Ci sono film che hanno influenzato la nostra vita, ma anche il nostro carattere, il modo di pensare, dialogare con gli altri, persino l’espressione del viso, il modo di guardare, l’andatura, i tic, i gusti nel mangiare, il tipo di sigaretta, insomma, se non è Provaci ancora, Sam, poco ci manca. Insieme all’influenza che hanno avuto le letture (credo che le figure famigliari c’entrino meno di quanto si pensi nella formazione di un carattere: i genitori forniscono al massimo i geni – non è poco – ma tutto di noi appartiene alla visione e alla scrittura). Chi non ha mai pensato di essere come o agire come Mérsault o come Bazarov, chi ha allontanato gli impulsi peggiori, rinnegando i demoni meschini che agitano la personalità di Stavroghin e Raskolnikov o indeboliscono il carattere di Oblomov e del principe Myskin. Già dagli esempi che ho riportato, è emersa una parte del mio carattere, la scelta del narratore franco-algerino e degli autori russi, dice di me qualcosa che può dare l’idea della mia formazione culturale, dice con poca approssimazione che nel cotè cinema dovrebbero piacermi soltanto cineasti come Dreyer, Bergman, Antonioni, Bresson, Melville, e già in questo c’è qualcosa di vero. Naturalmente la nostra personalità cambia negli anni, parrà strano ma il rigore giovanile nel tempo può mutare in cinismo, in ottimismo, in vittimismo, perché altri film/altre letture ci hanno attraversato nel tempo e molte figure letterarie e cinematografiche ci si sono appiccicate addosso come tante pelli, formando quel crogiuolo di senso e sensibilità di cui sono fatti gli uomini. A ognuno i suoi sogni, la materia di cui è fatto il cinema. Non sempre i film più belli della nostra vita, ma quelli (anche brutti, mediocri o semplicemente modesti) che ci sono entrati dentro attraverso le insondabili vie del cuore.
Davvero una gran bella playlist Rollo (ho sempre pensato fosse Rolo con una l. Boh?). Il deserto dei tartari è il libro-capolavoro che in adolescenza ha segnato la mia vita. Voglio azzardare un accostamento filmico estremo e sicuramente non contemplato dal regista, ma secondo me ricco di affinità: Carlito's way. La redenzione, la felicità di un amore ed una famiglia, il lavoretto onesto in una spiaggia caraibica, come sogni e mete di una vita sprecata da un'etica ossessivamente e rassegnatamente protesa verso errori e scelte fatali, sfumate ineluttabilmente e beffardamente ad un passo dalla morte. · 8 marzo 2009, 21:51 di rollo tomasi
Inside Man, non ho molto tempo per commentare le belle notizie che mi arrivano da quando ho cominciato a frequentare il blog di FilmTv, voglio dire che non sospettavo di trovare degli "amici sconosciuti" così interessanti e interessati al cinema e alle arti visive. Il tuo commento è la prova che, devo dirlo apertamente, le persone che ho incontrato sono migliori di quelle della rivista che ne ospita liste e opinioni. Di mestiere faccio il redattore per una piccola casa editrice, curo anche l'editing di testi sblilenchi, romanzi per lo più, aggiungo che frequento molti siti di cinema online (Sentieri Selvaggi - sono amico di Massimo Causo; Positif, quello italiano divertente e anarco/situazionista/postinsurrezinalista a cazzo; FilmScoop, My Movies, tutti insoddisfacenti per assenza di passione e limiti di linguaggio; un tempo acquistavo riviste tipo Segnocinema, FilmCritica, Duel, anche le spaventose recensioni su Blow Up con il velleitario "ghezzismo" di seconda scelta di "Anemic Cinema" dove il dadaismo di Duchamp & Company declina in masturbazione pura; lo stesso FilmTv è deludente nella sua nuova redazione e veste esterna, lo leggo solo