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Monte Hellman: Straniero Americano
di callme Snake ultimo aggiornamento
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Monte Hellman: Straniero Americano

Mi permetto di parafrasare il titolo del volume a cura di Michele Fadda appena editato dalla Cineteca di Bologna (American Stranger - Il Cinema di Monte Hellman, di cui possiedo gelosamente una copia autografata dal regista in persona, presente ieri sera e sabato 31 ottobre al cinema Lumiére) per questa playlist su uno dei meno ricordati giganti del cinema americano. 50 anni di carriera registica (esordisce nel '59 con The Beast From Haunted Cave) e qualche altro di apprendistato alla (magnifica) corte di Roger Corman, una manciata di titoli ed una infinità di collaborazioni perlopiù non accreditate fanno di lui un "fenomeno" duraturo e incorruttibile, una vera "anomalia americana", indipendente fino alla fine e sorprendente nei risultati. Sotto l'ala protettrice di Roger Corman, che Hellman ricorda sempre con nostalgia, ha rivestito i ruoli più disparati, sebbene quello più consueto fosse al montaggio, pratica che continuerà anche successivamente (suo è per esempio quello di Killer Elite di Peckinpah). Se gli si chiede cosa ha imparato veramente dal suo mentore risponde: "ho imparato fondamentalmente due cose: che il cinema non ha budget: tutto quello che hai è il tuo budget. E che quando ti chiedono di tagliare dei minuti di film, basta eliminare 2 fotogrammi, prima e dopo degli attacchi: facendo solo questo per ogni inquadratura, su un film di due ore si risparmiano dieci minuti, senza rinunciare ad alcuna sequenza". Tutto il senso pratico del fare cinema e la riluttanza agli intellettualismi è racchiuso in questa risposta. Eppure ridurre Hellman a regista di genere "cormaniano" è un torto gravissimo: il suo viaggiare per il mondo (dall'America all'Asia all'Europa) per girare film è una metafora del suo essere "straniero" anche verso la nuova Hollywood, anche verso il bacino culturale in cui si è formato. Guardiamo La Sparatoria, Le Colline Blu e soprattutto Strada a Doppia Corsia (il suo capolavoro): noteremo moltissime affinità con registi (teatrali e cinematografici) europei e asiatici. Se le affinità con Peckinpah, Rafelson, Altman, i cormaniani Bogdanovich, Coppola, Scorsese, Demme, Dante sono scontate, non si possono sorvolare i paragoni con Antonioni, Bresson, Ozu, Bergman, Beckett, Ionesco. Hellman, come Kubrick (protagonista come personaggio nel suo ultimo cortometraggio horror Stanely's Girlfriend...) o Bresson, non è collocabile in alcun gruppo o movimento, e lo stesso regista ne è consapevole. Il senso di frustrazione che il cinema di Hellman procura disattendendo le aspettative del pubblico è decisamente beckettiano (non è solo una leggenda il suo progetto di adattare a teatro Aspettando Godot in chiave western); il senso di solitudine esistenziale che Two-Lane Blacktop trasmette, anche tramite i corpi dei suoi attori, riconduce direttamente a Bresson, così come l'assurdità delle situazioni e la totale mancanza di comunicazione tra personaggi echeggiano Antonioni. Hellman diversamente dai modelli "alti" cui si ispira, non razionalizza, non si concede speculazioni intellettuali, non traspone il tutto forzatamente in "arte": le categorie del bello e del brutto sono decisamente fuori luogo nella sua filmografia. Hellman segue il suo istinto, le sue emozioni, e le porta ad un livello impersonale (è interessante analizzare i punti di vista all'interno del suo cinema, quasi casuali, oggettivi, vagamente alla Ozu). In questo è modernissimo e irriducibile. La dimostrazione è che i suoi film hanno largamente superato la prova del tempo. E poi i volti di Oates, Nicholson, Harry Dean Stanton, Millie Perkins, attori feticcio hellmaniani, non hanno perso un grammo della loro ambiguità. (ri)guardare per credere.

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