccisi ad Auschwitz, battezzato e, infine, dopo aver capito di essere ebreo, emigrato clandestinamente in Israele nel ‘48, Saul Friedländer è il maestro dei maestri viventi della ricerca sulla Shoah, premio Pulitzer 2008: la sua opera più importante (i due volumi La Germania nazista e gli ebrei. 1933-‘39 e Gli anni dello sterminio. 1939-‘45, entrambi usciti con Garzanti, ma non si può non menzionare il suo stupendo e autobiografico A poco a poco il ricordo, con un metodo del tutto innovativo, ha dipinto un affresco corale che non lascia nel silenzio nessuno dei protagonisti del periodo: non solo la leadership del III Reich e i loro provvedimenti dunque, ma i tedeschi nel loro complesso, governi e popolazioni delle nazioni intorno, le vittime, i loro atti, i loro pensieri riportati dai diari in tutto il continente. Ora, in un piccolo libro edito da Laterza (Aggressore e vittima, pp.153, euro 15), in una serie di lezioni, tira le fila dei suoi studi e afferma, a dispetto di altri storici, la centralità dello sterminio nella politica nazista, constata la partecipazione attiva alla Shoah dei paesi conquistati dal III Reich (salvo l’Italia, ci tiene a dire), non è d’accordo su alcuni aspetti del lavoro di Hilberg e della Arendt né con chi vede nello sterminio un prodotto estremo della modernità ma invece lo inquadra come il prodotto principale dell’antisemitismo “redentivo”, apocalittico, di Hitler e quindi di una ossessione pseudoreligiosa che fa molto pensare, in chi scrive, al fondamentalismo di oggi. Il volume contiene anche la storia di due storici ebrei, uno tedesco, Ernst Kantorowicz, l’altro il notissimo Marc Bloch, fondatore delle Annales, morto nella Resistenza: ambedue increduli della persecuzione a fronte del loro patriottismo, e disposti in un certo senso, in modo molto diverso l’uno dall’altro, a mettere da parte la propria identità: un focus speciale e conturbante. Telefoniamo a Saul Friedländer, oggi professore all’ Ucla di Los Angeles (ma anche all’università di Tel Aviv), e lui ci risponde con mille accenti, slavo, francese, anglosassone, israeliano... una summa della storia del Novecento. “Professore, il principio che lei ha adottato è l’ascolto di tutte le voci. Non si può limitare lo studio alle decisioni naziste e alle cifre della morte, ribadisce in questo libro. Una critica implicita ad altri storici, a chi?” “La storia in genere tende ad addomesticare gli eventi trovando delle spiegazioni logiche per tutto. Io invece volevo una narrazione precisa, erudita, in cui fossero però presenti le vittime che, col loro dolore, illusioni, paure, procurassero dei veri e propri momenti di incredulità, spezzassero l’autocompiacimento del distacco scientifico. Fare una storia ‘integrata’, significa mostrare come ogni aspetto interagisce con l’altro, i tedeschi, gli altri paesi europei, e soprattutto gli ebrei e i loro comportamenti, le parole, che nel passato sono stati analizzati solo a parte. Solo con le testimonianze che arrivano dai diari e interferiscono con gli altri attori si riesce a dipingere il quadro così com’era. E solo così la storia diventa non addomesticabile”. “Anche Raul Hilberg con La distruzione degli ebrei d’Europa (1961) ha addomesticato la storia?” “Sì, anche se il suo lavoro è meraviglioso, il primo, il più importante, ma in realtà è la storia della macchina burocratica nazista. Gli ebrei come soggetti ne stanno fuori. Poi ha aggiunto altri studi, ha attaccato i Consigli ebraici, gli Judenrät, ma non scrisse davvero cosa stava succedendo agli ebrei. Il cuore della ricerca rimase la politica nazista. Invece nel racconto devi sentire improvvisamente un bambino polacco di 12 anni che nel suo diario chiede a Dio cosa sta succedendo. Quello smarrimento è parte fondamentale della storia”. “Tra le sue conclusioni, c’ è quella sulla decisa partecipazione, o al massimo sul silenzio, di tutte le