Stato d'assedio
- Drammatico
- USA
- durata 180'
Titolo originale Under Siege
Regia di Roger Young
Con Peter Strauss, Hal Holbrook, E. G. Marshall

Il titolo si riferisce in realta' al dramma del 1948 di Albert Camus (Etat de siège).
La resa. Arrendersi. Segnale di debolezza? Segnale di saggezza? Ci si puo' arrendere all'oppressore? E chi assedia lo fa sempre con intenzioni ostili? In amore, non e' forse dolce, arrendersi all'assediante? Assediare, non dare tregua, premere, fare pressione. Lo scopo e' la conquista. Spesso e' soave, come il cuore dell'amato o dell'amata. Spesso e' arrogante, violenta, spietata. "Non faremo prigionieri!". Ma, forse, l'assedio piu' subdolo e' l'assedio del Potere al cittadino. I piu' avveduti si rendono conto di essere assediati, circuiti, beffati, vessati. E' il tentativo di conquista, da parte del Potere, delle nostre anime. L'anima e' la parte piu' intima di noi: nessuno riesce a sapere cosa c'e' nel piu' profondo dell'uomo. E' l'ultimo ridotto di un un disperato tentativo di difesa, di auto-difesa. Ora, conquistato quasi tutto, si cerca l'ultima battaglia. Conquistata la nostra anima, diventiamo "zombies": compriamo quel che ci viene urlato in tv, sui media; ragioniamo poco a poco con lo stile e il metodo degli arroganti, dei furbi, degli impuniti, delle facce toste, dei corrotti. La nostra difesa e' il sapere, il conoscere, il leggere, l'informarsi, il riunirci, il protestare. Ma siamo sotto assedio. E la resa sembra drammaticamente vicina. E inesorabile.
Titolo originale Under Siege
Regia di Roger Young
Con Peter Strauss, Hal Holbrook, E. G. Marshall
Il titolo si riferisce in realta' al dramma del 1948 di Albert Camus (Etat de siège).
Titolo originale Apache
Regia di Robert Aldrich
Con Burt Lancaster, Jean Peters, Charles Buchinsky, Ian McDonald
Masai e' l'ultimo ad arrendersi. Gli rendono l'onore delle armi. Ma cio' non toglie che sia uno sconfitto.
Titolo originale Geronimo
Regia di Walter Hill
Con Wes Studi, Jason Patric, Gene Hackman, Robert Duvall, Matt Damon, Rodney A. Grant
Il capolavoro di Walter Hill e l'ottima interpretazione di Wes Studi ci offrono un esempio mirabile dell'assedio, della dignita', del grido di liberta' soffocato e della resa finale. Le parole amarissime che Geronimo, alla fine, mormora sul carro che lo portera' sul treno verso terre lontane sono da scolpire.
Regia di Gabriele Salvatores
Con Diego Abatantuono, Claudio Bigagli, Gigio Alberti, Vanna Barba, Giuseppe Cederna
I film di Salvatores potrebbero essere interpretati come un canto alla "fuga". In realta' si tratta di una resa. La vita in questo Paese ci costringe a rifugiarci nel privato. e' il segnale della resa?
Regia di Valerio Zurlini
Con Jacques Perrin, Vittorio Gassman, Philippe Noiret, Francisco Rabal
La fortezza Bastiani cos'e' in realta'? Un avamposto teso a respingere la barbarie o l'ultimo ridotto di un vecchio mondo che verra' spazzato via dal nuovo?
Titolo originale Invasion of the Body Snatchers
Regia di Don Siegel
Con Kevin McCarthy, Dana Wynter, Sam Peckinpah, Larry Gates, King Donovan, Carolyn Jones
"Il prossimo sarai tu!" urla il protagonista all'autista ignaro del male che sta invadendo la citta'. Poi il male si propaghera'...
Regia di Giancarlo Cobelli
Con Lando Buzzanca, Barbara Steele, Paola Pitagora, Claude Vegas
In omaggio alla recente grande play di Marcello-Lorenzo e al titolo molto eloquente del film. Fermiamo tutti insieme questo mondo che gira cosi' vorticosamente. Mi gira la testa! Non ci capisco piu' nulla. Fatemi scendere!
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Resistere leggendo e leggere per saper resistere. Io ancora mi devo stancare. Un saluto a tutti.
