Sette film di sette autori europei degli anni 2000. Fra il declino dell'impero americano e un oriente sempre più emergente,
non dimentichiamoci del Vecchio Continente, da sempre faro per chi dalla Settima Arte esige alterità di sguardo e
profondità di contenuti. Ho scelto 7 registi di 7 nazioni diverse, divisi (casualmente) per macro-aree geografiche. Ho
cercato di soffermarmi su autori che, seppur in giro dal XX secolo, hanno avuto una consacrazione in questo primo scorcio di Terzo Millennio. Questi 7 cineasti, molto diversi fra di loro, hanno in comune uno stile molto personale (diciamo pure inconfondibile) e un'attenzione verso tematiche importanti. Al di là dell'effettiva qualità delle opere, la mia simpatia va in modo particolare verso coloro che stanno rivolgendo la loro ricerca al tema caldo dei nostri tempi: la globalizzazione e i suoi effetti sulla vita delle persone, sui loro rapporti e sulla percezione della realtà. In questo senso, i tre autori europei che mi sono parsi più stimolanti nell'ultimo decennio sono, nell'ordine: Haneke, Kaurismaki, Dardenne. Tutti e tre hanno affrontato temi inerenti al contesto storico e sociale attuale, costituito da emarginazione sociale, xenofobia, isolamento, impossibilità di aprirsi verso l'altro...Non si tratta ovviamente dei sette migliori film europei degli ultimi 10 anni, ma di un collage impressionista di diversi immaginari, con un filo conduttore per i primi 4 film, seguiti poi da 3 opere completamente diverse...Mi piacerebbe che ognuno di voi stilasse la sua playlist personale, con le stesse regole (non più di un regista per nazione, cercando di prilegiare autori affermati da uno, due decenni al massimo)...sarebbe bello avere un'idea dell'immagine che vi siete fatti dal Nuovo Cinema Europeo.
Difficle scegliere fra i capolavori di Haneke. Per me sono tutti tasselli imprescindibili di un complesso discorso su come
sia mutata la percezione di noi stessi (e degli altri) nell'Europa contemporanea, ai tempi del villaggio globale,
dell'immigrazione, dello stravolgimento di valori consolidati da decenni e, non ultimo, delle nuove possibilità offerte
dalla tecnologia in merito alla manipolazione dell'immagine. In questo senso, credo che Cachè sia l'opera di Haneke che
meglio sintetizzi tutti questi aspetti. La capacità di combinare l'analisi della realtà con la riflessione sul linguaggio
cinematografico avvicina l'opera dell'austriaco a quella, apparentemente distante, del grande Abbas Kiarostami dei tempi d'oro (primi anni 90).
Come non provare pena per la parabola di Koistinen, umile e inconsapevole vittima della spietatezza del mondo moderno. Come non ricordare il dettaglio dei suoi occhi al momento della condanna? O quell'unico spiraglio di serenità che lo vede
sorridere fra i carcerati, col volto abbagliato dal freddo sole scandinavo? E lo sguardo glaciale della bionda del boss. E
quell'ultima mano tesa...Si parla di Chaplin, Dreyer, Bresson. Ma lo sguardo di Kaurismaki è inimitabile. Nessuno come lui sa inventare immagini così potenti e raffinate per rappresentare la solitudine di chi non riesce ad integrarsi con le regole
del sistema.
Il grande Olivier Gourmet alle prese con il conflitto fra vendetta e perdono, con i cocci di una famiglia distrutta, le
fatiche di un lavoro ingrato, il disagio per una società allo sbando, la ricerca di una nuova figura filiale. L'opera più alta dei Dardenne, la più profonda a livello tematico, la meno fredda a livello stilistico.
Ancora di scena le aberrazioni del neo-liberismo. Con l'inarrivabile lucidità di Ken Loach. Una storia troppo brutta per essere verosimile: ma nella realtà, succede di peggio, in tutta Europa (e non solo). L'agenzia interinale clandestina come iperbole del precariato e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Cambiando argomento, ma rimanendo su temi alti...come scegliare fra le meraviglie di Almodovar? Gli ultimi film che ha
fatto per me si equivalgono. Opto per Volver, per un motivo: il fatto che la seconda parte del film possa essere
interpretata anche in chiave onirica mi fa avvicinare quest'opera al capolavoro hitchcockiano Vertigo. Entrambi i film
parlano di necrofilia e di ossessioni, ed è come se a un certo punto questi fantasmi si materializzassero...
Con Sergej Dontsov, Mariya Kuznetsova, Leonid Mozgovoj, Anna Aleksakhina
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Non tutti i film di Sokurov mi piacciono. Spesso li trovo ermetici, come quelli del suo maestro Tarkovskij. Ma di fronte ad un piano-sequenza di un'ora e mezza, in cui si sogna la Storia della Russia...
La cosa singolare di questo noir filosofico targato Sorrentino è il numero di battute memorabili. "Io non sono una persona frivola". "La verità è noiosa". "Quando si è amici una volta, si è amici per sempre". "Voglio morire in maniera rocambolesca". "Da 20 anni assumo eroina una volta a settimana, il mercoledì mattina, senza eccezioni". E tante altre...Difficile anche
dimenticare il dolly sulla testa di Servillo mentre si spara la droga in vena. O la scena della masturbazione. Un cult-
movie gravido di invenzioni.
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