Quando l'occhio "meccanico" intercetta porzioni di realtà e tende a identificare chi guarda con chi è guardato generando di fatto uno scambio di identità tra la realtà a una sua parziale riproduzione. L'occhio diventa il prolungamento naturale della vita, acuisce la sua portata sensoriale fino a farsi piena coscienza di se. L'immagine riprodotta è sempre e solo una porzione della realtà, eppure contiene dei segni che possono riportare a una sua visione più estesa.
Con la teoria del Cineocchio (Kinoglaz), Dziga Vertov intese sancire l'impossibilità del cinema di rappresentare la realtà sensibile in tutte le sue multiforme fattezze e a coglierne l'evoluzione dinamica con perfetta linearità. Se da un lato affranca la realtà da una sua rappresentazione meramente descrittiva, dall'altro lato serve per fornire all'uomo strumenti per andare oltre quel rappresentato filmico che non può essere che parziale in quanto frutto di una sensibilità soggettiva. L'occhio che analizza.
Con Romy Schneider, Harvey Keitel, Harry Dean Stanton, Max Von Sydow, William Russell
Roddy registra su schermo tutto ciò che fissa con lo sguardo scegliendo di renderne pubblica l'intimità e di farsi tramite di una rappresentazione eterodiretta della realtà. L'occhio che registra.
Con Matthew Modine, Dennis Hopper, Béatrice Dalle, Claudia Schiffer
Matty ha un passato di cui non riesce a delineare i contorni. Le sue ossessioni sono artatamente veicolate dall'obbiettivo della videocamera di Mickey. L'occhio della memoria.
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