Prima di tutto, bisognerebbe individuare con estrema chiarezza CHI o COSA siano gli oppressori. Secondo me l'assediante ha sempre intenzioni ostili, nel caso dell'amore c'è un assediante appunto perchè non si tratta di amore, ma di conquista. A questi livelli non esiste amore, il cosiddetto "amore" è forse la forma più lieve di uno stato di assedio. Del resto, da soli non riusciamo a vivere. Se ci osserviamo al microscopio, scopriamo che ad un livello sottile, difficilmente percepibile, è costantemente in atto "the old old story of hate, murder, and revenge!" come canta la canzone di Rancho Notorious. Non esiste però la condizione di ascolto per poterlo percepire. Leopardi ha scritto "Poi, quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l'altro tace, odi il martel picchiare..." incarnando poeticamente, da par suo, la necessità di una condizione adatta alla percezione. Per una rapida stima della percentuale di capacità percettive delle persone, può essere utile dare una occhiata ai dati di ascolto della musica. Grossomodo (non li ho sottomano per essere preciso) sono: 80% rock e musica leggera varia, il resto dividilo fra Jazz e musica classica che sono più difficili del rock. Se entri nel campo della musica classica, l'80% ascolta orchestre, solo il 15% pianoforte solo e un 5% musica da camera. In ordine rigoroso di difficoltà. In cosa consiste questa difficoltà? Nel grado si silenzio che richiede ciascuno per essere compreso. Prendi un Quartetto per archi: non c'è l'allettamento sonoro immediato che può fornire una orchestra, per esempio. Quindi, è richiesto di entrare in sintonia con quanto viene suonato, e questo richiede quasi sempre molti ascolti. Non ci sono altri appigli. Perchè faccio questo esempio? Perchè il nostro mondo è fatto di realtà grossolane (fisiche) e sottili (spirituali o psichiche). L'origine delle grossolane sta in quelle sottili, almeno secondo il parere di praticamente tutte le grandi tradizioni spirituali (differenze le trovi a livello di concetti particolari). Certo questo è un punto che necessità di accordo, se la pensi diversamente allora è inutile proseguire. Puoi benissimo dire: "sei materia, e morendo rimarrai materia senza animazione, senza il soffio vitale anch'esso materia" etc. Sembra che la società non sia il luogo migliore dove prendere coscienza dei livelli sottili dell'essere: se è vero che è da questi che si originano gli altri, mi si spiega perchè di tutto si discute meno che di questi? Perchè ci si occupa di mirabolanti accadimenti che hanno luogo nella realtà grossolana? Perchè l'indagine è rivolta al luogo dell'incidente, e non della possibile origine dell'incidente? Secondo Aurobindo, la natura delle comunicazioni umane è simile all'attentato. Ci si attenta a vicenda con una semplice frase. Di fatto, le comunicazioni sono attentati. Esiste un luogo fuori dalla comune capacità percettiva, che Leopardi rappresenta con l'inizio dell'udirsi del martello che picchia: fino a poco prima, prima che tutto l'altro tacesse, non l'avresti potuto udire. Il guaio è che tutto l'altro non tace, questo è il guaio. Invano ricerchi il martel picchiare in mezzo a quel fracasso. Neanche ti immagini che ci sia un martello che picchia. Se gli chiedi: "cosa mi dite del picchiare del martello del legnaiuol?" probabilmente ti guardano come se fossi pazzo. Non l'hanno mai udito. Magari è proprio nel suono del martello che picchia, la soluzione insperata, ma non lo puoi sentire a causa del fracasso, nè ti sfiora che possa esistere. L'umanità a me sembra fatta così: cerca nel frastuono soluzioni che potrebbero venire se si fosse capaci di udire un flebile suono. Questo frastuono è lo stato energetico esistenziale normale. Lo stato del terrorismo psichico. Fino a che non si prende coscienza di essere dei terroristi psichici, non si potrà porre fine al terrorismo grossolano. Invano si parlerà di Borsellino o di Falcone, addirittura inconsciamente si potrebbero perfino odiare, dato che rappresentano, nel livello grossolano, una forte metafora di quello che dovrebbe accadere in quello sottile. Neanche abbiamo coscienza di questo livello sottile, figuriamoci l'idea di influenzarlo! Senza questo approccio, personalmente non vedo possibilità di soluzioni a lungo termine.
