Le notti di Chicago
- Drammatico
- USA
- durata 110'
Titolo originale Underworld
Regia di Josef von Sternberg
Con George Bancroft, Evelyn Brent, Clive Brook, Fred Kholer
Il saggio di Carlos Clarens Crime Movies del 1980, fu pubblicato nel giugno 1982 nella traduzione italiana, con il titolo Giungle americane (Arsenale cooperativa Editrice, Venezia 1982). È un volume di trecentodue pagine fitte, corredato da centinaia di foto in b/n e tratta più di cinquecento film che appartengono alla storia del «genere». Clarens è già noto agli studiosi e agli appassionati di cinema per uno studio non ancora tradotto in Italia e che comunque (secondo quanto afferma Lorenzo Codelli nell’utile introduzione) è già molto citato e saccheggiato, si tratta di Horror Movies, An Illustrated Survey, Secker & Warburg, London 1968.
Giungle americane è il più famoso testo di consultazione di maggiore impegno sulla storia del crime movie, un genere che dalla sua comparsa a oggi resiste al tempo e alle mode, anche se ha subito negli ultimo decenni notevoli mutamenti. Peccato che il libro, credo di non sbagliare, non sia stato più ristampato, ma chi fosse interessato potrebbe consultarlo in biblioteca o cercare di acquistarlo in ebay o in librerie antiquarie, es. Mare Magnum.
L’indagine di Clarens si svolge in undici capitoli che si riferiscono ad altrettante fasi della storia del cinema del crimine.
Nel primo capitolo, PERSONAGGI ALLA RICERCA DI UN GENERE, l’autore fissa la data di nascita del gangster-film nel 1912: David Wark Griffith rappresenta per la prima volta sullo schermo tuguri, zone malfamate e introduce lo spettatore nella ribollente attualità del Lower East Side di Manhattan, ghetto, crogiolo, zona di infamie e delitti; il film si chiama The Musketeers of Pig Alley. Quindici anni dopo appare Le notti di Chicago (The Underworld, 1927) di Joseph Von Sternberg (la sceneggiatura è di Ben Hecht, l’interprete principale è George Bancroft nella parte di Bull Weed, un gangster elevato al rango di eroe), il primo gangster-film con credenziali moderne. Un geniale spettatore, Jorge Luis Borges dirà in Discussion: “Quando vidi il primo gangster-film di J. V. Sternberg, ricordo che se vi era in essi (sic) qualcosa di epico, ad esempio gangster di Chicago che muoiono coraggiosamente. Beh, sentii che gli occhi mi si riempivano di lacrime...”.
Il secondo capitolo, LE NOTTI DI CHICAGO, tratta del cinema criminale degli anni Trenta. I tre avvenimenti”, afferma Clarens, “che lasciarono un segno indelebile nella coscienza americana degli anni ‘20 furono il Proibizionismo, l’inizio della Depressione e l’avvento del sonoro nel cinema. Essi rivoluzionarono la morale, l’economia e l’estetica (...) allorché il parlato entrò nel cinema, la continuità del silenzio fu divisa in sillabe, parole, frasi e dialogo; e al contrario di quanto ci si aspettava il silenzio come strumento.”. Vengono, quindi, presi in esame, con dovizia di notizie e un occhio attento alle problematiche sociali del tempo, moltissimi film con particolare approfondimento di classici come Piccolo Cesare (Little Caesar, 1931) di Mervyn Le Roy, Scarface (Scarface, 1932) di Howard Hawks, Nemico pubblico (Public Enemy, 1931) di William Wellman. La storia di questo periodo appare, così, come un eccitante viaggio nell’America del ‘29.
Seguono due capitoli, IL GIORNO DOPO e LA PRIMA CROCIATA, dedicati al passaggio (attraverso alterne vicende) dal gangster-film a opere nelle quali campeggia la figura del poliziotto a difesa della legge e dell’ordine violati: è il periodo dei film dei “G-Men” che l’amministrazione Hoover (F.B.I.), il famigerato Hays e gruppi di pressione reazionari impongono alla produzione. Il film simbolo del periodo è La pattuglia dei senza paura (G-Men, 1935) di William Keighly, un regista che nel 1951 doveva girare I Was a Communist for F.B.I. (titolo che è tutto un programma). C’è da dire che La pattuglia dei senza paura inizia come un buon film di gangster che si risolve in seguito in un corso di pratica poliziesca. Questi film da un lato crearono consensi intorno all’autorità (c’era gente che si arruolava nell’F.B.I.), dall’altro era inevitabile che a lungo andare questa massiccia propaganda doveva risolversi in un capovolgimento che andava tutto a favore del gangster.