per vedere che cosa fa il simulacro di Enrico Ghezzi all'ora tarda, ma non sopporto Labranca per via del suo cronico antiquato atteggiamento camp, mi stufano i piagnistei settimanali sul soffietto in apertura di Fittante, all'interno c'è una grafica che si attorciglia in un convulso notiziario disordinato, insomma meglio lla gestione della Martini, con al seguito il lunare logico-matematico De Marinis e le sobrie finestre di Amelio, e pure le invettive cattocomuiste di Fofi, e così via). Chiudo la parentesi per dire a te o ha chi ha più tempo, di pensare a una raccolta delle "cose migliori" che si annidano tra le opinioni, le recensioni, i commenti dei lettori, per trarne un libro da proporre a un editore. Da quello che ho potuto osservare in questa settimana di indagine, molto divertente e salutare per me, i veri recensori, migliori di gran lunga dei titolari delle rubriche di FilmTv, sei tu, è Billykwan, Fixer con il quale ho scambiato molti parei, ma ce ne sono tanti che stare dietro a tutti è un problema. Grazie per il tuo commento. · 8 marzo 2009, 22:49 di fixer
Caro Rollo, la tua play è "fuori serie" per qualità e profondità e non è piaggeria, credimi.E' arduo farti da contrappunto, perchè servirebbe una meditazione approfondita che richiederebbe tempo, consultazione, documentazione eccetera. A naso, ti direi che letteratura e cinema sono troppo spesso in contraddizione e difficilmente un buon film si ricava da un buon libro. Le eccezioni sono poche, ricordo ad esempio DIARIO DI UN CURATO DI CAMPAGNA di un Bresson superlativo che pareggia,credo, il libro di Bernanos, ma tu ti riferisci probabilmente a un autore che ispira, in senso lato, un film e qui la scelta si fa terribilmente soggettiva e discutibile. Spesso giocano in noi ispiratori occulti e non, influenze assolutamente soggettive, non so. Troppofacile vedere in W.R.Burnett l'ispiratore di film come UNA PALLOTTOLA PER ROY, IL PICCOLO CESARE, GIUNGLA D'ASFALTO. Meno facile vedere Burnett dietro l'ISPETTORE CALLAGHAN, eppure la strada è quella. Troppo facile vedere James Cain come ispiratore di LA FIAMMA DEL PECCATO o IL POSTINO SUONA SEMPRE DUE VOLTE, ma meno facile vedere Cain dietro BRIVIDO CALDO, eppure è da lui che tutto parte. Ma è più affascinante immaginare ispiratori lontani per il cinema europeo: dietro Dreyer, vedo Kierkegaard e Munk; dietro Bergman vedo Kierkegaard, Nietzsche e altri filosofi tedeschi che non voglio nominare perché non li conosco abbastanza. E... provocatoriamente, dietro Fellini? Niente letteratura , ma un'intuizione geniale dell'essenza del cinema. E dietro Visconti? Mmmm, qui l'affare si fa grave: dietro Visconti c'è il mondo intero. Spaventosa è la profondità e la conoscenza di quest'uomo, che ancora oggi non riusciamo a capire del tutto. Qui il discorso si fa troppo ampio, meglio fermarci. Sono sorpreso della tua scelta di nominare DILLINGER E' MORTO come il miglior film degli anni Settanta. Ti riferisci al cinema italiano o a quello mondiale? Un'altra domanda: in che senso consideri Michael Mann e Friedkin come umanisti? Nicholas Ray, a mio avviso, è un grande umanista: il modo in cui tratta il tema dell'innocenza e della sostanziale estraneità dell'uomo retto in un mondo come il nostro (I'm a stranger here myself) è straordinario. Ma allora non dimentichiamo Anthony Mann: chi più di lui crede nella sostanziale dignità dell'uomo che lotta contro il Male con nobiltà e integrità? Ma quante cose ci sarebbero da dire! Grazie per la tua citazione. Io ti sottopongo un'altra citazione:"Credo che questo sia l'inizio di una buona amicizia": troppo facile, vero? Ciao Rollo!