@Marcello: Si, altri venti anni almeno ci vorranno per fare marcia indietro dal lavaggio del cervello mediatico subito, bella l'idea della trasformazione da società civile in audience...
Può forse essere utile fornire qualche cenno, per chi ne fosse completamente digiuno, sul tipo di indagine che viene svolta quando l'oggetto dello studio è il funzionamento dell'essere umano visto da un punto di vista abbastanza diverso dagli usuali (la mente che studia se stessa non è efficace se non in ambiti limitati). Sri Aurobindo rappresenta un caso particolare nell'ambito del mondo orientale, poiché i primi anni li passò da perfetto occidentale. Le citazioni sono prese da "Satprem: Sri Aurobindo, l'avventura della coscienza".
"Un giorno, tornato dall'Università", racconta un collega, "Sri Aurobindo si sedette, aprì un libro e si mise a leggere, mentre Z. e altri amici cominciavano una rumorosa partita a scacchi. Dopo una mezz'oretta posò il libro per bere una tazza di tè. Glielo avevamo visto fare tante volte, sicché aspettavamo con impazienza di verificare se i libri li leggesse davvero oppure se leggiucchiando solo qualche pagina qua e là. Lo mettemmo subito alla prova: Z. aprì un libro e lesse una riga a voce alta, poi chiese a Sri Aurobindo se ne sapeva il seguito. Lui si concentrò un momento, poi ripeté tutta la pagina senza il minimo errore. Se era capace di mandare a memoria un centinaio di pagine in mezz'ora, come stupirsi che gli ci volesse un tempo così incredibilmente breve per leggere un'intera cassa di libri?"
Venne però il giorno in cui ne ebbe abbastanza di questa ginnastica intellettuale. Forse si era reso conto che si può continuare ad ammassare conoscenza all'infinito, leggere e leggere, imparare le lingue, anche tutte le lingue e tutti i libri del mondo, senza avanzare di un passo. Perché la mente, in realtà, non cerca di sapere, anche se può sembrare così: cerca solo di macinare. Il bisogno di sapere dell'intelletto non è altro che bisogno di macinare. E se poi per un caso si ferma un attimo perché è riuscito a sapere quel che cercava, immediatamente si riscuote e trova nuova roba da mettersi sotto i denti, per il puro piacere di tritare e tritare ancora. È questa la sua funzione.
Quello che in noi vuole davvero conoscere e progredire non è la mente, ma qualcosa che sta dietro la mente e se ne serve. "Il momento decisivo del mio sviluppo intellettuale", dirà Sri aurobindo a un discepolo, "fu quando potei chiaramente vedere che quanto diceva l'intelletto poteva essere sia giusto e sbagliato: quel che l'intelletto giustificava era vero, ma anche il suo opposto lo era. Non ammettevo più nessuna verità della mente senza ammetterne contemporaneamente anche il contrario. Risultato: il prestigio dell'intelletto svanì." Sri Aurobindo è arrivato a una svolta: i templi non gli dicono niente e i libri gli appaiono vuoti. Un amico gli consiglia lo yoga, ma lui rifiuta: "uno yoga che esiga l'abbandono del mondo non fa per me". Anzi aggiunge: "una salvezza solitaria che lasci il mondo il suo destino mi appariva quasi disgustosa".
Un giorno però gli capita di assistere ad una scena strana, anche se banale in India (il banale quotidiano è spesso la miglior occasione per fare un passo avanti). Suo fratello Barin (nato mentre Sri Aurobindo stava in Inghilterra, era diventato suo emissario segreto nell'organizzazione della resistenza in Bengala) si è ammalato di una febbre perniciosa. Passa degli uno di quei monaci che vanno errando seminudi col corpo coperto di cenere, chiamati naga sannyasin. Passa di porta in porta elemosinando il cibo, secondo l'uso, quando vede Barin avvolto in una coperta, tremante di febbre. Senza una parola si fa portare un bicchier d'acqua, traccia un segno, salmodia un mantra e fa bere l'ammalato. Cinque minuti dopo, Barin è guarito e il monaco è scomparso.