La svolta che doveva riportare sulla scena il gangster-film dei fulgidi anni ‘30/40 era nell’aria: “... i giovani dal viso fresco che generalmente interpretavano i G-Men e i caratteristi che impersonavano i capi del Bureau”, continua Clarens, “entravano nel film dopo che il film era stato presentato drammaticamente (in modo che il castigo fosse efficace), ma già si era creato un legame tra il criminale e lo spettatore. La successione di causa ed effetto provocava l’identificazione dello spettatore... ». Torna quindi sullo schermo il gangster.
I capitoli successivi del saggio, NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE INTERNO e UN NEW DEAL PER IL GANGSTER vanno al cuore del lavoro di Clarens, l’età classica del “genere” che diede al cinema capolavori ineguagliati come La foresta pietrificata (The Pietrified Forest, 1936) di Archie Mayo, Strada sbarrata (Dead Man”, 1937) di William Wyler, Angeli con la faccia sporca (Angels with Dirty Faces, 1938) di Michael Curtiz, Furia (Fury, 1936) di Fritz Lang, Una pallottola per Roy (High Sierra, 1941) di Raoul Walsh, Il fuorilegge (This Gun for Hire, 1942) di Frank Tuttle.
Gli anni ‘50 sono esaminati nel capitolo SFUMATURE DI NOIR, dominato da gangster-esistenziali, dark ladies, private-eye, Marlowe e Spade. Per la maggior parte sono film tratti dai più affermati autori hard-boiled: da Raymond Chandler è tratto Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941) di John Huston e Il grande sonno (The Big Sleep, 1946) di Howard Hawks; a Dashiell Hammett, La chiave di vetro (The Glass Key, 1942) di Stuart Heisler; da W. E. Burnett; Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950, ancora di John Huston; da un racconto di Ernest Hemingway è tratto La furia umana (White Heat, 1949) di Raoul Walsh.
Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale videro dei cambiamenti nel gangster-film. Nel capitolo SINDACATO DEL CRIMINE Clarens indica il nuovo gangster, diverso dal duro dell’era del proibizionismo; adesso è un uomo d’affari rispettabile o un killer psicopatico. Si afferma il “sindacato” e il cinema utilizza nuove convenzioni ricavate dalla tradizione folkloristica delle società segrete trapiantate dall’Europa, vedi Il bacio della morte (Kiss of Death 1947) di Henry Hathaway. Fa il suo debutto l’anonima assassini nei film La città è salva (The Enforcer, 1951) di Raoul Walsh, Le vie della città (I Walk Alone, 1948) di Byron Haskin e La città nuda (The Naked City, 1948), un capolavoro di Jules Dassin che Clarens analizza con particolare efficacia.
BONNIE AND CLYDE E I RAGAZZI e TUTTO IN FAMIGLIA sono capitoli sugli anni ’60, età di ben confezionati remake, grandi film-fantasma dello splendore passato: Gangster Story di Arthur Penn (Bonnie and Clyde, 1967), Contratto per uccidere (The Killers, 1964) di Don Siegel, Il clan dei Barker (Bloody Mama, 1970) di Roger Corman.
Il capitolo finale del libro, TECNICHE DI VIOLENZA, riguarda gli anni Settanta: “Nuovi stadi di violenza”, afferma Clarens “richiedono nuovi tipi di criminali e il solo protagonista che emerge è lo spacciatore di droga. Fatta eccezione per il Padrino, il gangster come personaggio principale dello schermo sparì negli anni ‘70. Fu sostituito dal suo doppio, il poliziotto; forma emblematica, il poliziotto nacque nel Vietnam, o per essere precisi, dal fallimento di Hollywood nel rappresentare un conflitto cosi controverso e così impopolare all’estero. Il Vietnam, decise Hollywood, apparteneva alla televisione (cui era stato affidato, pessimisticamente, da McLuhan) ma la guerra doveva essere parafrasata in film sul crimine metropolitano (…). Nascono i film sulla polizia, sui vigilantes, su cittadini giustizieri, figure nelle quali si annullano il bene e il male in un indistinto universo di violenza urbana. Esemplari sono: I nuovi centurioni (The New Centurions, 1972) di Richard Fleischer, Squadra omicidi, sparate a vista, (Madigan, 1968) di Don Siegel, I ragazzi del coro (The Choir Boys, 1977) di Robert Aldrich, Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo (Dirty Harry, 1971) di Don Siegel; il film-cliché è comunque Il braccio violento della legge (The French Connection, 1972) di William Friedkin, mentre a un più alto livello si situa Taxi Driver (Taxi Driver, 1976) di Martin Scorsese. Capostipite dei vigilantes è Il giustiziere della notte (Death Wish, 1974) di Michael Winner; sul versante spacciatori di droga, Serpico (Serpico, 1974) di Sidney Lumet.”