Fixer, peccato che il tempo del lavoro ponga degli ostacoli a una corrispondenza che sarebbe più esaltante (e già lo è in parte) se avessimo dalla nostra un tempo liberato dalle pressanti necessità del giorno. Il tuo commento è toccante perché da una parte mi porta buone notizie dal mondo, dall'altra mi deprime la considerazione che le persone più vicine sono anche le più lontane. Non voglio entrare troppo nelle intime stanze dove si generano le storie personali, ma una cosa devo dirla: la sensazione che le persone che animano il blog devono per forza essere animate dalla spinta di un'assenza, quella di un interlocutore che soddisfi le esigenze della comunicazione su un oggetto d'amore. Non mi sarei spinto nelle stanze di gente sconosciuta, se non fosse che nella mia "camera verde" si è aggiunto il ritratto della mia compagna con la quale condividevo il mio amore per lei, per il cinema, per la letteratura. Più il tempo passa, più i ritratti aumentano, più la biblioteca si stanca per i nuovi arrivi che restano stipati senza che io li legga. Non voglio tediarti, ma l'altro giorno mi era venuto in mente di fare una playlist "degli addii" nella quale citare i film che mi hanno colpito sulla "partenza che non ha ritorno" (come recita il Miserere di Verdi nel Trovatore). Avevo pensato alla stupenda lettera che il giudice Bean lascia alla bellissima Ava Gardner e a proposito di Gardner (la notte stimola le libere associazioni, aveva visto giusto Breton!), le parole finali di Fiske a Hooker in GARDEN OF EVIL, le LETTERE DA UNA SCONOSCIUTA, le parole finali che ricordano John Wain nell'UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE, quelle indimenticabili della SOTTILE LINEA ROSSA, quelle risapute su tutte le tshirt del mondo di BLADERUNNER. Ma per tornare all'argomento della lista, devo dirti che il tuo commento è come sempre appropriato. Non so se qualcuno farà altre considerazioni, ma mi piace osservare che il tema è comprensibile, anche se chiama a raccolta pezzi della vita di ciascuno. Forse ci sforziamo di attribuire al cinema capacità terapeutiche (è questo è un bene), forse cerchiamo di appendere al cinema brandelli della nostra vita, facendolo parlare in vece nostra (e anche questo va bene), l'importante è che il cinema, come la musica, la letteratura possa compiere il miracolo di unire gli uomini invece di metterli l'uno contro l'altro. Quanto, infine, a quale autore o personaggio di un libro ci sembra avere generato un film, il tema è libero e gli esempi che hai portato lo dimostrano pienamente. CHANGELING, ti parrà strano, mi è sembrato un film più ellroyano di L.A. CONFIDENTIAL (il cappello del detective mentre avanza verso la baracca del pervertito) e di INDAGINE AD ALTO RISCHIO; ERA MIO PADRE che non è piaciuto a nessuno a quanto sembra, rimanda al noir calligrafico degli epigoni di Chandler; HAMMETT sarà un film sbagliato ma l'atmosfera è quella di Hammett non di Joe Gores; L'AMICO AMERICANO è il film più riuscito tratto dalla Highsmith, dirai: ma Hitchcock, sì, ma Wenders me la rimanda meglio; spesso penso a certi film "tarantinati" troppo maltrattati dalla critica italiana, non so LE VIE DELLA VIOLENZA, HARSH TIMES, NARC, forse non sono brutti come si dice; e FINO ALLA FINE DEL MONDO che è tanto dispiaciuto alla critica, non è forse (magari l'autore non ne è consapevole) l'unico film che ha osato mettere in immagini le in-filmabili "entropie di Thomas Pynchon di Vineland? Comunque, come vedi, si tratta di impressioni personali. A presto e grazie per l'ascolto.
Caspita Rollo mi onori ed imbarazzi con i tuoi complimenti, davvero immeritati, e ti ringrazio di cuore. Concordo al 100% (l'ho sostenuto spesso in svariate discussioni) sul fatto che all'interno della community vi siano fior di recensori, sicuramente al livello dei critici di professione (o finanche superiori), e che il sito, per servizio, utilità e contenuti, distanzi la rivista. Molto interessante l'idea sulla raccolta delle "cose migliori". Era un mio vecchio pallino, purtroppo rimasto nel cassetto per mancanza di tempo (e voglia). Un caloroso saluto! · 9 marzo 2009, 00:46 di Inside man
Leggendo le playlist (con commenti annessi) e le recensioni da te pubblicate finora, credo di non sbagliare affermando quanto ci sia bisogno dell'apporto stimolante di critici/cinefili del tuo livello (in quanto a cultura ed originalità di scrittura). Sarò un tuo assiduo lettore. Saluti.
Grazie per l'apprezzamento. Devo dire che tra gli utenti giunti ultimamente sul sito ho notato in te e fixer una buona affinità filmica col sottoscritto. Una curiosità: perchè Rollo Tomasi? In fondo Rollo Tomasi è un qualcosa che non esiste, impalpabile, mentre la tua consistenza filmica è notevole. Bye.