popolazioni laddove ci furono deportazioni e sterminio. Come fu possibile?” “In Polonia, l’antisemitismo era profondo; perfino alcuni leader della resistenza antitedesca non furono scontenti che la Germania stesse risolvendo il ‘problema degli ebrei’. In generale l’antisemitismo, che aveva origini religiose, creò indifferenza per la sorte del popolo ebraico” “Gli italiani, lei scrive, sono un enigma.” “Furono un’eccezione. Eppure doveva essere il contrario vista la forte influenza della Chiesa. Invece nel complesso gli italiani, compresi molti alti ufficiali di Mussolini, aiutarono gli ebrei, come ad esempio, ma non solo, nel Sud Est della Francia finché l’Italia ebbe il controllo della regione”. “Hitler giocò un ruolo fondamentale, lei dice, non furono i tedeschi a chiedergli lo sterminio. Lei non la pensa come lo storico Goldhagen”. “Hitler non salì al potere per il suo antisemitismo, ma per motivi economici. Però era ossessionato dall’idea che gli ebrei fossero alla base della sconfitta della prima Guerra Mondiale e, in quanto liberali e rivoluzionari al tempo stesso, corrodessero dal di dentro il paese, l’intera Europa. Portò avanti con sistematicità prima il progetto di escluderli dalla società, poi di spingerli fuori dal territorio, infine, quando la Russia contrattaccò e gli americani entrarono in guerra (anche Roosevelt secondo Hitler era controllato dagli ebrei) si convinse che se non fossero stati uccisi, avrebbero causato di nuovo la disfatta. L’ho definito antisemitismo redentivo, significa credere che per salvare il mondo devi liberarti degli ebrei. Prima fu il credo di un piccolo gruppo di nazionalisti: una volta al potere i nazisti, divenne la dottrina ufficiale di un paese, amplificata da una propaganda martellante”. “Era un’ossessione ideologica, quasi religiosa.” “Esattamente. Se fosse stata solo la macchina burocratica a portare avanti lo sterminio, se Hilberg avesse ragione, allora il meccanismo si sarebbe fermato quando la guerra iniziò ad andare male. Tutto allora divenne difficile, pensi allo sforzo che richiedevano anche solo i trasporti verso i lager. Eppure, al contrario, i tedeschi più perdevano, più andavano veloci nella distruzione degli ebrei. In Ungheria, pochi mesi prima della caduta, lo stesso Hitler spiegò ad Antonescu che doveva liberarsi dei suoi 700 mila ebrei. Ne furono sterminati 400 mila”. “Quindi lei non è d’ accordo con Hannah Arendt e la sua ‘banalità del male’”. “Il male non era affatto banale, gli uomini forse. Ma che il paese più avanzato del continente abbia concepito di sterminare in modo industriale tutti gli ebrei d’Europa e l’abbia fatto, è quanto di più estremo e inumano si possa immaginare. Gli altri stermini, e tanti ce ne sono stati, non hanno mai visto questa ricerca fino all’ultimo uomo, dietro ogni angolo. Hannah Arendt scrisse delle cose giuste, ma sono quelle che ha preso da Hilberg: il tono invece che ha usato verso gli Judenrät, quell’ironia... non sono affermazioni che vogliono capire, compatire. La sua tesi sugli Judenrät poi, che rendeva gli ebrei collaboratori della distruzione del loro stesso popolo, è largamente infondata, ogni loro influenza fu marginale”. “Non è d’accordo nemmeno con gli storici, come Gotz Aly, che giudicano la Shoah un aspetto non primario rispetto agli obiettivi principali del Reich.” “È una scuola di ottimi storici, però considerano le politiche antiebraiche tedesche non secondarie, ma comunque come conseguenze automatiche della colonizzazione a Est e la redistribuzione del potere economico. Io penso che la persecuzione degli ebrei non fu l’unico scopo di Hitler ma certo fu centrale, e con la guerra lo divenne ancora di più. Il suo testamento è chiaro: quello è il tema fondamentale”. “Crede anche che la Shoah non sia figlia della modernità, un’opinione invece largamente condivisa.” “Non si sarebbe potuta compiere senza l’industrializzazione della morte, è chiaro. Ma non fu la modernità a portare tanta inumanità. Non ha prodotto niente del genere in nessun paese sviluppato. È una forzatura. Fu invece l’aspetto ossessivo, ideologico, apocalittico a partorire questo abominio”. 