Shoah
- Documentario
- Francia
- durata 544'
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
da Crematorio II : “Vogliamo vivere,vogliamo lavorare….”
Tullia Zevi è morta. Aveva 92 anni.
Perché una donna di buon senso? Avrei potuto dire tante cose, parlare dei suoi innumerevoli meriti e benemerenze, ma la risposta ad una delle ultime interviste mi ha fatto segnare questa qualità come la migliore.
La domanda:
"perché ha stretto la mano di Arafat? Un gesto che anche la sua comunità ha criticato…."
La risposta:
"Perché andava fatto, e forse la mia comunità non era ancora matura"
L‘intervista è sul sito di Repubblica
Per lei un ricordo che resta
http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=16526
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
da Crematorio II : “Vogliamo vivere,vogliamo lavorare….”
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
dal diario di Adam Cherniakov, capo del Consiglio ebraico a Varsavia: ”C’era nel ghetto a Varsavia una donna innamorata.Il suo uomo era stato ferito, aveva tutti gli organi fuori, li ricompose con le sue mani e lo portò in ospedale.Morì e lo gettarono in una fossa comune. Lei lo tirò fuori e lo seppellì……”
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
”Un giorno nel ghetto mi venne incontro un uomo, mi chiese dei soldi, non per mangiare , mi dia dei soldi per l’affitto,disse, non voglio morire per strada…… nelle strade c’erano ogni giorno cadaveri, mucchi di cadaveri, erano coperti con giornali”
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
Adam Cherniakov, appassionato di mitologia greca, diceva di sentire addosso la tunica avvelenata di Nesso che condusse Eracle alla pazzia e alla morte. Intuì fin dal primo giorno quale sarebbe stata la sorte degli ebrei del ghetto e tenne un diario giornaliero, per tre anni, fino a qualche ora prima del suo suicidio, avvenuto il 23 luglio del ’42, il giorno dopo l’invio del primo convoglio con 6000 ebrei a Treblinka.
E’ una finestra su quella storia, senza enfasi, non ha una parola di disgusto sui Tedeschi, lui perora, intercede, non discute.
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
un sopravvissuto della resistenza ebraica a Varsavia: “...quando uscimmo dalle fogne nella parte ariana di Varsavia eravamo storditi, intorno a noi la vita era normale, i bar aperti, i cinema, passavano autobus carichi di gente normale.Subito si avvicinarono persone, c’erano sempre polacchi intorno al ghetto che controllavano che gli ebrei non ne uscissero.Noi eravamo laceri, stracciati, magri, per fortuna riuscimmo a nasconderci.”
Titolo originale Shoah
Regia di Claude Lanzmann
un messaggio della Resistenza ebraica in Polonia agli Alleati: “Non abbiamo un paese, un governo, una voce nella Società delle Nazioni, gli Alleati non possono considerare la guerra solo dal punto di vista militare. Se la vinceranno, come accadrà, il popolo ebraico sarà comunque stato sterminato. Il problema ebraico è eccezionale rispetto alla guerra……”
Titolo originale A Film Unfinished
Regia di Yael Hersonski
Con Alexander Beyer, Rüdiger Vogler
“La regista israeliana Yael Hersonski si cimenta in un’analisi critica di Das Ghetto (film di propaganda nazista incompleto sul Ghetto di Varsavia, semplicemente intitolato Das Ghetto e scoperto da alcuni archivisti nella Germania dell’Est del dopoguerra) che si rivela notevole per il livello filosofico che raggiunge. Muovendosi metodicamente da bobina a bobina e riconoscendo i “numerosi livelli di realtà”, la regista crea un palinsesto di impressioni partendo da molteplici e meticolosamente ricercate fonti che rappresentano sia le vittime che gli oppressori.
Se negli stralci da una video intervista, Willy Wist, uno dei cineoperatori di “Das Ghetto”, è evasivo come ci si aspetterebbe, altri testimoni non si sono risparmiati.
Letture da diari personali, come quelli di Adam Cherniakov, il capo del Consiglio ebraico (il cui appartamento fu usato numerose volte come location dai nazisti), e dai rapporti minuziosamente dettagliati compilati dal commissario del Ghetto Heinz Auerswald, forniscono una visione dettagliata delle restrizioni quotidiane e dei metodi dei cineasti nazisti.
Accoppiando con attenzione scene del film e descrizioni nei diari (il montaggio del film, curato da Jöelle Alexis, è sorprendentemente accurato), A Film Unfinished finisce per diventare un’esplorazione dell’atto del guardare, o più precisamente della differenza tra guardare e vedere. In nessun altro luogo del film questo è più evidente che nella decisione della regista di invitare cinque sopravvissuti del Ghetto di Varsavia a guardare il metraggio originale e di filmare le loro reazioni.
“E se riconosco qualcuno?” si domanda una donna, quasi mai provando a guardare lo schermo. Mentre le atrocità scorrono intermittenti sulle facce dei sopravvissuti - quasi un film che si riflette in un altro film - Hersonski silenziosamente crea spazi per le memorie. Più che i preziosi controlli sulla realtà (“Quando mai avevamo fiori? Ce li saremmo mangiati i fiori!”), questi ricordi ancorano il passato al presente e le immagini all’esperienza umana, in maniera tale da cambiare la nostra percezione del film su Varsavia. Sia quando s’incupiscono alla vista di uomini e donne nudi costretti con le armi ad andare al bagno rituale o quando respingono completamente i tentativi dei nazisti di sottolineare l’agio degli ebrei (“Mia madre aveva un bel cappotto e, a volte portava il cappello. E allora?”), i sopravvissuti sembrano parlare per quelli che non possono più.
Misterioso, intenso e intellettualmente provocante, A Film Unifinished colloca i noti orrori dell’Olocausto all’interno di un commento filosofico sulla maniera in cui vediamo le immagini.
Se la voce narrante della musicista israeliana Rona Kenan riempie i vuoti del documento visivo, le testimonianze più eloquenti sono quelle di chi è muto: gli ebrei affamati che guardano incomprensibilmente alle macchine da presa dei nazisti, la giovane donna che esprime tutto il suo disagio quando è costretta a posare al fianco di un mendicante.
Alla fine, il valore del lavoro di Hersonski, più che in quello che mostra, risiede nel continuo ricordarci di quello che non è.
La nostra attenzione è ripetutamente diretta al processo stesso della creazione filmica: la rievocazione in scena della testimonianza di Wist, l’uso dell’immagine di un proiettore in azione per dividere le diverse bobine, la messa in pausa delle immagini dei cineoperatori nazisti inavvertitamente catturati sulla pellicola, quasi come intrappolati nelle loro fabbricazioni. Così Hersonski enfatizza la mano dietro il sipario di celluloide.
Lasciando il cinema, una domanda riecheggia: quando non sarà rimasto nessuno a testimoniare, fino a che punto potremo fidarci dei nostri occhi soltanto?” Jeannette Catsoulis, The New York Times cit. da Pagine ebraiche (UCEI, unione delle comunità ebraiche italiane)
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