complimentissimi rollo è una play originale e che mi ha asciato stupefatto,è come se qualcun altro mi abbia rubato i miei pensieri... i film che mi hanno segnato sono diversi dai tuoi, naturalmente, ma questo è pura fisiologia... probabilmente quello che mi ha fatto capire il mio amore per il cinema lo vidi a 10 anni, in sala. Era L'albero degli zoccoli e mi ha fatto capire che c'era un cinema diverso da quello pieno di glamour,lustrini e pailettes, belle donne che avevo conosciuto fino ad allora...e poi da lì tanti altri... Qualcuno volò sul nido del cuculo, Anna dei miracoli, Barry Lyndon, Un cuore in inverno (che forse è il film che ho visto d più in vita mia),Gli anni in tasca,un piccolo cult a cui sono molto affezionato non so neanche perché che è Dr Creator specialista in miracoli e un altro minuscolo che si chiama L'amante tascabile. La maturazione dell'uomo poi come dici tu può fare cambiare i gusti ma io ho solo aggiunto altri innumerevoli titoli… questi ormai sono ben riposti nella mia memoria e non si scosteranno più... grazie per avermi dato modi di immedesimarmi così,finalmente un po'di ossigeno a leggere playlist...
A Billykwan: hai ragione, "Rollo Tomasi" viene tirato in ballo nel romanzo di Ellroy come un po' il McGuffin di Hitchcock, è un nome che Ed Hexley (se non sbaglio) usa per definire il delinquente impunito. Sono affezionato a questo nom de l'air, ma mi sono accorto che è usato da un blogger italiano come "Rollo Tommasi" (con due "m"), da un altro blogger inglese (o americano, non so), da un gruppo musicale di Monza. Credo che dovrò cambiarlo. Ti ringrazio per l'osservazione e il commento.
A Fixer. Il film di Ferreri è una prodigiosa, implacabile, ricognizione esistenziale sui segni della civiltà moderna, non solo l'alienazione di Antonioni, ma l'alienazione fin dentro le merci. Visto oggi è ancora più moderno e profetico, in parole povere Ferreri ci dà la rappresentazione di un uomo alienato nella professione, nella vita di coppia (Oh, Anita Pallemberg - l'ho rivista in un film recente, non ricordo quale, invecchiatissima), è un uomo solo che attonito, straniato da tutti, è immerso nei ricordi (i filmini famigliari), negli intingoli, le casseruole; mentre in Zabriskie Point gli oggetti della civiltà dei consumi deflagrano sulle note di "Set the Control", in questo mirabile art/film, le merci restano e l'uomo raggiunge un veliero che lo porterà lontano, praticamente un miraggio. Lucidissimo e sconsolato saggio su "Les Choses", le stesse di George Perec.
A Bradipo68. La tua play sui film del padre è davvero commovente. Sei riuscito a dire quello che io ho taciuto. Non sono più un giovanotto come te, ma già alla tua età non avevo più il padre che mi portava al cinema. Tra i pochi grandi amici di quel tempo - tutti sulla trentina - il novanta per cento erano orfani del padre. Si dice che la nostra è una società senza padri, dimenticano di aggiungere che il "padre invisibile" è spesso un "padre morto". Hai letto per caso "Il padre morto" di Donald Barthelme (Bompiani anni Ottanta)? Bene, se ti capita, leggilo, è un'ironica, dissacrante epopea di un padre ingombrante. Presto aggiungerò un commento a quella tua play.
Finalmente caro Rollo una play che riporta la "centralità del discorso cinematografico" e lo fa con competenza e passione!!! Anche il "dibattito" è all'altezza della premessa.. ed è una salutare boccata d'ossigeno... Grazie do cuore ( e non solo per questo contributo)
Il discorso su LES CHOSES porta chiaramente alla reificazione e cioè alla focalizzazione delle "res", delle cose. In assenza di qualsiasi giustificazione spirituale, ad avere una valenza indubitabile e reale sono solo le cose. (Vedi il libro LES GOMMES). E' un tema fatto proprio dagli autori del NOUVEAU ROMAN, ed in particolare da Michel Butor e Alain Robbe-Grillet. E quest'ultimo è lo sceneggiatore di uno dei migliori film di Alain Resnais e cioè L'ANNO SCORSO A MARIENBAD. Io, nel film di Ferreri, non ho visto sinceramente quello che tu hai visto, e di questo ti ringrazio. A me sembrava soprattutto una riflessione sulla gratuità, inutilità e, in ultima analisi, assurdità, delle nostre azioni in un mondo che ha ormai spossessato l'uomo della sua anima. E questo discorso ci rimanda a Mersault, il protagonista di LO STRANIERO, ma soprattutto al libro-capolavoro di Camus. Dietro Camus, arrivo a dire che vedo Jean-Pierre Melville (ecco il tema degli ispiratori occulti). Il cinema di Melville sembra una riflessione sul genere poliziesco con pesanti debiti verso il noir americano. Ma, a ben vedere, il cinismo indubitabile nasconde l'abdicazione ad ogni tentativo di dare una sorta di senso logico all'esistenza. E così la società si divide nel continuo, dissennato e(eccolo qui) assurdo conflitto perenne tra chi (la polizia e la legge) difende una società che premia chi stabilisce regole spietate per i meno fortunati e chi intende sottrarsi a questo gioco e tali regole le viola. E questo ci porta, l'avrai senz'altro capito, a GIUNGLA D'ASFALTO: sono le cose quelle che contano e la cosa per eccellenza è il denaro. Ma dietro Huston non c'è Camus, nè Sartre, c'è la constatazione che lo spirito della frontiera è diventato spirito di rapina legalmente accettato. Ciao Rollo!