28 GENNAIO 2010, 18:03 DI FIXER Se nelle scuole italiane quasi nessuno sa chi era Badoglio, che cosa sono state le leggi razziali del ‘38, che cos’è stata la Repubblica di Vichy o, forse ancor meno, quella di Salò, significa che il mondo è pronto per un’altra tragedia. Alla faccia delle lotte antifasciste, delle commemorazioni, dei film, dei libri ecc. Se già c’è chi nega l’Olocausto e chi ci crede. Se gente come Ahmadinejad urla che Israele non ha diritto ad esistere e che verrà spazzato dalla terra e il mondo ascolta e tace, il prossimo Olocausto sarà la Terra? 28 GENNAIO 2010, 18:44 DI YUME Ringrazio i contributi così pieni e preziosi a questa riflessione sulla Shoah, e in primis Marcello per avermi sollecitato a riproporla. Non l’avrei fatto, per i motivi messi in evidenza nell’introduzione, ma le posizioni possono cambiare per qualcosa che vale, dunque questa discussione vale e mi auguro prosegua a lungo. Ora voglio rispondere con qualche argomento a Immorale, ringraziandolo innanzitutto per le sollecitazioni proposte e le testimonianze che adduce. Mi soffermo prima sul concetto di “banalità del male”, in un intervento successivo si tratterà di dire qualcosa anche sul pangermanesimo e la riscoperta della Germania di Tacito da Engels al nazismo. Ma andiamo con ordine: La Arendt spiega con chiarezza cosa intenda con questo apparente ossimoro nell’appendice al suo libro, appendice redatta proprio in seguito alle polemiche, tante, che suscitò all’epoca e che continua a suscitare anche a questa distanza dal ’63. Certo la sua argomentazione è molto ampia, tocca tanti punti del dibattito e non è facile da sintetizzare qui. Ad esempio, sulla sua posizione critica nei confronti delle modalità di conduzione del processo Eichmann converrebbe rileggere attentamente tutto il testo e poi magari riaprire una discussione. Ora mi limito a citare un passo: “Quando io parlo della “banalità del male” lo faccio su un piano quanto mai concreto. Eichmann non era uno Iago né un Macbeth, e nulla sarebbe stato più lontano dalla sua mentalità che ‘fare il cattivo’ come Riccardo III per fredda determinazione. Eccezion fatta per la sua eccezionale diligenza nel pensare alla propria carriera, egli non aveva motivi per essere crudele, e anche quella diligenza non era, in sé, criminosa; è certo che non avrebbe mai ucciso un suo superiore per ereditarne il posto. Per dirla in parole povere, egli non capì mai che cosa stava facendo. Fu proprio per questa mancanza d’immaginazione che egli poté farsi interrogare per mesi dall’ebreo tedesco che conduceva l’istruttoria, non stancandosi di raccontare come mai nelle SS non fosse andato oltre il grado di tenente colonnello. Non era uno stupido, era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità) e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. E se questo è ‘banale’ è anche grottesco… Questa lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria.”. Inevitabilmente questa è una goccia nel mare delle argomentazioni che la Arendt espone lungo tutto il réportage sul processo Eichmann a cui assisté di persona come corrispondente. Quello che risalta, a lettura ultimata (e ciò avvenne, per me, negli anni ’90, ai tempi delle lotte per l’istituzione lunga e sofferta del Tribunale Internazionale permanente per i crimini contro l’umanità) è la sua posizione anticipatrice di decenni di questa istanza. Dopo ampia analisi, per cui rimando al testo a cui si farebbe torto se ci limitassimo a questa breve nota, la Arendt afferma: “Se la Corte di Gerusalemme avesse capito che c’è una differenza tra discriminazione, espulsione e genocidio, avrebbe subito visto chiaramente che il crimine supremo che essa doveva giudicare era un crimine contro l’umanità, perpetrato sul corpo del popolo ebraico, e avrebbe visto che solo la scelta delle vittime, ma non la natura del crimine, poteva ricondursi all’antico odio per gli ebrei e all’antisemitismo. Orbene, se le vittime erano ebrei, la Corte aveva tutto il diritto di giudicare; ma nella misura in cui il crimine era contro l’umanità, per far giustizia occorreva un tribunale internazionale.”