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Quando muore un cinema
di LorCio ultimo aggiornamento
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Quando muore un cinema

Il cinema Asterope, l’unico cinema di Francavilla. Lì dentro ho visto il mio primo film in una sala. Se non vado errato, era Il re Leone, e per sempre sarò terrorizzato dal grido del risveglio della Savana. Si trovava nella zona nuova della città, quella più a nord, sostanzialmente priva di una sua identità e declassata, ormai da anni, a satellite di Pescara. È triste usare un verbo al passato, ma purtroppo è così: l’Asterope chiude, e finisce per sempre il tempo del cinema per Francavilla.

In quella sala ci sono cresciuto. Mio padre mi ci portava da bambino a vedere i nuovi film della Disney. Io sono nato all’inizio degli anni novanta, uno dei decenni più fertili della casa dello zio Walt, l’epoca de La Sirenetta, de La bella e la Bestia, di Alladin, de Il gobbo di Notre-Dame, di Hercules, di Mulan. Sarebbe interessante parlare degli anni novanta della Disney, ma non è questa la sede. Questa è la stanza dei ricordi, quel luogo in cui è finito inevitabilmente anche il cinema Asterope per la mediocrità, l’idiozia, la cecità di un paese senza personalità, senza cultura, senza amor di patria. Ma lamentarsi non serve a nulla. Le cose belle restano. Resteranno i film, il pane quotidiano di una sala cinematografica. Resteranno i biglietti che conservo dal settembre 2003.

Il primo biglietto che conservai porta la data del 27 settembre 2003. Andai a vedere Buongiorno, notte (avevo dodici anni, capii tutto) e quel film entrò di diritto tra i dieci film della mia vita. Mi ricordo ancora che ogni volta incontravo qualche adulto che mi guardava storto, quasi a voler chiedere a mio padre per quale motivo portasse con sé il figlioletto alle proiezioni di certi film non esattamente per bambini. Peccato che fossi io ad accompagnare mio padre.

Prima ti sposo, poi ti rovino
, una commedia dei fratelli Coen con George Clooney e Catherine Zeta-Jones, l’ho visto domenica 9 novembre. Alla ricerca di Nemo era il film d’animazione di quel Natale, assieme al cinepanettone di turno, Natale in India, appuntamento che non mi sono mai perso non tanto per interesse (li ho sempre disprezzati) ma per accontentare mio padre, che tanto si divertiva con Boldi e De Sica. Poi Il paradiso all’improvviso, il campione d’incassi di quell’anno, visto il primo febbraio del 2004. Due settimane dopo, domenica di Carnevale (che a Francavilla, seppur in maniera assai scadente, è ancora una tradizione discretamente sentita), Le barzellette dei Vanzina. La passione di Cristo, il film scandalo di quella stagione, fu proiettato il weekend posteriore alla Pasqua. Alla metà di maggio, Che ne sarà di noi, che fu misteriosamente candidato a 12 o 13 David di Donatello senza riceverne uno. Il 17 giugno, ultima data di quella stagione cinematografica, il polpettonissimo storico Luther, che all’epoca mi piacque.

L’estate stava finendo, in quell’agosto del 2004. Alle 18:15, con il sole che ancora picchiava e il caldo afoso, mi rinchiusi con mio padre, mio fratello, il mio migliore amico e suo padre a vedere il film che aveva vinto la Palma d’Oro quell’anno, l’interessante Fahrenheit 9/11, di cui tuttavia non amai per niente la strumentalizzazione del dolore delle vittime. Qualche settimana dopo ecco un capolavoro: Le chiavi di casa di Gianni Amelio, uno dei più bei film del decennio, scandalosamente ignorato dai verdetti veneziani, un miracolo di film che contamina la pietas umana del dramma intimista con la dolcezza di una commedia sentimentale sul trovarsi e il conoscersi. Piansi alla scena in cui Charlotte Rampling, seduta sulla panchina di una stazione, piange in silenzio dando alle spalle al muto Kim Rossi Stuart. La vita che vorrei di Giuseppe Piccioni, un film che mi è sempre piaciuto perché mette in scena la vita di un set e le economie sentimentali dei suoi abitanti, fu dato il 3 ottobre 2004. Poi c’è un vuoto di qualche mese, forse sono stato in qualche altro cinema. Il cinepanettone Christmas in love fu una tappa obbligata, a Santo Stefano. Il 13 febbraio 2005, ancora una domenica di Carnevale, una storia tosta: Alla luce del sole di Roberto Faenza, su Don Pino Puglisi, semplice e molto bello. Alla fine del mese, una esilarante commedia: Mi presenti i tuoi, con i fantastici Robert De Niro, Dustin Hoffman e Barbra Streisand.