Fixer, il tuo commento approda al nocciolo della questione con argomentazioni finissime. Oggi non ho la possibilità di discutere - il tempo è tiranno, ma lo farò presto. Quanto al commento di "spopola", perbacco!, nomen omen è il caso di dire: ho letto alcune sue recensioni e mi sentirei, se ne avessi la possibilità, di proporre alla redazione di FimTv che lo iscrivano honoris causa tra i recensori fissi, tanto almeno quattro di loro sono di troppo (naturalmente dico il peccato ma non il peccatore). Del resto, sono sicuro che "spopola" (non si preoccupi dell'età, glielo dice un quasi coetaneo!), deve avere per forza molto da dire su quanto abbiamo scritto finora, e mi riferisco soprattutto al commento di Fixer su "Les Choses". A presto.
Complimenti per la play, per come scrivi e per la cultura (non solo cinematografica) che possiedi. Ma ci vogliono degli anni per leggere tutto ciò di cui parli! sei nella mia personale top five dei recensori di filmtv on line. ciao P.S. un unico appunto: 'Dillinger è morto' è del 1968: quindi, il tuo discorso su di esso ne accresce ulteriormente il suo valore.
Sono arrivato tardi, i complimenti ormai ti saranno indigesti, però vedo che hai sempre l'energia per accogliere suggerimenti. Io ci provo. La messa in scena rivela spesso l'idea di fondo del regista, dove vuole arrivare e spesso anche il suo giudizio. Spesso però ci sono registi che mostrano i fatti senza entrare nei meriti di un giudizio. Mi viene in mente per esempio Rossellini che cerca più che esaltare ( di nuovo questa parola ) di mostrare chiaramente. L'esempio opposto può essere invece Murnau ( e ovvio il movimento a cui lo hanno associato ) in cui si usa la luce, la scenografia o la macchina da presa per entrare più a fondo nei personaggi, nella vicenda. Poi io aggiungerei un terzo esempio in cui l'assenza totale di riferimenti può portare a moltissime interpretazioni, da Antonioni a Sautet.
Fixer, commentare il tuo discorso sulle "choses" è arduo e se anche provassi a contraddirti, scriveremmo un saggio a quattro mani su un blog che esige comunicazioni dirette e semplici, questo per non tenere fuori dal cerchio chi, avendo meno anni di noi (come sembra dire Ethan), non ha avuto il tempo di leggere/vedere quello che i meno giovani tra noi hanno digerito. La tua interpretazione di DILLINGER E' MORTO è precisa e affilata, ma altre interpretazioni sono possibili, essendo le opere migliori polisemiche: io vi ho trovato l'alienazione in senso marxiano, tu la reificazione e la gratuità di un'esistenza vuota di senso, altri il regesto dei miti e i riti della società dei consumi statu nascenti, altri ancora un'esposizione pop come la massaia con i bigodini al supermarket di Segal; sono tutte decrittazioni valide, nessuna prepotente rispetto alle altre, ma tutte in concorso parlano di "quel film" e allo spettatore "quel film" comunica un'angoscia senza pari, quale che sia il messaggio nella bottiglia, perché tutte le interpretazioni sono, infine, univoche nel tracciare una mappa emozionale del mondo allora (nel 1968) e di oggi (nel 2009). L'opera si libera dal creatore e parla nel tempo, comunicando un disagio diverso da quello del passato, ma sempre più disagiato, adatto ai tempi oscuri nei quali viviamo e nei quali “le cose” soggiogano gli uomini in forma di pubblicità (ma già in Ferreri) a dosi massicce. Charlot può, quindi, tranquillamente danzare con il mappamondo tra le mani, non è più Hitler l'oggetto crudele della pantomima, ma di simili a quello è facile trovare l'uguale nel mondo globalizzato, il fascismo è sempre in agguato, aspetta solo che le masse ipnotizzate (vedi "MARIO E IL MAGO" di Thomas