Le conclusioni di Clarens sono nostalgiche e comunque produttive di implicazioni nuove: “Il genere, come la legge chimica”, afferma, “non muore, ma si trasforma… (oggi) i registi non sanno più che tipo di pubblico ci sia nel buio delle sale come sapevano ai tempi della vecchia. Hollywood. Visto oggi un film di Fuller o di Walsh ci colpisce per la sua mancanza di qualsiasi esitazione; sembra andare alla carica del pubblico in un perfetto rapporto tra creazione e consenso… Questo assetto de!la comunicazione tra un sistema di convenzioni e un pubblico capace di interpretarle (anche a livello subconscio) portò inevitabilmente il cinema all’attenzione della semiologia negli ultimi anni. Non è un caso che le analisi semiologiche più convincenti trattino dei film classici di Hollywood. La crisi ha colpito per primo il western il cui tramonto data agli inizi degli anni ‘70: il pubblico non sente più il mito della frontiera, il western ha ceduto il suo primato al Crime Movie e quest’ultimo sta per essere sostituito dal film dell’orrore. “Solo il film dell’orrore”, conclude Clarens, “il più sovversivo dei generi, continua a prosperare, dato che opera a livello astorico e attacca i principi fondamentali della società ordinata. I generi non spariscono mai completamente. Come potrebbero, quando i problemi di cui trattano, sono le espressioni, talvolta belle, talvolta impacciate, di un periodo che tenta di definire se stesso.”.
Nell’introduzione al saggio, Lorenzo Codelli sembra dello stesso parere e cita il cinema di John Carpenter come quello auspicato da Clarens. In Distretto 13 (Assault on Precint 13, 1976) si rivela trasfigurato l’alone mitico dello scontro tra bene e male. Carpenter ha preso a prestito da Ford, senza smanie citazionistiche, l’idea del criminale che si schiera con i buoni contro i malvagi, e da Hawks il calore della fratellanza tra i deboli; predilige la vecchia bottega di Hollywood piuttosto che l’industria dei suoi grandi coetanei Spielberg e Lucas. “La mia filosofia del cinema”, dice Carpenter, “è che i film non sono opere intellettuali. I film sono emozioni: un pubblico dovrebbe piangere. ridere o spaventarsi. Penso che il pubblico dovrebbe proiettarsi in un personaggio, in una situazione e reagire.” (J. C. in “Sight and Sound” N. 2, 1978). Carpenter come Clarens è dalla parte della Old Hollywood: Fuga da New York e The Thing vanno in quella direzione.
Titolo originale Underworld
Regia di Josef von Sternberg
Con George Bancroft, Evelyn Brent, Clive Brook, Fred Kholer
Titolo originale Little Caesar
Regia di Mervyn LeRoy
Con Edward G. Robinson, Douglas Fairbanks jr.
Titolo originale Scarface
Regia di Howard Hawks, Richard Rosson
Con Paul Muni, George Raft, Ann Dvorak, Boris Karloff, Karen Morley
Titolo originale The Public Enemy
Regia di William A. Wellman
Con James Cagney, Jean Harlow, Edward Woods, Joan Blondell, Donald Cook, Leslie Fenton
Titolo originale High Sierra
Regia di Raoul Walsh
Con Humphrey Bogart, Ida Lupino, Arthur Kennedy, Joan Leslie
Titolo originale The Glass Key
Regia di Stuart Heisler
Con Alan Ladd, Brian Donlevy, Veronica Lake, Bonita Granville, Richard Denning
Titolo originale White Heat
Regia di Raoul Walsh
Con James Cagney, Virginia Mayo, Edmond O'Brien, Margaret Wycherly, Steve Cochran
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