N.B. Contiene spoiler (trama e finale). Sebbene la playlist esuli in parte dall’ambito cinematografico (comunque il gioco potrebbe consistere nel trovare film con affinità poetiche più o meno rilevanti), recentemente ho avvertito la necessità di dover segnalare questo romanzo di Guido Morselli, ormai a molti anni dalla lettura avvenuta intorno alla fine degli anni “80 (rammento che, sulla scorta della coeva “folgorazione” verso l’opera di Kafka, mi fu consigliato da un amico, assieme al bellissimo “L’assistente” di Walser).
Il protagonista, alter ego dello stesso Morselli, è un uomo alla deriva disperso fra edifici, macchine, oggetti ancora funzionanti, animali e piante vive, e nondimeno è ineluttabilmente solo (di ritorno da un ambiguo tentativo di suicidio in una caverna, si ritrova in una città ove tutte le persone sono improvvisamente svanite), accompagnato unicamente da alcuni frammenti del suo inutile passato (quasi un Krapp metropolitano). Ho pensato fosse giunto il momento di menzionare questo testo dopo aver plausibilmente compreso quanto quell’immagine (figura e ambiente) non mi abbia mai più abbandonato da allora, rimanendo intatta e vivida nella mia mente (e viceversa quanti ricordi creduti indelebili sono nel frattempo irrimediabilmente sbiaditi o andati perduti, nella pena, ormai ossessiva, di non riuscire ad arrestare questa emorragia).
Dissipatio H.G. (Dissipatio in tardo latino significa evaporazione, H.G. Humani Generis) mi colpì profondamente per tante ragioni, in primis per l’atmosfera straniante e malsana (di fatto influenzata dal geniale scrittore praghese, ma forse ancor di più da Buzzati), poi per il taglio nichilista affidato alla solitudine esistenziale del personaggio principale, venata qua e là da quelle malinconiche reminescenze di sprazzi di serenità (vissuti grazie al rapporto con il dottor Karpisky, suo vecchio amico e terapeuta), oltre a quel suo essere permeato da un disincanto di straordinaria originalità, riconoscibile nel saper distaccarsi dal mondo in maniera indifferente e tuttavia a tratti nostalgica, nella cognizione senza timore dell’inevitabile fine a volte vinta da un recondito fastidio a mezza via fra disgusto e malessere, nel suo essere consolatorio nei riguardi esclusivi di una morte vissuta come liberazione da una condizione di soffocante apatia interiore ed aridità esteriore (solo la diserzione dell'umanità concederà loro un precario equilibrio). Tutti elementi, a mio parere, capaci di nobilitare la qualità del romanzo e della poetica morselliana, rispetto ad esempio, all’intransigente e monocorde furia, angosciosamente funebre, dei racconti di Dagerman, autore dal profilo caratteriale per certi versi omologo a quello del romanziere bolognese.
L’ultimo volume di Morselli, terminato a pochi mesi dal vero suicidio (atto estremo “meditato ed accarezzato” per la gran parte della sua tormentata esistenza**), incarna a tutti gli effetti la sublime espressione in prosa di un lungo biglietto d’addio alla vita, la lucida (ed a posteriori toccante) testimonianza senza tempo, del reale commiato di un inguaribile misantropo.
Sulle pagine, l’alter-ego “pare” fallire nel suo proposito, rientra mestamente in città e si scopre unico sopravvissuto… forse è immerso in un sogno, oppure predestinato a qualcosa d’indefinito, o dannato senza speranza? Ad ogni modo potrà porsi vicino alla “verità” come mai prima era avvenuto. Se Giorgio Manganelli con grande acume intravide in “uno di quei suoi straordinari salti fantastici che hanno un gelo mentale matematico, Morselli ha rovesciato i termini di una corrispondenza cosmica. Il suicida è vivo, i vivi sono, non già "morti", ma "la morte", è possibile sostenere altrettanto convintamente la lettura metaforicamente rovesciata “ossia il suicida riesce nel suo intento, e in un’estrema introiezione percepita in senso solipsistico, vaga da morto dentro un universo privo non a caso di quell’Humani Generis da cui non aveva ricevuto alcuna comprensione, aiuto, accettazione morale (è noto il clamoroso disconoscimento dell’attività artistica di Morselli, finchè fu in vita), mantenendo un continuo e costante confronto con il proprio Io". Da tale negazione cosmica viene escluso il solo dottor Karpisky (un riferimento anch'esso reale nella persona di un dottore militare conosciuto in tempo di guerra), figura che, nell’agghiacciante finale di chiara impronta buzzatiana, verrà atteso per un ultimo incontro dal protagonista, seduto su una panchina, un’attesa consapevolmente vana ed eterna.
In quanto all’effettivo valore artistico del testo e alla sensazione personale di quanto negli ultimi anni la rivalutazione critica di Morselli non solo non si sia effettivamente radicata, ma abbia anzi subito un repentino rallentamento, con il conseguente riaffiorare del drammatico rischio oblio (in primo luogo nelle giovani generazioni, vedasi l’approssimazione della voce inerente su Wikipedia e la contestuale mancanza di citazioni su quella concernente la “Letteratura italiana”), preferisco rimettermi volentieri alle eventuali analisi ed ai giudizi di utenti ben più preparati ed esperti di me in campo letterario (Marcello del Campo, spopola e via dicendo), mentre mi premeva qui celebrare un autore novecentesco sicuramente importante, ma soprattutto una delle più pregnanti ed indimenticabili “espressioni di addio alla vita” mai create.
** “Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell’esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. Tutto è egualmente inutile” Guido Morselli (Quaderno XIII, 6 novembre 1959) .
La disperata solitudine dell’essere umano. Marker non s’accontenta di relegarlo in avvilenti e sudici sotterranei, lo “immobilizza” drammaticamente in immagini fisse di perentoria disgregazione interiore. L’unico intensissimo barlume di movimento (e musica) sarà anche il solo, beffardo, segnale di vita (e amore).
Con Alain Delon, Nathalie Delon, François Périer, Cathy Rosier, Catherine Jourdan
“Non c’è solitudine più profonda di quella di un samurai” (Melville). “La sua solitudine è prova di un’assoluta indipendenza etica…Nel suo sfidare l’ineluttabile Frank Costello afferma l’autonomia morale dell’individuo” (joseba). Come non associare queste citazioni alla parabola di Guido Morselli, un uomo in gabbia su questa terra con un’unica via d’uscita, tragicamente onorevole.
Sax in sottofondo, Daniele Dominici cammina sui moli autunnali di Rimini; l’alter-ego di Zurlini sembra far trasparire connotazioni morselliane, tuttavia, nella sua Dissipatio H.G nemmeno la quiete troverà un posto.
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