Mann, "METROPOLIS" di Lang, tutto l’espressionismo tedesco) abbassino la guardia. Intanto si fanno le prove generali ("LA ZONA"), si auspicano le ronde, qualche straniero rischia il linciaggio, si brucia per "noia" un malcapitato ed è già una mini-Kristallnacht, tanto per presagire falò futuri. Ma le “choses” che appartengono al nostro discorso sono “gli oggetti della nostra vita quotidiana!”, le cose che ci danno il piacere estetico e ci commuovono (“Sunt lacrymae rerum), perciò ho apprezzato molto il tuo ricorso alla “res”. Ma non è questo lo spazio né il luogo per discutere della storia delle cose materiali e spirituali, né approfondire il fosso che separa il nominalismo di Roscellino (non esiste nulla, ciò che nominiamo è solo “flatus vocis”) dalle “cose” di Sartre e le “cose” di George Perec o di Robbe-Grillet che sagacemente tiri in ballo. Forse, per finirla qui, le “cose” di Perec sono quelle a noi più prossime, le cose che ci rappresentano, che amiamo, che ci fanno ricordare (in ciascuna cosa ci siamo noi con la nostra vita), - non è secondario un libricino di Perec dal semplice titolo “Mi ricordo” (Ediz. Boringhieri) nel quale l’autore della “Casa, istruzioni per l’uso” (Ediz. Rizzoli) annota diligentemente brevi frammenti della sua vita, dall’apparente scarsissima importanza, cose come “Mi ricordo quando feci la comunione…”, “Mi ricordo il giorno in cui…”; sembrano inezie in confronto al biblico “Ricordo il primo albatro che vidi…” di Ismael nel MOBY DICK o l’incipit della Récherche: “Per molto tempo mi sono coricato presto la sera…”, eppure quest’ ultima frase, pure nella sua magnitudo, è di una familiarità simile a quella di Perec o, per stare ai nostri giorni e ai nostri amori a “Ricordi, fiorivan le rose…” di Fabrizio De Andrè. Ecco, a queste “cose” la mia playlist si riferisce, al semplice affiorare di un ricordo attraverso il cinema e, a questo proposito, la frase di BRADIPO68 (“… lo vidi a 10 anni, in sala. Era L'albero degli zoccoli…”) rappresenta, in tutta la sua laconica icasticità, la risposta a tutta la nostra ricognizione. Forse dovremmo seguire questa rotta: “Mi ricordo quando mio padre mi portò a vedere “IL CALICE D’ARGENTO” al cinema Charitas, una piccola sala attigua alla chiesa di San Francesco. Ricordo che mio padre mi disse che ‘lavorava’, così si diceva allora, un attore nuovo che somigliava a marlobrando, ne ricordo vagamente il nome, polniuman, sembrava la marca di un sapone…”. Au revoir mes amis.
L'ho visto che avevo sette anni in visione successiva. Joseph Cotten, Orson Welles, Alida Valli, che volete di più: era già tutto il cinema. Sceneggiatura di Graham Greene.
Ho scoperto solo recentemente che il piccolo Kimball O'Hara era nientemeno che Dean Stockwell, Mabub Alì/Errol Flynn mi affascinò, vidi il film tre sere di seguito tre volte. Dal romanzo di Rudyard Kipling.
Con Joan Crawford, Sterling Hayden, Mercedes McCambridge, Scott Brady, Ward Bond, Ben Cooper
Lo rivedo ogni anno, è un film in cui dominano la passione e la furia. Insieme a “The Searchers” è il western che amo di più. Sterling Hayden: Joan Crawford, Ernest Borgnine e il dimenticato Scott Brady. Il mio primo capolavoro.
Con Ralph Meeker, Albert Dekker, Cloris Leachman, Maxine Cooper, Paul Stewart
Lo ritengo il capostipite di tutti i noir a venire. Aldrich rilegge il reazionario Mike Hammer di Spillane in chiave di cinismo e disincanto. Oggi più attuale che negli anni Cinquanta.
Vita dura per il grande Friedkin che ne tentò il remake. Il Gotha degli attori francesi, Charles Vanel in testa, le musiche di Georges Auric, suspense alla nitroglicerina. Inarrivabile.
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