. La Arendt continua dicendo che solo Karl Jaspers sostenne questa posizione in un’intervista a radio Basilea e conclude: “… allora sarebbe riuscito a far sì che l’umanità non ‘si adagiasse’ e a impedire che il massacro degli ebrei potesse divenire un giorno il ‘modello’ di altri crimini, di un genocidio effettuato forse su scala più vasta. Quando invece è un tribunale di una sola nazione a giudicare, certi fatti, anche se mostruosi, vengono “minimizzati.” Nel 2002 a New York, nel palazzo delle Nazioni Unite, è stata depositata la sessantesima ratifica necessaria alla creazione di una Corte penale internazionale. Dal 2003 il tribunale è operativo all’Aja. Negli anni ’90 nessuno è stato in grado di impedire lo stupro etnico in Bosnia e il massacro di Sarajevo. 28 GENNAIO 2010, 18:57 DI FIXER Appunto. 28 GENNAIO 2010, 19:36 DI YUME Per un punto di vista filologicamente corretto sul pangermanesimo (ideologia che tanta parte di responsabilità ha avuto nell’evento di cui stiamo parlando, e non solo in quello) fenomeno esaminato a partire dalla riscoperta della Germania di Tacito nella cultura tedesca, fondamentale è il testo di Luciano Canfora edito da Liguori, 1979 La Germania di Tacito da Engels al nazismo. L’analisi Canfora è volta a reperire le tracce, sotterranee o evidenti, che, a partire dalla riforma luterana, hanno creato il mito della “riscoperta degli antichi Germani” come atto di nascita della nazione tedesca. Le testimonianze addotte sono tante e sconvolgenti, ma è certo che la particolare deformazione di questo mito, rispetto ad una corretta lettura dello storico romano, divenne chiara solo a partire dall’800 (ad esempio, a Engel, lettore di Tacito, la Germania appariva nel trattato come doveva tornare ad essere, giovane, libera, antiromana e comunistica). La deriva pericolosa però fu quella del Terzo Reich, per cui una monografia nata per ben altri scopi di carattere documentario, divenne una specie di Vangelo a sostegno della purezza razziale e di un modello statale popolare-autoritario. L’analisi di Canfora si addentra in questioni linguistiche e interpretative del testo che sono un gioiellino per chi abbia voglia di guardarci dentro, ma un fatto è certo, anche senza cavillare troppo, il povero Tacito ancora si sta rigirando nella tomba. E ora scusatemi, lo faccio in omaggio a Tacito, mi autocito, in riferimento ad un lavoro fatto in tempi in cui, come dice appunto il grande storico, “era lecito pensare quello che si voleva e dire quello che si pensava.”. “Spetta alla ricerca storica indagare su ciò che è accaduto in Germania fino alla ‘soluzione finale’ nei campi di sterminio. Al lettore di Tacito non resta che avvicinarsi alla Germania cogliendone il vero significato di prezioso mezzo di conoscenza, utile strumento di confronto fra un mondo ai margini dell’impero e la civiltà romana, opera nata da un alto intento morale e polemico di ammonimento ai Romani, cui viene proposto un modello tanto più forte in quanto proveniente da uno di quei mondi sprezzantemente liquidati dai dominatori del mondo come ‘barbari’. Siamo convinti che, al di là di tutte le appropriazioni indebite che nel tempo si compiono a spese di un autore, la lezione più vera del testo tacitiano risieda proprio in quella proposta di superamento di barriere e pregiudizi che nasce dall’additare agli orgogliosi, etnocentrici Romani, un così “scandaloso” termine di confronto.” 