Continuai a frequentare altri cinema. Torno all’Asterope il 6 novembre del 2005: c’è Romanzo criminale, che resterà uno dei miei film preferiti e che nel corso degli anni acquista ancor di più fascino. La settimana dopo fu la volta de La seconda notte di nozze, uno dei migliori lavori di Pupi Avati, che fu l’occasione di assistere allo spettacolo di bravura di Antonio Albanese e all’ultima interpretazione della grande Marisa Merlini. Natale a Miami, si legga sopra. Poi stetti male un mese, una bronco tracheite. Il 26 marzo, poco prima delle più importanti elezioni politiche degli ultimi anni, vidi Il caimano di Nanni Moretti, su cui si potrebbe parlare per ore, ma che mi colpì per lo stile tutt’altro che banale. Il giorno della festa della Repubblica fu proiettato il blockbuster dell’anno: Il codice Da Vinci. La sala era piena, fu una della poche volte che si registrò il tutto esaurito (a parte i giorni dei cinepanettoni, in cui avvenivano scazzottate pur di entrare) e la gente dovette restare fuori. Dietro al mio posto c’erano due uomini che per tutta la visione non sputarono un momento: ciarlarono di qualunque cosa, non potrò mai dimenticare quando definirono il libro di Dan Brown “la Bibbia del terzo millennio”. In effetti, se vado indietro nel tempo, posso ben ricordare il fanatismo che accompagnò quel libro, oggi ridotto a giallo avvincente ma niente più.

Il ritorno di Giuseppe Tornatore arrivò all’Asterope il 26 novembre 2006: La sconosciuta stupì il pubblico perché era lontanissimo dalla tradizione del regista di Bagheria, ma non meravigliò me che avevo già visto Il camorrista e Una pura formalità. Mi ritrovai affianco la mamma di un mio amico, che si commosse nel finale della storia. Natale a New York, la solita storia, ma per la prima volta senza Boldi. Il 19 febbraio – era il lunedì tra la domenica e il martedì di Carnevale, quindi un pomeriggio a spasso (e tra l’altro il biglietto settimanale dell’Asterope costava quattro euro, una manna dal cielo)  – andai con i miei amici a vedere l’esordio americano di Gabriele Muccino: La ricerca della felicità, che tanto piacque a loro e poco a me, che avevo intuito il tono retorico della storia. Il 21 marzo spesi quattro euro per Bobby, un’opera corale di Emilio Estevez sulle ultime ore di Bob Kennedy all’Hotel Ambassador: anche “per colpa” di questi film ho maturato una certa attitudine alle storie con tanti personaggi, cosa che si può notare in quei due o tre romanzi che ho scritto e che ho chiuso nel cassetto. Tre giorni dopo, ancora un film corale, Saturno contro di Ferzan Ozpetek, che realizza uno di quei cinema che o si amano o si odiano, e che io amo. Il primo aprile, era una caldissima domenica di primavera, io e un mio amico vedemmo Diario di uno scandalo, con la divina Judi Dench, e ci entusiasmò parecchio. Il 17 luglio fu la volta del quinto capitolo di Harry Potter, L’ordine della Fenice: di quella proiezione ricordò l’estremo caldo, amplificato dalla mancanza di aria condizionata nella sala. In quello stesso mese, trascinai un mio amico a martellare i Centochiodi di Ermanno Olmi, una proiezione insolitamente e stranamente frequentatissima. Per punizione, il 27 mi toccò sorbirmi Transformers. Viva l’amicizia.

L’anteprima nazione di Shrek terzo avvenne il 22 agosto del 2007. Fu la prima volta al cinema di mio fratello, che all’epoca aveva cinque anni. Un mese dopo, quattro euro per Sicko, l’ultimo documentario di Michael Moore, che tanto piaceva al mio migliore amico, sul sistema sanitario americano: meglio di Fahrenheit. Alla fine di settembre io e mio fratello vedemmo il film de I Simpson e sin dalle prime scene capimmo che, pur essendo ben fatto, non manteneva tutte le promesse. L’8 ottobre diedero Le ragioni dell’aragosta di Sabina Guzzanti, un divertente mockumentary con gli attori della trasmissione Avanzi sulle condizioni di lavoro dei pescatori sardi. La storia dello sfortunato pianista Luca Flores, Piano, solo, lo vidi il 21 ottobre e, nonostante la grande performance di Kim Rossi Stuart, non mi appassionò. Il giorno di Natale fu consacrato da Natale in crociera. Alla fine di gennaio fu proiettato il filmone politico di Robert Redford Leoni per agnelli, che mio padre non apprezzò più di tanto: è un vecchio conservatore. Qualche giorno dopo un capolavoro: Lo scafandro e la farfalla, una meravigliosa macchina di emozioni e sensazioni. Alla fine di marzo vidi sullo schermo una storia che avevo molto amato: Il cacciatore di aquiloni, che si mantenne abbastanza fedele al suo romanzo bestseller. All’inizio di giugno ebbi la consapevolezza di essere all’interno della storia del cinema: sin dalla prima scena avevo compreso la potenza di Gomorra, un film di profonda rottura che sta al 2000 come La dolce vita stava agli anni sessanta. Il divo lo vidi altrove.

Poi cominciai a frequentare tanti altri cinema. Un po’ da giurato, un po’ per provarne altri, un po’ per seguire gli amici. Altri film che vidi all’Asterope furono Il papà di Giovanna, Pranzo di ferragosto, Natale a Rio, Italians. Fino all’ultimo, L’uomo nell’ombra, che ho visto a maggio e mi ha profondamente turbato. Ecco come va ricordato un cinema: un cinema va ricordato per le emozioni che ti ha trasmesso. Come i baci tagliati che scorrono nel memorabile finale di Nuovo cinema Paradiso di Tornatore. L’Asterope, con il suo gestore Benito, che aveva appeso tante locandine d’epoca all’ingresso e stentava a vivere un presente che non capiva, rifugiandosi sconsolatamente nel passato, resterà in quella zona del cuore in cui continuano ad esistere le cose belle, e resistono al tempo, all’usura, a tutto.

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