Per la lucidità del suo stile le profonde implicazioni dei suoi temi, Shindo può essere considerato, fra i grandi registi del “periodo di mezzo” della feconda stagione del cinema giapponese del secolo scorso, uno di quelli che maggiormente ha contribuito alla formazione e alla maturazione dei registi delle successive generazioni cinematografiche del suo paese.
Il suo straordinario contributo, di potente impatto drammatico oltre che simbolico, non è esente da compiacimenti formali derivanti da una ricerca stilista portata alle estreme conseguenze, ma sempre compensata dalla profondità dell’impatto oltre che dalla straordinaria, personalissima impaginazione delle storie, che nei risultati più maturi (per lo meno relativamente a ciò che è giunto qui da noi) sono elementi sufficienti a bilanciare quegli eccessi, grazie a un linguaggio realisticamente crudo e polemicamente disturbante (Joseph L. Anderson e Donald Richie, nelle loro preziose riflessioni sul cinema giapponese, proprio per queste particolari corrispondenze fra crudezza e visionarietà, hanno avanzato parallelismi non troppo velati – anche se non del tutto chiariti, e soprattutto non compiutamente espressi e “dimostrati” sotto il profilo “critico” – addirittura con il giovane Stroheim degli esordi).
Fra tutti i “grandi” artisti del cinema nipponico del secolo scorso, è comunque forse quello che rivela di più l’usura del tempo, perché più che in altri casi, le sue opere (salvo forse quella che lo ha rivelato) si nutrono delle tendenze e del “clima” culturale particolare (vizi compresi, se così possiamo definirli) che hanno caratterizzato gli anni in cui sono state concepite e realizzate, soprattutto per quanto riguarda il “formalismo estetizzante” delle scelte.
Sceneggiatore abituale di Yoshimara, collaborerà nel periodo dell’apprendistato anche con Naruse e Kinoshita, oltre ad avere poi il grande il privilegio di diventare assistente di Mizoguchi (Vita di O’Hara donna galante, I racconti della luna pallida d’agosto) e di confrontarsi così direttamente con il classicismo di quella esperienza, la cui influenza, sempre presente nel cinema di Shindo, si avvertirà particolarmente in Kavashimi wa onna dake ni (La tristezza appartiene alle donne).
Fondata nel 1950 la casa indipendente Kinadeiga Kyokai (Associazione del cinema nuovo) insieme a Yoshimura, debutterà finalmente nella regia nel 1951 con un’opera autobiografica, Aisai Monigatari (La donna molto amata) delicato, appassionato ricordo che è anche un prezioso omaggio alla memoria, dedicato alla moglie morta nel 1940, al quale seguiranno, nel 1952 Genbaku no Ko (I ragazzi di Hiroshima, conosciuto però anche come I figli della bomba atomica), un film in cui esprime e rappresenta la sofferenza della sua città natale dopo l’esplosione della bomba, e la fatica di una dolorosa resurrezione dopo la tragedia.
Seguono Nadare (La valanga), Onna no Issho (Storia di una donna), Dobu (Rigagnolo), il già citato Kavashimi wa onna dake ni e Daigo Fukuryn maru (Il peschereccio Drago della fortuna).
Il grande successo internazionale però lo raggiungerà solo nel 1961 con L’isola nuda (Hadaka no Shima) film che trionferà al Festival di Mosca e lo rivelerà all’Europa intera.. In questo film, si ritrovano tutte le tematiche che diverranno una costante del suo lavoro successivo: in un universo in cui dominano la fame, la guerra, il sesso e il denaro, l’uomo costruisce la sua vita in base a una scelta tra abnegazione e rivolta. Il dramma dell’esistenza umana, è determinato così dalla lotta e dal fatalismo che lo dominano. Ed è soprattutto il lavoro fatto sul sonoro a strabiliare, il suo parsimonioso impiego, che sottolinea come meglio non sarebbe possibile, la superlativa qualità delle immagini “accompagnate” da quei lunghi silenzi, tipici dello stile del regista, che risultano perfetti per esprimere proprio l’impossibilitàdi definire l’uomo attraverso la parola.
Seguono Nigen (L’uomo), Haba (Madre, lo sconvolgente Onibaba, ancora un grande successo internazionale, nel quale una madre non sopportando che la moglie del figlio morto in guerra incontri di notte l’amico sopravvissuto all’uomo, tenterà di camuffarsi da demone per spaventarla, anche se il desiderio supererà la paura, e l’inevitabile conclusione di questa disfatta, non potrà essere che la morte, e Honno (Sesso perduto) che è del 1966.
Del 1969 è invece Kanedo, l’ultima opera alla quale posso riferirmi (dopo, per lo meno io, ne ho perso completamente le tracce “artistiche”), connotata da un linguaggio realisticamente potente che raggiunge punte di lucida crudeltà, contrapposto ai simboli e alle allegorie che - già componente essenziale di tutti i titoli precedenti – qui raggiunge una fusione esemplare e rigorosa molto vicina alla perfezione. Sono ancora pochissimi i personaggi con i quali Shindo rappresenta il suo “dramma”: qui i rapporti tra una madre e un figlio, un lavoro di scavo minuzioso che consente al regista di raccontare l’iniziazione sessuale della donna sul giovane figlio, con un erotismo raffinato ed espressivamente efficace.
Con Yoshino Kimura, Yû Kurosawa, Ken Ishiguro, Makiko Watanabe
Non so se verrà proprio il riferimento al titolo al quale intendo riportarmi, che mi sembra assente nel database di Film tv . E infatti è accaduto proprio così, ho quindi dovutro prendere un titolo a casaccio per far scire la play che altrimenti rimaneva bloccata. Resta sottinteso comunque che il commento si riferisce all’opera di Shindo del 1960 L'isola nuda, che rappresenta un documento sincero e parzialmente autobiografico, della realtà del lavoro e della lotta contro la natura in uno scenario “muto” come silenziosa è la lotta dell’uomo contro gli elementi, dilatato “espressivamente” dallo stupendo cinemascope di Kiyoshi Kuroda e dal controcanto delle musiche “acquatiche” di Hikaru Hayashi
La lotta quotidiana per la sopravvivenza che si infiamma e si colora dei sintomi della follia. A metà strada fra la storia di fantasia e l’allegoria esistenziale, è un dramma dalle tinte forti che sfrutta il classico binomio giapponese di amore e morte per sottolineare con enfasi, l’antiumanesimo dei suoi personaggi.
Con Hideo Kanze, Nobuko Otowa, Eijiro Tohno, Yoshinobu Ogawa
Con la pallida ombra del cinema di Mizoguchi che riverbera ancora fra le pieghe del racconto, una storia di sesso (un attore è convinto di aver perso la virilità per colpa delle radiazioni atomiche di Hiroshima, ma l’amore di una cameriera riuscirà a fargli superare le sue infondate paure) elaborata con uno stile compassato e rigorosamente pudico.
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