28 GENNAIO 2010, 19:40 DI DYING THEATRE “Dal 2003 il tribunale è operativo all’Aja. Negli anni ’90 nessuno è stato in grado di impedire lo stupro etnico in Bosnia e il massacro di Sarajevo.”. COME NO... lo statista Massimo D’Alema ci andò tremendamente vicino... tremendamente... peccato che ancor più VICINO, ad un soffio, ci fossero quell’ospedale e quella scuola... poche centinaia di metri ok, ma dall’Alto sembravano millimetri. 28 GENNAIO 2010, 21:50 DI CANTAUTOREDELNULLA Il commento di fixer sulla non conoscenza anche solo dei fatti storici all’interno delle scuole è sempre stata la mia più grande paura. Quando affrontai i testi sui campi di sterminio per la prima volta, avevo 18 anni e a scuola non se ne parlava. Anzi, come quasi tutta la storia del novecento, credo che la Seconda Guerra Mondiale la studiammo poco e male. Non analizzammo le ragioni, le cause, le follie, i dettagli più agghiaccianti di quanto avvenne. Partii dai tre libri di Primo Levi Se questo è un uomo, La tregua, I sommersi e i salvati; affrontai Il processo di Kafka, Perché gli altri dimenticano di Bruno Piazza, il Diario di Anna Frank e Dal liceo ad Auschwitz – Lettere di Louise Jacobson, ma il pugno nello stomaco più grande e più forte me lo diede Tu passerai per il camino di Vincenzo Pappalettera. All’interno di questo testo c’erano delle foto scattate nei campi di sterminio. Ogni foto, ogni dettaglio di tanta violenza era un ricordare da cosa dobbiamo difenderci. Ma quanti hanno visto? E quanti non vogliono vedere? Era, quello, il tempo del caso Priebke e come potete immaginare ero sempre più terrorizzato da un mondo che prescriveva crimini efferati e inumani (in questo caso si trattava della rappresaglia delle Fosse Ardeatine). Infine ho visto Salò di Pasolini e tutta la sua stomachevole violenza ha fatto accrescere in me ancor di più l’idea che la pace e il rispetto umano siano le conquiste più grandi dell’essere umano. Questo è stato un percorso del tutto personale, ma volevo condividerlo. “Gli episodi venuti alla luce ci convincono che l’Uomo può conservarsi tale anche nelle più disumane condizioni di vita, purché abbia in sé una forza morale che lo sostenga, un Ideale che gli stia a cuore più della sua vita stessa.” (Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino) 28 GENNAIO 2010, 23:31 DI FIXER Forse all’origine di tutta la questione germanica c’è un nome: Teutoburgo. La mancata romanizzazione della Germania forse è alla base della persistente vena bellicistica nello spirito teutonico, Illustri storici sostengono questa tesi che, a mio avviso, è seducente e serve per “capire” le ragioni per cui, per secoli, l’Europa ha dovuto periodicamente fare i conti con pangermanesimo, revanscismo, lebensraum. Ma allora, il fascismo. Calma! È stato un corto circuito storico durato solo ventidue anni. Le cose, oltre il Reno stanno diversamente. O no? 29 GENNAIO 2010, 01:22 DI MARCELLO DEL CAMPO Non lo so (sembra una tribuna politica d’altri tempi), ma l’altra sera da Fazio, Alberto Arbasino ha riportato in auge una sua definizione, coniata ai tempi del “Quindici”, intorno al ‘65, ribadita in “Alfabeta” a fine Anni Settanta e, per fortuna, non ancora rincoglionito o sedotto dal montante revisionismo, recuperata finalmente nella sua veritiera e irrefutabile constatazione, essere cioè l’italiano “antropologicamente fascista”. Che cosa è l’Italia attuale se non il prolungamento di quei ‘ventidue anni’ che fixer accomoda nei cauti armadi della storia? A buona ragione, nella scissione di Livorno nel 1921 del Partito Comunista, l’ingegnere Bordiga aveva affermato essere il fascismo connaturato alla borghesia italiana, con ciò entrando in collisione con le tesi di Gramsci i cui eredi, gli ‘intellettuali organici al partito’, occupano divani televisivi e poltrone in caste editoriali, cinematografiche, giornalistiche, al punto che si