Certo, Sri aurobindo aveva sentito parlare degli strani poteri di questi asceti, ma stavolta ha visto con i propri occhi. E di colpo si rende conto che lo yoga può servire a ben altro che a evadere dal mondo. Scrive la sua allieva Mere:
"È questa mente organizzatrice che è terribile! Terribile. Ci ha talmente convinti di non essere capaci di fare un bel niente senza di lei! Ecco perché è così difficile tenerla a bada. Altro che convinti! - ha persuaso l'umanità intera! La mente ha convinto tutta l'umanità cosiddetta d'élite che non si può combinare niente di buono senza questo potere organizzativo".
Sri Aurobindo parlò di "una zona del nostro essere fonte di grosse difficoltà e insieme di un grande potere. Fonte di difficoltà perché disturba le comunicazioni dall'esterno o dall'alto, opponendosi freneticamente ai nostri sforzi di silenzio mentale, e invischia la coscienza in occupazioni e preoccupazioni meschine impedendole di muoversi liberamente verso più alte regioni; fonte di potere perché fa affiorare in noi una grande forza di vita. Stiamo parlando della zona che sta fra il cuore il sesso e che Sri Aurobindo chiama "Vitale".
È la zona di tutte le confusioni: dove il piacere si mescola inestricabilmente alla sofferenza, la pena la gioia, il male al bene, la commedia alla verità. In questa zona pericolosa le varie spiritualità del mondo hanno incontrato tante difficoltà che han preferito farci una bella croce sopra e lasciarne sussistere soltanto le cosiddette emozioni religiose: il neofita è invitato a rifiutare tutto il resto. E tutti sembrano essere d'accordo: la natura umana è intrasformabile.
Ma questa "chirurgia morale", come la chiama Sri Aurobindo, presenta un doppio inconveniente, perché da un lato non purifica niente, in quanto le emozioni dall'alto, per raffinate che siano, inquinano come le emozioni inferiori, per la buona ragione che sono sentimentali e parziali; d'altro canto si tratta di una chirurgia che non estirpa veramente, ma accantona. Il vitale è di per sé una forza assolutamente indipendente dalle nostre argomentazioni razionali o morali, e se uno cerca di tiranneggiarlo o di fargli violenza con la ascesi o comunque con una disciplina radicale, si espone al rischio di vederlo un giorno rivortarglisi contro al minimo cedimento: il vitale sa vendicarsi oltranza.
(...) "L'atteggiamento dell'asceta che dice "io non voglio niente" e quello dell'uomo comune che dice "io voglio questo è quello" si equivalgono. Il primo può essere attaccato alla sua rinuncia quanto l'altro al suo possesso.
La sofferenza lo [il vitale] appassiona quanto l'allegria, la privazione quanto l'abbondanza, l'odio quanto l'amore, la tortura quanto l'estasi. Tanto, lui (il vitale) si ingrassa comunque. Il vitale è infatti una forza: è sempre la stessa, sia nel dolore che nel piacere. Così, comodamente senza eccezioni, si svela l'assoluta ambivalenza di tutti sentimenti che costituiscono la nostra beneamata personalità di facciata. Ogni sentimento è il rovescio di un altro, in qualsiasi momento può ribaltarsi del suo opposto - è qualora il filantropo deluso (o piuttosto il vitale del filantropo) diventare pessimista, l'apostolo dell'amore fuggire nel deserto, lo scettico irriducibile diventare settario, il puro scandalizzarsi di tutto ciò che non osa fare".
Quasi dimenticavo ma mi pare sottinteso, sono d'accordo con tutto quello che è stato detto nella play e nei commenti. Le riflessioni sulla "resa" prima o poi dovevano affacciarsi in noi, la società trasformata da "civile in audience" lascia presagire ben poco di buono. Ho semplicemente inteso dare due cenni su un modo di vedere la situazione, visto che si parla di moralità contrapposta all'immoralità, uomini veri contrapposti alla decadenza dei valori. E' innegabilmente vero, eppure sono anni che anch'io ho il sentore di cui parla Aurobindo, esiste una zona (lui la chiama "vitale") nella quale tutto diventa confuso. Una zona che si fa beffe della "morale", nella quale la differenza esistente tra una buona o una cattiva azione, vera a certi livelli, si annulla in una specie di equivalenza che non saprei spiegare.
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