Lo scopo primario di questa mia, è proprio quello di esprimere la mia personale soddisfazione nel rilevare che finalmente qualcuno si sta ricordando di un nome importante e fondamentale come quello di Robert Aldrich, e parlo del recupero in Dvd di un titolo fra i più interessanti e straordinari di tutta la sua filmografia. Parlo ovviamente del misconosciuto ai più L’imperatore del nord che si ripresenta sul mercato in questi giorni con succulenti extra soprattutto cartacei e audio(nel primo caso, un esaustivo book che è in pratica un numero speciale di Filmaker’s Magazine, interamente dedicato al regista, che colma in parte un vuoto inaccettabile di “mancata conoscenza critica e ragionata” della sua opera; nel secondo il commento audio dello storico della cinematografia Dana Polan che non ho avuto modo ancora di ascoltare e sulla bontà del quale quindi per il momento non posso esprimere alcun giudizio, anche se credo di poter scommettere in positivo che il contributo non potrà che essere “divulgativamente importante”.
La scorsa che ho immediatamente dato al book mi ha fatto invece da subito comprendere la bontà dell’iniziativa (mi sento proprio per questo “obbligato” a suggerire a Stefano - che spero mi leggerà - di sollecitare l’urgenza completare al più presto il lavoro al quale alcuni di noi hanno alacremente collaborato in tutti questi mesi, proprio al fine di evitare che la sua straordinaria idea venga bruciata prima ancora di essersi palesata in maniera definitiva e concreta e rischi per questo di non trovare sbocchi in un mercato – quello dell’editoria - già abbastanza titubante e non molto sensibile alle “novità delle proposte).
Il sommario (e già i titoli dei vari capitoli lo evidenziano bene) presenta una serie di interventi articolati e ben strutturati che cercherò di sintetizzare meglio qui di seguito.
Si parte subito con una esaustiva e strutturata biografia a firma di Stefano Murri che già dal titolo (L’ultimo Apache di Hollywood) fornice il “taglio” speciale dell’analisi che viene fatta proprio in relazione alla parabola e alle opere realizzate dal regista (ne do un piccolo assaggio nei riferimenti a “Foglie d’autunno”, a conferma proprio della bontà del contributo: “Gli anni 50 di Aldrich gettano le basi a quell’impasto di melodramma borghese e squilibrio mentale che troverà il suo apice nel decennio successivo: già con Autumn Leaves – 1956, con cui sarà consacrato ‘autore’ (…) lo schema del melò di Douglas Sirk viene immerso nell’acido della follia, nella storia di una procace tardona (Joan Crawford, che più tardi sarà una delle icone del macabro di Aldrich) che sposa un giovanotto di apparenti buone speranze, per poi scoprire di essere devastato da turbe mentali di natura traumatica: divorziato da una moglie che lo ha tradito con suo padre. Il germe della follia quasi negato, ridotto a una malattia endemica della patriarcale famiglia americana, la fragilità femminile ribaltata in fiducia cieca, la virilità in infantilismo e complesso di Edipo ribaltato, dove è il padre a distruggere il figlio (…).
Segue una interessante dichiarazione di Aldrich stesso (Per un regista è importante vedere film) tratta da Filmmakers & Aldrich, a cura di Giulia D’Agnolo Vallan e uno stralcio della “conversazione” avuta dal regista con François Truffaut.
Francesco Gallo e Giancarlo Simone Destrero si cimentano invece con una stimolante analisi critica delle opere del regista (il primo con l’articolo Apologia dell’antieroe; il secondo con Gli occhi della follia, entrambi già sufficientemente indicativi fino dalla loro titolazione).
A Gaetano Gentile è invece affidato l’arduo compito di fare l’analisi del film in questione (L’imperatore del nord, appunto) un lavoro molto articolato, non esente da stimolanti approfondimenti e dal ricordo della sofferta genesi dell’opera (“scippata” a Peckinpah, che avrebbe voluto dirigerla “ad ogni costo”, si scoprono anche altri importanti retroscena che riguardano Corvo rosso non avrai il mio scalpo conseguenti alla scelta finale di Robert Redford come protagonista al posto di Clint Eastwood, immaginato originariamente per quel ruolo).
Non è tutto qui ciò che offre il book, ovviamente, ma il resto si sposta da Aldrich a “Il cinema della crisi” e quindi è meno pertinente con ciò che intendo io evidenziare invece con questa mia, e quindi confermando l’interesse speciale anche di quel segmento, ne rimando la conoscenza alla lettura diretta del libello.
Non c’è da dubitare sulla bontà dell’operazione non credete? E il titolo è “assolutamente” da recuperare!!!.
Con Lee Marvin, Ernest Borgnine, Keith Carradine, Charles Tyner, Malcolm Atterbury
Con l’autorevole firma di Robert Aldrich, importante regista americano con la spiccata capacità di offrire un’immagine disincantata della realtà, il film è un’opera duramente sorprendente (citazione presa dal Dvd stesso come quelle che seguono)
Con Lee Marvin, Ernest Borgnine, Keith Carradine, Charles Tyner, Malcolm Atterbury
Siamo nell’America della grande depressione. E’ il 1933 e i lavoratori precari, gli hobos, si raccolgono ogni giorno sul treno 19 nella speranza di riuscire a migliorare le proprie condizioni di vita. Sarà sul treno che si incontreranno i tre protagonisti principali: “Numero 1”, “Sigaret” e il guardiano del convoglio, Shack
Con Lee Marvin, Ernest Borgnine, Keith Carradine, Charles Tyner, Malcolm Atterbury
Il film è duro spietato, realizzato con ritmo incalzante e supportato da un’ambientazione topica, così come la visione manichea che pervade la trama: tutto fuorché abbozzata. Una pellicola dal respiro serrato, che incoraggia la voglia di libertà di umanità e di impegno civile.
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