discetta in questi giorni se il passaggio dello scrittore (sopravvalutato) Paolo Nori sia un tradimento di un chierico o la normale deriva del posizionamento strategico dell’intellettuale nell’età berlusconiana. Non ci facciamo illusioni: le cose oltre il Reno non vanno bene. Del resto, il ‘giorno della memoria’ qui egregiamente ricordato, unisce in un solo palpito tutta la nomenklatura della demokratura, da Gasparri a Bersani, da Bondi a Fassino e tutto il girotondo della politica. Giova ricordare che tra il ventennio fascista e il quasi ventennio berlusconiano c’è stato un trentennio democristiano. Pangermanesimo o meno, il fascismo italiano ha provocato la sua cospicua parte di morti e macerie: ricordiamolo nel ‘giorno della memoria’. 29 GENNAIO 2010, 01:40 DI MARCELLO DEL CAMPO ... e poi, vogliate scusarmi se ribadisco un concetto che ho cancellato dalla play di Montelaura perché ripete il ritornello del ‘giorno della memoria’ di tutti ‘gli olocausti’ (che è cosa diversa dalla Shoah. In questo concordando (credo inconsciamente) con chi vorrebbe fare un bel fascio di cadaveri, vincitori e vinti, colpevoli e innocenti, aguzzini e torturati. Se non entra nella zucca L’UNICITÀ’ DELLA SHOAH, siamo davvero nella preistoria. Quindi mi accomodo in questa play - mi sento più al sicuro dai revisionismi. More solito, la discussione sulla Shoah si inerpica sulle agevoli strade del calcolo delle vittime - come se la quantità sia l’oggetto della memoria e non invece la ‘specificità’ dello sterminio degli ebrei, attraverso la costruzione di fabbriche dove ‘il lavoro rende liberi’. Di questa specificità, la messa a morte di un’intera etnia non v’è traccia in altri stermini di massa: Stalin ha fatto fuori oltre 20 milioni di persone per motivi politici, per motivi futili, per antipatia personale, metteteci quello che volete, Bokassa ha fatto di peggio, ha divorato i suoi ‘nemici’ - vedi il film di Herzog e le montagne di teschi; certamente, nello sterminio degli ebrei furono coinvolti rom, omosessuali, intellettuali con gli occhiali, indigenti, portatori di handicap, ma il male assoluto era rappresentato dagli ebrei. Giova, a tale proposito, ricordare le analisi di Reich e Freud ‘sulla proiezione del falso-io’, o quelle di Adorno in Dialettica dell’Illuminismo’ (il capitolo Elementi di antisemitismo che si chiude con “niente poesia dopo Auschwitz”). Stermini ce ne sono stati molti nella storia delle persecuzioni, dai cristiani alle stragi dei curdi, di My Lai, Gaza, Srebenica, l’elenco è lungo - (sul blog di film-tv ho narrato lo sterminio degli Armeni), ma se si dimentica l’unicità della Shoa si rischia di perdere di vista il significato della ‘giornata della memoria’. Non sono ebreo, potrei definirmi - con buona pace dei governanti di Israele e delle varie Fiamma Njrenstein, un antisionista, - ma sulla Shoa non discetterei tanto. Pensare a una giornata della memoria che includa tutti gli stermini avvenuti, avvenienti e a venire, farebbe venire meno il profondo significato della Shoah. La notizia data ieri della scoperta dei piani architettonici nazisti per la costruzione delle fabbriche della morte (con tanto di disegni degli edifici e calcoli geometrici per la creazione di un ben oliato meccanismo in vista della ‘soluzione finale’) non lascia nessun dubbio sulla ‘unicità’ del disegno di cancellazione degli ebrei tutti dalla faccia della Terra. Si può discutere come ricordare le vittime di tutti gli stermini, ma è un altro discorso. 