Una benemerita piccola editrice ha ripubblicato il diario di Valerio Zurlini. L'ho finito di leggere ieri sera e l'ho letteralmente divorato. Si incontrano certamente tanti personaggi che hanno fatto la storia del cinema e della cultura italiana del secondo dopoguerra, ma sopratutto una persona di rara sensibilità, di grande amore per il cinema, ma profondamente disillusa. I mali che Zurlini indica riguardo il cinema italiano li conosciamo: mancanza di coraggio, paura della novità, quieto conformismo. Ma quello che colpisce oltre la sua personalità tormentata, sensibile, malinconica è il dolore di non aver potuto portare a termine dei film in cui aveva riversato se stesso, e nello stesso tempo la profonda insoddisfazione per quelli fatti.
Il protagonista Alain Delon non piaceva al regista, eppure per noi è difficile immaginare un altro attore a incarnare il tormentato professore di letteratura, Daniele DOminici.
L'incertezza di essere eroi eppure il tempo costringe a fare una scelta, dietro il personaggio di Jean-Louis Trintignant s'indovina la decisione del regista di impegnarsi nella resistenza.
Gli amori dell'adolescenza, la donna matura (di esperienze non d'età) che fa soffrire. Di nuovo il segno autobiografico giocato con grande delicatezza.
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