Ho sempre pensato che il riuscire a far vedere i sogni al cinema quasi come sono veramente sia prerogativa solo dei grandi registi. Vi è infatti qualcosa della rappresentazione onirica che è molto difficilmente afferrabile e riproducibile. Credo si tratti principalmente di un'atmosfera irreale e strana, e di eventi spesso bizzarri e privi della logica che troviamo normalmente nella realtà. Inoltre, un ruolo determinante lo giocano la fotografia (sfumata, immagini povere di particolari, bianco e nero, ecc.) e il sonoro (ovattato, distorto, parziale, assente...). Ma - di nuovo - questi punti presi così sono del tutto insufficienti a mettere a fuoco cosa di fatto distingua la buona raffigurazione del sogno da una rappresentazione stramba e senza senso. Per questo, pur rispettando tali parametri, moltissimi ci hanno provato, ma pochissimi ci sono riusciti. E quando il regista riesce ad afferrare l'inafferrabile, rimango colpito e ammirato.
Il sogno degli invitati a cena che si ritrovano in un teatro o quello del soldato che vaga in quella specie di regno dei morti mi sono rimasti impressi fin da bambino, quando vidi il film la prima volta. In particolare mi ha colpito quando questo "milite ignoto" incontra passeggiando nella penombra alcuni conoscenti defunti, i quali, dopo aver scambiato alcune parole, dicono di andare un attimo in un negozio, ma poi non tornano più. Entrato lui a vedere perché nessuno esca, non trova un esercizio commerciale, ma l'atrio di un edificio lugubre e fatiscente, illuminato da delle strane e fioche luci sulla balaustra delle scale. Chiama, ma dei suoi amici non c'è traccia. L'atmosfera e la concatenazione degli eventi sono proprio quelle di molti sogni. Bunuel era uno dei maestri della rappresentazione onirica.
E infatti rieccolo qua Bunuel. Ad un certo punto Robinson è a letto bruciato dalla febbre e dalla sete, mentre nessuno lo cura e gli dà da bere. Allora sogna suo padre lì davanti a lui, mentre fa certi discorsi senza importanza e travasa tra vari secchi e recipienti una quantità di acqua fresca. Lui lo implora di dargliene un po' ma suo padre è come se non lo sentisse, e continua con indifferenza a trafficare col prezioso liquido. Penso che più di qualcuno ha fatto sogni del genere mentre è tormentato dalla sete, dalla fame, o da altro disagio fisico.
Anche l'incubo di Accattone colpisce. La luce è abbagliante, il sonoro è ridotto al minimo, gli eventi sono strani al punto giusto. Come all'inizio, quando viene chiamato da certi suoi amici che stanno allegramente oziando seduti poco più in là; egli si avvicina a loro, ma li trova all'improvviso morti e come coperti da calcinacci e sabbia. Rimangono impresse anche due risposte che il protagonista ottiene. "Ma dove li avete presi tutti 'sti fiori?", "Laggiù..." dice l'interprellato, e fa un cenno vago in là, senza indicare nessun posto. Oppure, all'ingresso del cimitero, "Tu non puoi entrà." "E perchè?", "No." risponde secco e indifferente il custode, quindi praticamente senza dare risposta. Molto efficace anche Accattone che interroga ancora un altro personaggio, e questo risponde, muove la bocca, senza però emettere suono. "Nun te sento..." gli dice confuso e stranito. Proprio notevole.
L'incubo iniziale è giustamente celebre, ed è proprio pauroso. L'atmosfera luminosa, le strade solitarie, il silenzio quasi totale... eppure la sensazione che se ne riceve è proprio sinistra e inquietante. Autentica paura fanno l'uomo col volto deformato e il cadavere che alza il braccio fuori dalla bara e tira giù il povero protagonista. L'orologio senza lancette fa il resto...
Questo film è tutto un incubo, ma una sequenza lo è in modo più esplicito. Mi riferisco al protagonista che viene portato in lettiga attraverso l'ospedale per corridoi via via più squallidi e inquietanti, fino a un luogo di orrore vero e proprio. Quando il medico senza occhi gli infila un ago nella fronte anche noi urliamo assieme a lui. Adrian Lyne avrebbe dovuto occuparsi meno di ballerine e orchidee e fare più film come questo.
L’incubo iniziale mostra il personaggio assistere ad una corrida mentre il torero sta uccidendo il toro. Il bianco e nero sporco, la grana dell’immagine, le espressioni tormentate sulla faccia del sognatore tra la folla vociante e un sonoro ovattato rendono l’incubo particolarmente angoscioso (come del resto è il suo significato).
E’ vero che è un musical, dove peraltro abbondano finzione e fantasia, ma l’espediente narrativo del sogno della ragazza non è pura invenzione. Più di qualcosa di quel sogno assomiglia a certi sogni agitati ma belli, e ricchissimi di particolari, che talora si fanno, magari prima dell’alba. Trovo particolarmente indovinata l’idea di mettere nel sogno personaggi che la ragazza conosce nella realtà, però con una caricatura che mette in risalto le parti più significative del loro carattere. Ero piccolissimo quando lo vidi per la prima volta, però alcuni particolari mi rimasero impressi nella memoria: la casa che volteggia nella tromba d’aria, i piedi della strega che si sgonfiano e scompaiono, la strega che si dissolve quando viene schizzata con l’acqua, e le scarpe della bella Judy Garland che battono tre volte per tornare alla realtà. Fatelo vedere ai vostri bambini; da grandi se lo ricorderanno anche loro.
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