29 GENNAIO 2010, 03:29 DI YUME Scusatemi, sono sparita, ma come ben sa chi mi conosce, per il mio ritmo notte/giorno dev’essere ancora inventato l’orologio. Allora Roma, Teutoburgo, la romanizzazione mancata. Resta, fixer, questa grande domanda: perché? Varo non era nessuno e Arminio se lo fumava, ma Cesare? Eppure anche lui fece dietrofront, e costruire e smontare in 18 gg un ponte sul Reno, non è uno scherzo. Ma gli servì solo per un’azione dimostrativa, poi via, visti, conosciuti e tanti saluti. E Cesare era un genio, Cesare ha fatto fuori un milione di Galli e nessuno dice niente… eppure i Germani restarono lì, unici, insieme ai Parti (e anche su quell’area geografica andrebbero capite un po’ di cose) non romanizzati. Ma come si fa a sviscerare un problema del genere qui? Io la butto lì, ma con tutti i benefici d’inventario possibili. I romani furono dei gran figli di puttana, non da meno degli ateniesi quando andavano in delegazione dai Melii a dirgli: o con noi o con noi, sennò succede il finimondo. I greci e i romani hanno avuto sempre ottima stampa, le alleanze giuste (vedi per Roma la chiesa cristiana appena finì di essere una roba da poveracci), sono stati gran mistificatori, imperialisti quando ancora Bush era un angioletto sulla nuvola rosa, ma gli ateniesi prima e i romani dopo hanno inventato le leggi, il nomos, il diritto. Che poi magari fossero i primi a trasgredirlo è un fatto, ma quando un principio è posto è posto. Non per niente Socrate si fece un bel bicchierone di cicuta, perché guai trasgredire le leggi della città, anche se gli uomini non capiscono niente! Dunque, scusate le divagazioni, i nuovi Germani si sono costruita un’identità a partire da Lutero, l’hanno fatto in modo stupendo e credo insuperabile (sulle tracce di Lutero in Turingia troviamo anche Bach, a pochi chilometri), hanno fatto cose strabilianti a Berlino (il museo della Shoah aperto nel 2002 mi ha tolto il respiro tutte e due le volte), convivono senza comode rimozioni con i loro sensi di colpa e sono orgogliosi di questo, cioè della loro dirittura morale che, all’occasione, li porta anche all’autocondanna, senza se né ma. C’è da chiedersi però, senza generalizzare, anche se il rischio è grosso: che non sia questo eccesso di rigidità moralistica a scatenare, messe naturalmente in campo le condizioni giuste (la Germania di Weimar la conosciamo tutti), certe conseguenze? Secondo me, la romanizzazione non sarebbe mai riuscita da quelle parti, e Cesare lo capì bene e fece smontare quella meraviglia di ponte senza pensarci due volte. 29 GENNAIO 2010, 03:56 DI YUME Sulle posizioni di Marcello concordo in pieno, manco a dirlo.
NOTA. I sette film sono stati scelti e comentati da Yume
Con Robert Artzorn, Friedrich G. Beckhaus, Gerd Böckmann, Jochen Busse
Villa sul lago di sobria eleganza a mezz’ora da Berlino,14 gerarchi nazisti riuniti da Heidrich in conferenza segreta, due ore la riunione, asettico gergo burocratico. Risultato: il protocollo di Wannsee per la soluzione del problema ebraico.
Dodici anni di riprese, Lanzmann raccoglie le parole di superstiti, testimoni, aguzzini sopravvissuti, in un percorso del terrore sui luoghi del genocidio, senza concedere nulla a pietà o sdegno, rabbia o disgusto. Tutto come allora, banale, addirittura.
Titolo originale Heimat: Eine Chronik in elf Teilen - Die Mitte der Welt
Regia di Edgar Reitz
Con Marita Breuer, Rüdiger Weigang, Karin Rasenack, Karin Kienzler, Gertrud Bredel
La “patria” tedesca filtrata da un’epica del quotidiano di rara forza metaforica. Arrivano “i grandi” del Reich, una visita breve, e i dolcetti per la festa restano nei piatti: “Mai che succeda qualcosa in questo Hunsrück di cui una persona possa sublimarsi
Con Jean-Hugues Anglade, Juliet Aubrey, Luke Petterson, Jenner Del Vecchio
Stile sobrio e raffreddato per parlare degli occhi di un bambino che guardano l’orrore (da Anni d’infanzia, memorie del fisico Jona Oberski). Le musiche di Morricone non potevano fare di meglio.
Un nonno “cieco vedente”, un cane psicopatico, un ragazzo più schizzato che no, sono gli unici a capire Alex, mentre cerca memorie. Parlano un inglese stravagante. Riusciranno i nostri eroi? Klezmer a go go per la gioia degli amanti del genere.
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